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Katsuhiro Otomo: tra Futuro e Medioevo Giapponese

Pubblicato il 14 luglio 2013 alle 17:37 da Debris


In occasione delle celebrazioni del Venticinquesimo Anniversario della realizzazione della sua opera Cult, il lungometraggio Akira, il giornalista e critico cinematografico Mario Serenellini ha intervistato il regista e mangaka Katsuhiro Otomo, (Memories, Steamboy) di passaggio a Basilea avendo con lui un’intenso scambio di idee che ha spaziato dall’attuale stato del Giappone agli imminenti programmi di Otomo, concentrato sulla presentazione oramai prossima dell’antologia animata Short Peace, e sull’inizio, dopo un lavoro di preparazione durato cinque anni, del suo nuovo manga, alla cui realizzazione si dedicherà per i prossimi anni in in un lungo e solitario lavoro al tavolo da disegno, un vero e proprio ritorno ai giorni della realizzazione del manga di Akira.

Katsuhiro Otomo – Akira Tra Futuro e Passato

A trent’anni dalla versione manga e a venticinque dal cartoon-capolavoro – riapparso in sala, in digitale 2k,dopo il successo planetario alla sua uscita il 16 luglio 1988 – il maestro dei manga coglie tutti di sorpresa. Nessun Akira 2, al momento, e nemmeno il seguito del monumentale Steamboy del 2004, di cui anni fa Otomo, forse scherzando, annunciava il bis: Steamgirl …

Dopo il tempo del robot,è venuto per lui il tempo dell’uomo. A cinquantanove anni, volto infantile di gioconda rotondità, l’ inventore d’incubi del domani cosmico ha invertito la rotta, puntando su un’ archeologia a fumetti, altrettanto celata e inattesa: quella del suo Paese, delle ere trascorse del Giappone. Siamo alla fantascienza di ieri?

«Ci sto lavorando da ormai cinque anni, raccogliendo ogni documentazione possibile: parto da un manga sull’ era Meiji, il Giappone medievale. Sarà una serie molto lunga, realizzata da solo, senza assistenti, senza studio, come agli inizi di Akira, quand’ ero alle prese con il manga, prima del film. È anche un mio personale ritorno al passato, al solitario lavoro grafico, abbandonato da una decina d’anni perché troppo preso dal cinema.»

L’antico Giappone domina già nel suo sfolgorante corto, in concorso l’ anno scorso al Festival du film d’ animation ad Annecy, Combustibile.

«Sì, una love story impossibile tra due giovani mi era servita da pretesto per rievocare l’incendio devastante del 1657, nell’era di Edo, come allora si chiamava Tokyo: una delle grandi catastrofi della nostra storia. Poiché gli incendi dolosi erano all’ epoca tanto frequenti da formare per sempre la memoria nell’ immaginario nipponico, quella tragica fiammata m’ è parsa il soggetto perfetto per illustrare l’ era Edo. Inoltre, grazie ai progressi tecnologici del 3D, ho potuto esaltare gli stupefacenti motivi sui kimono del tempo, ridare vita ai tessuti, come in natura. La magnificenza unica dell’ abito del protagonista, dove il manierismo della decorazione attesta del rango e della ricchezza di chi l’indossa, è per me il cuore della storia: l’incendio di Meireki.»

A cosa è dovuta quest’improvvisa vocazione al flashback? All’angoscia del domani dopo Fukushima?

«In realtà già prima della minaccia di globali “suicidi” nucleari avevo cominciato a rivolgermi al passato. Diciamo che la vera molla è stata l’ imprevedibilità sempre maggiore dell’ avvenire. In Akira, per esempio, non ero stato capace di predire i telefonini. Mentre oggi la potenza di calcolo dei computer rende ogni nostra previsione impossibile. Mi dedico perciò a ricreare il passato, proprio come ho fatto nel corto presentato ad Annecy. Da giovane m’ appassionava la letteratura americana, l’ universo occidentale, che filtravo con convinzione nei miei lavori. Da adulto mi sento attratto in modo quasi esclusivo dalla storia del mio Paese: ho sempre più voglia di capire il Giappone moderno attraverso la riscoperta delle sue origini.»

Epoche diverse, anche se più recenti, scandivano già Akira che, pur immaginato nella Tokyo del 2019, assemblae rimescola tre periodi chiave: gli anni ‘ 30-‘ 40 (i militari), ’50-’60 (la gioventù ribelle e politicizzata), ‘ 70′ 80 (il movimento bosozoku, le gang motorizzate).

«Vero, è l’idea che avevo in testa fin dal primo abbozzo di sceneggiatura: evocare il Giappone del dopoguerra e della ricostruzione, con lo stadio delle Olimpiadi a Tokyo, centrale nella storia di Akira. Sono stati i miei primi passi nel passato, un piccolo salto all’ indietro, alla fine del periodo Showa (1926-1989), vigilia della nuova era.»

In film più recenti ha continuato a uscire dalle convenzioni di genere per dar vita a universi fantastici più personali.

«È successo sette anni fa con Mushishi ( Bugmaster ), presentato a Venezia, il mio secondo lungometraggio live dopo World Apartment Horror del 1991. Avevo voglia di realizzare un tokusatsu (film di fantascienza con effetti speciali, ndr ). La ricetta è nota: costruire un robot digitale e fargli frantumare qualche montagna. In quel caso ho voluto polverizzare il cliché, sfidare il previsto ricorrendo agli effetti speciali elettronici per rappresentare un Giappone antico, dagli sterminati campi verdi, “naturale”. Il digitale al servizio del vegetale potremmo dire… Ma già nella sceneggiatura del cartoon Roujin Z, diretto nel 1991 da Hiroyuki Kitakubo, m’ ero divertito a scombussolare i soliti ingredienti, ritenuti allora indispensabili nella science fiction nipponica: le ragazzine e i robot. Prendendo ragazzine e robot, ma – ecco la mia rivincita – anche un terzo incomodo: un vecchio. Con tutto l’ apparato conseguente, davvero fantascientifico, di cure mediche e incombenze da badante.»

L’intervista continua e finisce sulle pagine di Repubblica

Non ci resta che attendere i primi capitoli di questa nuova opera del Maestro Otomo pubblicati, ricordiamolo, sulla rivista Weekly Shonen Sunday.

In Italia il manga di Akira è stato recentemente ripublicato dalla Planet Manga in una Seconda Ristampa mentre la Dynit ha i diritti del film.

Dedicato al direttore Masao Yoshida.

Fonte Consultata:
Repubblica.it


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