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Autore Topic: Recensioni comics ,graphic novel e altro...  (Letto 4355 volte)
oayu rrme
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« il: 06 Gennaio 2011, 14:54:53 »

Recensione: Assedio n. 1-2

http://www.mangaforever.net/19396/recensione-assedio-nn-1-2-panini-comics.html

Citazione
Autori: Brian M. Bendis, Olivier Coipel, Brian Reed, Chris Samnee
Casa Editrice: Panini Comics
Provenienza: USA
Prezzo: € 3,30 cad.


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Assedio rappresenta il culmine di circa sette anni di gestione dello scrittore Brian M. Bendis al timone delle principali serie Marvel, come quelle dei Vendicatori.

Bendis ha voluto scuotere sin dalle fondamenta l’universo Marvel e portare una ventata di freschezza, non lesinando su colpi di scena, morti e abbandoni. Tutti i cambiamenti più epocali sono stati scanditi da storyline o miniserie specifiche, come Vendicatori Divisi, House of M, Secret Invasion, fino ad arrivare al Dark Reign, non una miniserie vera e propria, ma un nuovo status quo causato dalle conseguenze dell’invasione aliena Skrull.

L’idea di far diventare Norman Osborn, storico nemico dell’Uomo Ragno, uno degli uomini più potenti del mondo, spodestando in tutto e per tutto il povero Tony Stark / Iron Man, è sicuramente molto accattivante e ha dato modo agli autori di denunciare anche alcuni aspetti negativi della vecchia presidenza Bush, come la sua politica aggressiva e guerrafondaia.

Osborn è sicuramente un personaggio molto carismatico, che aveva già dato buona prova di sé nello splendido ciclo dei Thunderbolts scritto da Warren Ellis, di cui Dark Avengers è diventato, di fatto, la diretta prosecuzione, con il sempre ottimo e crepuscolare Mike Deodato Jr. alle matite e il nostro Bendis ai testi.

Era quasi scontato, però, che tutto questo potere sarebbe stato difficile da gestire alla lunga, considerando soprattutto l’instabilità mentale di Osborn. Ed è proprio in Assedio, infatti, che spinto dagli interessi di Loki il dio dell’inganno, il nuovo capo dei Vendicatori decide di fare il passo più lungo della gamba e attaccare Asgard: dimora degli dei nordici, attualmente fluttuante sopra i cieli di Broxton, in Oklahoma.

Bendis stavolta non perde troppo tempo in chiacchiere e ci catapulta subito nell’azione, prima mostrandoci la tragedia studiata a tavolino da Loki, ispirato dai fatti di Civil War, che gli fornisce la scusa per iniziare l’attacco e poi, nel giro di poche pagine, assistiamo all’inizio di una delle più feroci e violente battaglie mai viste nell’universo Marvel.

Il personaggio chiave di questi primi due episodi è sicuramente Ares, dio della guerra, attualmente in forze presso le fila dei Vendicatori di Osborn, ma pur sempre vicino anche alle divinità asgardiane. Benchè sia titubante, alla fine Osborn riuscirà a convincerlo a partecipare, ma basteranno pochi minuti di battaglia per fargli comprendere che questa guerra è sbagliata e tutto ciò che gli era stato detto non erano altro che menzogne.

A questo punto Osborn sarà costretto a sguinzagliargli contro il suo “cane da guardia”, ovvero Sentry ( altro personaggio chiave della storia ) contro il quale imbastirà uno scontro che rimarrà negli annali per l’alto tasso di spettacolarità e violenza, e il cui finale lascerà a bocca aperta più di un fan….

Come era facile immaginarsi, nella miniserie principale viene data rilevanza più che altro all’azione e all’aspetto più fracassone della storia, tra l’altro reso alla perfezione dalle tavole dinamiche e di forte impatto di un ispiratissimo Olivier Coipel, nonché dall’ottima sceneggiatura di Bendis.

Per gli approfondimenti è consigliabile leggere i vari tie-in dell’evento nelle serie regolari o anche la serie pubblicata qui in Italia in appendice alla mini principale, ovvero Siege:Embedded, scritta da Brian Reed e disegnata dal bravo Chris Samnee.

Così come avveniva in Frontline, anche qui il protagonista è il giornalista Ben Urich, che ci fornisce il punto di vista dell’uomo comune di fronte a quest’ennesima catastrofe che si sta abbattendo nell’universo Marvel. In particolare, qui si punta il dito sulla libertà d’informazione e su quanto sia facile manipolare l’opinione pubblica grazie ai media. Sicuramente un tema di forte attualità, su cui è giusto riflettere…


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Voto: 7,5



Recensione Swamp Thing – Genesi Oscura – Planeta DeAgostini

http://www.mangaforever.net/16446/recensione-swamp-thing-genesi-oscura-planeta-deagostini.html

Citazione
Autori: Len Wein (testi), Bernie Wrightson (disegni)
Casa Editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 16,95 16,8 x 25,7 pp. 240


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Len Wein è, a mio avviso, un eroe non celebrato. E non solo perché è stato uno dei migliori e più attivi sceneggiatori di comics degli anni settanta. Ma anche perché è lui che ha creato personaggi che, a conti fatti, si sono rivelati fondamentali per l’evoluzione dei fumetti USA, nonché estremamente redditizi, per ciò che concerne le dinamiche di mercato.

Len Wein, infatti, è l’inventore di Wolverine, cioè un character che ha fatto guadagnare tantissimo alla Marvel. Anche se l’artigliato canadese è diventato l’eroe suggestivo che è ancora oggi grazie all’impeccabile lavoro di Claremont, pochi sanno che Logan è farina del sacco di Wein. E c’è pure un altro personaggio da lui immaginato, stavolta per la DC, e che si è rivelato altrettanto importante: Swamp Thing, la mostruosa Cosa della Palude.

Qualcuno potrà affermare che la popolarità di Swampy non è paragonabile a quella di Wolvie e avrebbe ragione. Ma bisogna considerare che un certo Alan Moore iniziò a innovare profondamente il fumetto americano occupandosi proprio del mostro di Len Wein (autore, peraltro, che Moore ha sempre stimato profondamente!). E Swamp Thing è stato protagonisti di film e telefilm di discreto successo, dimostrando, quindi, di possedere una rilevanza anche mediatica.

Len Wein lo creò nei primi anni settanta, appunto, quando i fumetti horror, sia alla Marvel sia alla DC, avevano un buon successo di pubblico. E tali produzioni erano spesso di qualità. La Marvel estasiava i lettori con Ghost Rider, Werewolf By Night e Monster of Frankenstein, inizialmente tutti illustrati dal grande Mike Ploog; o con lo splendido Tomb of Dracula di Marv Wolfman e Gene Colan e con il bizzarro Man-Thing, scritto da Steve Gerber, imperniato su un personaggio, in un certo senso, simile a Swampy.

La DC, dal canto suo, rispondeva con le altrettanto memorabili House of Mystery e House of Secrets e, ovviamente, con Swamp Thing. Len Wein e Bernie Wrightson introdussero la creatura in una storiella di dieci pagine che ebbe un certo riscontro; come spiega Wein nell’introduzione al volume Genesi Oscura, che comprende tale storiella e i primi undici episodi del serial regolare, i boss DC chiesero ai due di imbastire un mensile regolare sul mostro.

Tuttavia, Wein e Wrightson non accontentarono la DC, salvo poi ricredersi successivamente. Quando, però, la casa editrice varò la serie, Wein e Wrightson non riproposero il personaggio del primo, breve episodio, ambientato in epoca ottocentesca, ma inventarono una nuova versione di Swamp Thing, che agiva in un contesto contemporaneo. Lo scienziato Alec Holland, dunque, intento a compiere un esperimento per conto del governo americano, viene ucciso da alcuni malintenzionati. Ma, per una serie di vicissitudini, non muore e si trasforma in una tormentata creatura di radici e fango. Da qui iniziano le sue vicende, caratterizzate dalla voglia di vendetta di Swampy e dal suo disperato tentativo di recuperare l’umanità e di ricongiungersi alla moglie Linda.

I testi di Wein risentono delle convenzioni stilistiche dei seventies, così come le situazioni da lui descritte. Il mostro, infatti, affronterà scienziati pazzi, esseri mostruosi (come, per esempio, gli Un-Men, recentemente protagonisti di un serial Vertigo), licantropi, streghe. E non mancano le apparizioni di super-eroi come Batman. Ma è anche qui che verranno inseriti personaggi essenziali come il folle Dr. Arcane e la sua bellissima figlia Abigail. I disegni di Wrightson non hanno assolutamente perso nulla della loro valenza suggestiva ed è stato proprio con quest’opera che l’artista si è costruito una carriera come maestro dell’illustrazione macabra. E il volume, oltre ad essere un classico della DC e del fumetto americano in generale, andrebbe letto anche solo per questi disegni.

Quando, dopo undici episodi, Wein e Wrightson abbandonarono la serie, se ne occuparono numerosi cartoonists che, comunque, in linea di massima, non resero giustizia alla validità della creatura di Wein. Poi, nei primi anni ottanta, arriverà Alan Moore, che stravolgerà il personaggio, il mensile e, per riflesso, il comicdom statunitense; e in seguito nascerà la divisione Vertigo, con la serie che diventerà uno dei prodotti di punta di tale linea editoriale. E il resto è storia. Ma è in Genesi Oscura che tutto è iniziato. E varrebbe quindi la pena leggerlo per onorare quell’eroe non celebrato che è stato Len Wein. Se poi Planeta proponesse pure le storie di Moore, farebbe cosa buona e giusta.


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Voto: 8



Per saperne di più sul personaggio:

http://www.termidoro.altervista.org/Swamp%20Thing.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Swamp_Thing
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« Risposta #1 il: 19 Marzo 2011, 17:32:16 »

Recensione: Swamp Thing di Grant Morrison e Mark Millar

http://www.mangaforever.net/23480/recensione-swamp-grant-morrison-mark-millar.html

Citazione
Autori: Grant Morrison, Mark Millar (testi), Phil Hester, Kim De Mulder, Phil Jiménez, Chris Weston (disegni)
Casa editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 35,00, 15 x 23, pp. 456



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Dopo i volumi dedicati a Black Orchid e Kid Eternity, la collana La Biblioteca di Lucien, imperniata su interi serial o particolari sequenze delle più rappresentative serie Vertigo, si arricchisce di quello dedicato alla run che la celeberrima coppia Grant Morrison/Mark Millar realizzò per Swamp Thing, il comic-book della Cosa della Palude, varato negli anni settanta da Len Wein e Bernie Wrightson.

Se all’epoca Morrison era famoso per opere dirompenti come Animal Man, Doom Patrol o Arkham Asylum, Mark Millar era al suo esordio negli Stati Uniti; i due, però, in Gran Bretagna avevano già lavorato insieme e sconvolto i lettori inglesi con le avventure allucinanti di Big Dave. Swamp Thing, peraltro, costituiva un rischio per Millar e Morrison, dal momento che la serie aveva assunto una valenza mitica grazie ad Alan Moore, che nei primi anni ottanta rivoluzionò con essa il fumetto americano, dando vita alla British Invasion.

Dopo l’abbandono di Moore, il serial era passato a Rick Veitch, che aveva fatto un buon lavoro; ma in seguito autori come Dick Foreman o Nancy A. Collins non si erano dimostrati al livello dei predecessori. Incuranti di essere messi a confronto con il sommo Moore, il duo Morrison/Millar partì subito in quarta, delineando una story-line pazzesca e stravagante. Tali storie possono essere lette in questo libro che comprende i nn.140-157 del mensile.

Moore, nell’arco di due episodi, aveva stravolto Swamp Thing: se prima era un uomo che, a causa di un incidente, si trasformava in un mostro vegetale, il Magus stabilì che si trattava del contrario: era una pianta che credeva di essere uomo. Con attitudine contrapposta ma nello stesso tempo speculare a quella di Moore, quindi, Morrison e Millar iniziano la loro gestione con Alec Holland (alter ego umano di Swampy) che un giorno si sveglia e scopre di non essere mai stato una creatura mostruosa e che ciò che ha creduto di sperimentare era un delirio provocato da un allucinogeno. Ma è veramente così?

I due scrittori intessono una trama complessa, con riferimenti alla psichedelia, lo sciamanismo, con echi di Burroughs, Ginsberg, Terence McKenna, misticismo alla Castaneda, e un tocco New Age. E man mano che le vicende si dipanano, le situazioni si fanno sempre più sconcertanti: virus sessuali, non morte che si prostituiscono, necrofilia, accenni biblici, omaggi a Vonnegutt, citazioni di Billie Holiday e dei Led Zeppelin, suggestioni mutuate dal cinema di David Lynch e influssi di ‘Scorpio Rising’ del satanista Kenneth Anger, stilemi espressivi del romanticismo inglese, del gotico sudista alla Faulkner, della new wave di Ballard e della science-fiction di Spinrad (c’è addirittura Adolf Hitler che sposa Marilyn Monroe!).

Ma trattandosi di un fumetto DC, appaiono anche vari personaggi della sezione occulta dell’etichetta come Deadman, il Dr. Fate, lo Spettro, Sargon lo Stregone (che ha un ruolo chiave nella story-line) o una versione alternativa di Solomon Grundy e non mancano flashback riguardanti Crisis. Il tutto in un piacevole mix di fantascienza e horror, con mondi paralleli alla Philip K. Dick e una impronta testuale e narrativa che spazia da Joyce al post-modernismo. La storia del volume è la cronaca avvincente del percorso iniziatico di Swamp Thing, costretto, suo malgrado, ad affrontare prove sempre più letali, frutto delle macchinazioni del Parlamento degli Alberi e del Parlamento delle Pietre, con rimandi alle tradizioni ancestrali del bayou della Lousiana, di Stonehenge e della Foresta Nera germanica.

I testi sono di gran livello ma la parte grafica è discontinua: Phil Hester e Kim De Mulder sono efficaci ma ci volevano pencilers di maggiore impatto e solo Chris Weston e Phil Jiménez si dimostrano superiori alla media. Forse questa gestione non è paragonabile, per importanza, a quella di Moore, ma è un lavoro di qualità e merita di essere letta. C’è, però, un appunto che mi sento di fare, non tanto sull’opera quanto sulla proposta editoriale della Planeta. La run in questione, infatti, è più godibile se letta dopo quella di Moore; di conseguenza, sarebbe stato preferibile pubblicare prima la gestione del Bardo di Northampton. Pazienza.




Recensione Marvels – L’occhio della fotocamera – Panini Comics:


http://www.mangaforever.net/16176/recensione-marvels-locchio-telecamera-panini-comics.html

Citazione
Autori: Kurt Busiek (testi), Jay Anacleto (disegni)
Casa Editrice: Panini Comics
Provenienza: USA
Prezzo: 13.00 euro, 17×26, B., 144 pp., col.



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In principio c’è stato Marvels.
Storica miniserie del 1994, la sua pubblicazione è stata un evento epocale nella storia editoriale della Casa delle idee. Con Busiek ai testi e un sontuoso Alex Ross ai dipinti, Marvels mostrava attraverso gli occhi delle persone comuni eventi cardine che accaddero nell’universo Marvel dagli anni Quaranta ai primi anni Settanta.
Protagonista principale era Phil Sheldon, fotografo freelance, che attraverso le sue fotografie documentava dubbi e sensazioni che l’avvento dei primi eroi in costume  provocò nei cittadini comuni.
Marvels è uno splendido racconto di nostalgia, un gesto d’amore dei suoi autori verso le storie del periodo bellico e della Silver Age. Con la sua narrazione Busiek ci trasporta dal periodo più leggero dei supereroi fino alla morte di Gwen Stacy, prima avvisaglia del cambiamento verso la drammaticità delle atmosfere delle storie.
Dopo quasi quindici anni Marvels ci viene ora riproposto in una nuova miniserie e ritorna anche Phil Sheldon, il suo principale protagonista.

La più grossa differenza tra la prima miniserie e L’occhio della fotocamera è il clima urbano che risulta cambiato in modo radicale. Le gesta degli eroi non sono più limpide come un tempo, essi sono subdoli, ambigui e dall’aspetto spesso terrificante. Sheldon dovrà immortalare con le sue foto la nuova percezione dei vigilantes e allo stesso tempo combattere la sua battaglia personale contro il cancro che inesorabilmente lo sta uccidendo.
La mole degli eventi racchiusi in questa miniserie è ampia e articolata, Sheldon si sforza di comprendere e documentare i fatti attraverso la sua macchina fotografica ma spesso il mondo attorno a lui sembra andare contro ogni logica. Come riuscire infatti a spiegare l’avvento dell’Arcano e le conseguenti Guerre Segrete? Come documentare le sempre più frequenti invasioni aliene? E La riabilitazione del terrorista mutante Magneto? Fatti ed episodi che spesso per la gente comune accadono, ma rimangono senza una risposta plausibile.

L’occhio della fotocamera nel suo complesso purtroppo risente del fatto di essere un sequel. Visto il precedente, le aspettative riposte in questa miniserie erano alte e alla fine mantenute solo in parte. Dal canto suo Busiek cerca di spostare l’attenzione maggiormente su Sheldon che diventa a tutti gli effetti l’assoluto protagonista della seconda miniserie.

Anche l’aspetto grafico a cura di Jay Anacleto, deve fare i conti inevitabilmente con il suo illustre predecessore.
Se Alex Ross in Marvels utilizzò con eccellenti risultati la tecnica dell’illustrazione fotorealistica realizzata su stampe fotografiche, Anacleto utilizza un approccio più iperrealista e più pittorico, realizzando cosi tavole dall’atmosfera più oscura, esattamente come la storia dai risvolti tenebrosi di Busiek richiede.

Da amante della storia Marvel, un grosso difetto dell’edizione italiana è la quasi totale assenza delle note. Vista l’importate mole di avvenimenti in continuity con l’universo Marvel che accadono nella miniserie, avrei gradito di trovare almeno in fondo al volume una pagina con i riferimenti degli albi dove si svolsero gli episodi citati da Busiek.

L’occhio della fotocamera, nonostante i suoi piccoli difetti, è una buona storia da leggere e apprezzare nel suo insieme ma non si può parlare di capolavoro. Questa miniserie è dedicata a chi legge fumetti Marvel da una vita, ma anche a chi cerca in un fumetto una storia toccante e umana nonostante che tra le sue pagine ci siano tanti personaggi che spiccano il volo.



Voto 7



Kick-Ass | Recensione:

http://www.everyeye.it/anime/articoli/kick-ass_recensione_12502
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« Risposta #2 il: 21 Marzo 2011, 07:42:37 »

Mi è piaciuto parecchio, anche se lacritica è facile da farsi, Assedio...

Facile da farsi perchè appunto "Troppo Fracasso!" Troppo caos...Iniziano sempre così questi ultimi cross Over della marvel inizialmente non succede nulla poi un Maelstrom in cui lentamente tutto precipita...ogni certezza, convenzione..idea...

E purtroppo devo dire che da quanto ho capito con la nuova Cross dedicata alla Paura, attualmente in corso, le cose continuano sulla stessa strada...

Swan Thingh è un'opera classica, non la compresi bene quando uscii..da recuperare...

Ho avuto modo in queste ultime settimane di leggere, finalmente, Chosp, il primo volume della serie creata da Barbucci, per la Planeta

Una nota e qualche immagine

http://www.animeclick.it/news/24329-barbucci-presenta-chosp-euro-manga-un-po-one-piece-un-po-drslump

Nella mia città - non è proprio piccola ma non grande - c'è una pseudo fumetteria, pseudo sia chiaro - , a cui ogni tanto arrivano anche queste cosette che altrimenti potremmo avere solo on line e io sono di una pigrizia a volte assurda...- chiarito questo....

La storia è anche meglio di come viene descritta nelle note di Scuola di Fumetto è una tipica Quest comica in cui il giovanissimo protagonista, Chosp, che vive in un'isola che è una spece di gigantesco resort di lusso di star bellissime, tutte modificate dal vero cattivo, il Mega Chirurgo, isola guidata dai suoi genitori, la madre è la classica starlette, svampita in pubblico e dominante a casa il padre, il Governatore è la controfigura di Swarzy in pubblico a casa...Mah! I 2 fratelli sono vere iene...



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Una volta scoperto che è un figlio adottivo, tutta colpa dei dispettucci fatti alla madre, che non può sopportare di avere un figlio tanto "Orrido!" e praticamente quando esce lo carica di maglioni e sciarpe ( e ne ha cancellato le traccie sulla sua biografia) il buon Chosp si mette alla caccia delle sue "reali Origini" imbarcandosi già da questo primo numero in una marea di guai, ci sono molti personaggi diversi, dalla maghetta dei videogiochi che fà le veci della "maga sapiente" alla giovane spia della polizia Continentale, vera "Guerriera", venuta a scoprire le origini di Chosp, e che resterà impelagata nelle vicende di Chosp, ad un misterioso soggetto che incontreranno sulla loro strada, molte panoramiche sono tratte direttamente dai manga e dai film di Arale, sembra di stare sull'isola a volte, altre volte ici si trova immersi n scenari horror, tutto da vedere l'incontro con "la Vecchina" personaggio escatologico che regge l'intero episodio.. o tratti da qualche film di FS quando la prima recherche li conduce ad indagare su un misterioso "UFO".

Non c'è niente da dire questa nuova opera di Barbucci miscela davvero profumi diversi tecniche diverse, le pagine a colori sono ben fatte, anche se non gli giova il tratto sottile usato da Barbucci ma tant'è, vi sono, però, problemi tecnici nelle traduzioni ( su alcune schede di Anobi si parla apertamente di errori e refusi nella traduzione, e ci sono dei refusi che però non inficianolo scorrere della storia)

Sarà meglio prestare maggior cura a questi elementi SE l'avventura di Chosp proseguirà, grande SE..perchè francamente non mi sembra che vi sia stata grande pubblicità o ricca distribuzione per un'opera che dichiaratamente , fin dal prezzo e dal formato, stà comodamente in una mano e si nasconde nella cartella, punta ad un mercato giovanile, è qualcosa che lascia perplessi...
E' stato annunciato a Lucca, presentate alcune pagine su un paio di riviste, poi ??

Qualcuno lo ha letto ?? E' stato certamente distribuito alla Borsa del Fumetto.
« Ultima modifica: 21 Marzo 2011, 07:45:44 da Debris » Loggato

Dio è ovunque ed ha mille nomi, ma non c'è foglia d'erba che non lo riconosca. Siam venuti assieme sulla terra, perchè non spartirne gioie e dolori? Un saggio Sufi.
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« Risposta #3 il: 16 Luglio 2012, 23:46:44 »

Swamp Thing di Alan Moore vol. 1 – recensione:

http://www.mangaforever.net/27811/swamp-alan-moore-vol-1-recensione


Citazione
Da quando Planeta ha iniziato a proporre i fumetti DC, c’è stata un’opera particolarmente attesa che molti estimatori dell’etichetta statunitense desideravano vedere nel mercato nostrano in un’edizione che la valorizzasse. L’opera in questione è Swamp Thing, serial macabro dedicato alla mostruosa Cosa della Palude e, nello specifico, la leggendaria run scritta da colui che è all’unanimità considerato il più grande autore di comics vivente: il Bardo di Northampton; l’unico, inimitabile Alan Moore.

E finalmente tale run giunge in Italia, con due corposi volumi. Il primo, già disponibile, comprende i nn. 20-34 del comic-book, nonché il secondo annual del mensile. Tali storie costituirono un profondo rinnovamento del fumetto americano e delle sue modalità narrative ed espressive. Per giunta, l’episodio del n. 20 era finora inedito, poiché Moore si limitò a chiudere alcune trame rimaste in sospeso, per poi partire in quarta con le rivoluzionarie invenzioni che sconvolgeranno e ammalieranno i lettori.

La Cosa della Palude era stato inventato dalla mitica coppia Len Wein/Bernie Wrightson negli anni settanta, nel mensile House of Secrets. Si trattava, comunque, di un altro mostro, in una vicenda ambientata agli inizi del Novecento. Il personaggio piacque al pubblico e la DC convinse i due autori a realizzare un serial regolare, imperniato su una versione moderna di Swampy, quella dello sfortunato scienziato Alec Holland che, a causa di un incidente, si trasforma in una mostruosità vegetale, pienamente inserita nel DC Universe.

Specifico che i primi undici episodi, inclusi nel volume Planeta Swamp Thing Genesi Oscura, andrebbero letti prima delle storie di Moore, più che altro perché le sconvolgenti story-line mooriane risulteranno più scioccanti. In ogni caso, la coppia Wein/Wrightson fece un ottimo lavoro; ma, come spesso accade, quando smise di occuparsi di Swampy il mensile subì una serie di alti e bassi qualitativi che lo portarono alla chiusura.

Nei primi anni ottanta la DC creò un nuovo comic-book dalle alterne vicende. Fu così che i lungimiranti Len Wein e Karen Berger contattarono uno scrittore inglese, sconosciuto al fandom americano, sperando che un autore non statunitense potesse portare un tocco di novità nella testata. E fu così.

Moore, dopo il primo episodio, scrisse ‘Lezioni di Anatomia’ che, secondo gli esperti, costituì un momento seminale nei comics a stelle e strisce. Con uno script solido, che dovrebbe essere studiato nelle scuole di sceneggiatura, Moore inserì il lettore nella psiche deviata dell’Uomo Floronico, un villain minore della DC che, di colpo, nelle mani dell’autore britannico, si trasforma in un essere agghiacciante.

Episodio dopo episodio, Moore rinnovò radicalmente lo status di Swamp Thing, coinvolgendo la creatura in un viaggio interiore allucinato e orrorifico in cui il terrore non è suscitato da demoni, spettri, zombi e altri concetti della tradizione horror, peraltro presenti, ma dalle atmosfere claustrofobiche, descritte dai testi riflessivi e lirici di Moore, mutuati dallo stream of consciousness joyciano, la Beat Generation, la poetica di Whitman, non privi di stilemi underground e, di tanto in tanto, di una sensibilità ecologista (molto prima dell’Animal Man di Morrison).

Moore, inoltre, prese personaggi classici come Demon e altri e li riplasmò, rendendoli tridimensionali e vividi (Etrigan e Kamara, la scimmia della paura, inventati da Jack Kirby, furono usati in un episodio dedicato al Re, in un periodo in cui Jack aveva fatto causa alla Marvel per i diritti di Spiderman e compagnia, e in quel modo Alan prese polemicamente posizione a favore di King Jack). La stessa JLA viene descritta come un gruppo di eroi quasi disumani e distaccati dall’uomo comune, utilizzando l’artificio di non citarli per nome ma solo con frasi tipo ‘l’uomo che corre talmente veloce al punto che gli esseri umani gli appaiono come una serie infinita di statue’. Artificio che sarà ripreso da un altro innovatore, Frank Miller, che farà qualcosa di analogo in Born Again.

Se la run di Moore è innovativa, non chiude, però, i ponti con i comics del passato. Oltre all’omaggio a Jack, Moore usa il primo episodio di Wein e Wrightson, inglobandolo nella continuity di Swampy, e inserendolo in una storia dal taglio antologico sullo stile degli horror comics DC dei bei tempi andati, ripescando dall’oblio Caino e Abele e creando, quindi, le premesse di un altro capolavoro, il Sandman di Neil Gaiman.

Dal punto di vista del linguaggio, inoltre, Moore sperimenta in continuazione e il culmine di tali esperimenti sfocia in un altro fenomenale esito creativo: ‘Pog’, uno struggente tributo al grande Walt Kelly, in cui Moore inventa letteralmente una lingua che non è inglese ma un mix dei giochi di parole di Lewis Carroll e dei neologismi del Joyce di ‘Finnegans Wake’.

La parte grafica non è da meno: i disegnatori Rick Veitch e Stephen Bissette (anche se non bisogna trascurare Shawn McManus e Ron Randall) si divertono con il lay-out e la struttura delle tavole è altamente suggestiva, coadiuvati dagli inchiostri di John Totleben e del compianto Alfredo Alcala. Il vertice della loro sperimentazione è esplicitato nell’episodio finale del volume, con la rappresentazione del lisergico rapporto sessuale di Swamp Thing con la bellissima Abigail Arcane: un autentico trip da LSD che visualizza una poesia di Alan Moore e che si collega alla psichedelia dei sixties (con echi, forse, di Jim Steranko).

E poi ci sono citazioni di Goya, riferimenti alla tradizione gotica, alla Divina Commedia o alla leggenda di Orfeo ed Euridice (in particolare nella sequenza ambientata all’Inferno). Ci sarebbe ancora altro da scrivere ma la recensione è di una lunghezza abnorme e mi fermo qui. Aggiungo che l’edizione Planeta ha qualche refuso ma nel complesso è più che accettabile e lo stesso vale per la traduzione. Insomma, questo libro è un must.


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Voto: 9



Recensione: Swamp Thing di Alan Moore 2

http://www.mangaforever.net/38078/recensione-swamp-alan-moore-2

Citazione
Esce il secondo volume che propone la celeberrima saga di Swamp Thing del leggendario Alan Moore, colui che, proprio con questo comic-book, nei primi anni ottanta rivoluzionò il fumetto statunitense, al pari del Frank Miller di Daredevil. L’autore britannico, occupandosi della mostruosa Cosa della Palude inventata da Len Wein e Bernie Wrightson nei seventies, rinnovò profondamente lo status del personaggio, realizzando storie horror caratterizzate da un tocco di lirismo e di profondità psicologica e letteraria inconsuete per gli standard espressivi dell’epoca.

Come sanno coloro che hanno letto il primo volume, se un tempo Swamp Thing era lo sfortunato scienziato Alec Holland che, in seguito a un incidente, moriva e si trasformava nel mostro, Alan Moore stabilì che, in verità, Swamp Thing era di fatto una pianta che credeva di essere un uomo. In poche parole, un elementale, fortemente connesso con il mondo del verde. Oltre a ciò, Moore rese più importante la bellissima Abigail Arcane che, in un episodio passato alla storia dei comics, diviene l’amante delle creatura. Per giunta, lo sceneggiatore britannico inserì Swampy in situazioni impensabili per i canoni degli eighties, in cui l’horror era sempre presente, ma in maniera sofisticata, privo di efferatezze fini a se stesse.

Moore, per giunta, si collegò a una pletora di elementi extrafumettistici che spaziavano dalla letteratura gotica e post-moderna alla Beat Generation, dalle suggestioni underground agli esperimenti narrativi e linguistici che fecero di Swamp Thing uno dei mensili più adulti e colti mai proposti dalla DC Comics. E il secondo volume conferma senza ombra di dubbio tale aspetto.

Peraltro, la lunga e complessa story-line presente nel libro è particolarmente importante poiché in questi episodi fa la sua prima apparizione John Constantine, il detective dell’occulto protagonista di quello che diventerà uno dei mensili di punta della Vertigo, Hellblazer; e molti degli avvenimenti narrati da Moore getteranno le basi proprio per la run iniziale di Hellblazer scritta da Jamie Delano (e, parzialmente, per il Sandman di Neil Gaiman). E queste storie chiariscono in maniera definitiva ciò che Moore intendeva fare con il character e Swamp Thing, grazie a Constantine e al Parlamento degli Alberi, scoprirà le sue potenzialità nonché il suo ruolo nell’ordine del creato.

Molti di questi episodi fanno parte della saga denominata ‘American Gothic’, forse la più famosa in assoluto della gestione di Moore, e, tramite essa, l’autore realizzerà una sconcertante e inquietante analisi degli Stati Uniti, una nazione terrificante, in cui gli orrori autentici non sono rappresentati dagli zombi, i lupi mannari, gli spettri o i vampiri (comunque presenti) ma da devianze più spaventose e reali: l’inquinamento (in un episodio che introduce l’abominevole Nukeface); la violenza nei confronti delle donne e la loro condizione di subalternità (con una storia che suscitò scandalo, dal momento che Moore, esplicitamente, collega la licantropia ai movimenti lunari e ai flussi mestruali e Jim Shooter, all’epoca editor in chief della Marvel, definì quella trama offensiva per l’intero fumetto americano!); l’uso scriteriato delle armi da fuoco (e qui Moore non esita ad attaccare la famiglia Winchester, creatrice dell’omonima arma); e il razzismo (in uno splendido omaggio alle atmosfere voodoo di certa cinematografia a tema zombesco).

E anche quando Moore utilizza i cliché horror, come, per esempio, i vampiri, lo fa in maniera originale e peculiare (i suoi succhiasangue sono acquatici e protagonisti di uno dei numeri forse più claustrofobici dell’intera serie). Mentre, invece, quando si accosta a orrori più terreni, come quello del serial killer Bogeyman, inserisce prepotentemente il lettore nella psiche dell’assassino, narrando l’intero episodio dalla soggettiva di un folle (tecnica che anticipa l’American Psycho di Bret Easton Ellis).

Alan Moore, poi, non dimenticò che Swamp Thing era parte integrante del DC Universe e le vicende di American Gothic si mixano a quelle di Crisis e Moore si diverte a giocare con altri importanti characters del sottobosco occulto della DC: Demon, Deadman, lo Straniero Fantasma, lo Spettro, Zatanna e Zatara, il Dr. Occult, Sargon lo Stregone, il Barone Winter, il Dr. Fate e addirittura Mento della Doom Patrol. Tra echi di Stephen King e strizzate d’occhio a Clive Barker, nonché rimandi alla psichedelia e alle controculture dei sixties, Moore inventa la Brujerìa, una setta della Patagonia, dedita ad agghiaccianti rituali di magia nera, che ha deciso di sferrare un attacco al Paradiso (e qui è evidente l’influenza della narrativa di Bruce Chatwin e del misticismo di Carlos Castaneda).

I testi di Moore sono, ovviamente, letteratura di alto livello e i disegni a dir poco ottimi, opera dei bravissimi Stephen Bissette, Rick Veitch, John Totleben e Stan Woch che con le loro trovate grafiche e gli straordinari lay-out impreziosiscono ulteriormente il volume. Non sono da trascurare nemmeno le chine del compianto Alfredo Alcala e di Ron Randall e i colori della brava Tatjana Wood. Insomma, anche questa seconda uscita dello Swamp Thing di Alan Moore è un must. E la cura editoriale? Be’, pure stavolta segnalo uno ‘Stephen Bisette’ in copertina (d’accordo, sbagliare è umano ma perseverare eccetera eccetera) e, bisogna tenerlo presente, di tanto in tanto qualche refuso c’è. Ciò non toglie che si ha a che fare con un capolavoro indiscusso.

Voto: 8


Swamp Thing di Mark Millar vol. 2 – La Biblioteca di Lucien:

http://www.mangaforever.net/36164/swamp-mark-millar-vol-2-biblioteca-lucien
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« Risposta #4 il: 25 Luglio 2012, 19:42:20 »

Swamp Thing di Alan Moore n. 3 – Recensione:

http://www.mangaforever.net/56255/swamp-alan-moore-3-recensione

Citazione
Quando si riflette su Alan Moore in genere si citano capolavori indiscussi come Watchmen, V For Vendetta, From Hell e altre opere ma c’è un altro splendido esito creativo del Bardo di Northampton: la sua fenomenale run di Swamp Thing. Le storie della Cosa della Palude immaginate dallo scrittore britannico rivestono un’importanza pari a quella dei lavori sopraccitati e hanno avuto una valenza eversiva, se non altro perché apparvero in un comic-book che, almeno formalmente, apparteneva ad una linea editoriale mainstream.

Anzi, è grazie a Swamp Thing se il fumetto americano fu innovato e rivoluzionato e la lunga sequenza di Alan Moore ha avuto il merito di anticipare la divisione for mature readers della DC Comics e cioè la Vertigo. Bisogna lodare quindi il Magus nonché i lungimiranti Len Wein e Karen Berger che diedero allo sceneggiatore la massima libertà espressiva.

Swamp Thing, creato da Wein e Bernie Wrightson negli anni settanta, era un character horror che all’inizio suscitò interesse. Dopo l’abbandono dei due cartoonist, però, la serie a un certo punto chiuse per poi venire riaperta agli inizi degli eigthies senza comunque suscitare grandi entusiasmi. Con il sangue freddo che lo contraddistingue, quando Alan giunse al timone della testata concluse senza tante cerimonie le trame in sospeso e creò un personaggio nuovo, stravolgendo e modificando radicalmente le atmosfere narrative del serial.

Swamp Thing rimaneva un comic-book horror ma l’orrore era psicologico e, benché non mancassero i cliché della tradizione gotica (vampiri, demoni, lupi mannari, spettri, e così via) Moore non ricorse a facili efferatezze, descrivendo un’America desolata e inquieta in cui le brutture più angoscianti non erano rappresentate dalle creature mostruose quanto dal razzismo, dalla mentalità reazionaria, dall’inquinamento, dal materialismo. I testi, inoltre, erano lirici e musicali, di chiara matrice letteraria, inusuali per i comics dell’epoca, ancorati a stilemi espressivi più convenzionali, e ricchi di rimandi alla poesia di Whitman, alla Beat Generation, alle controculture dei sixties. In un certo qual modo, Moore inserì suggestioni underground in una pubblicazione made in DC Comics, casa editrice considerata tradizionale.

Anche dal punto di vista tematico Moore osò molto, arrivando ad affrontare l’argomento della sessualità, con eleganza e raffinatezza, coinvolgendo direttamente la Cosa della Palude e la bellissima Abigail Arcane. La saga ‘American Gothic’, imperniata sulle macchinazioni della terribile Brujerìa, rappresentò inoltre la definitiva consacrazione della serie e del suo autore. Dopo la pubblicazione dei primi due volumi da parte della Planeta giunge in libreria quello che porta a conclusione la run di Moore, proposto da RW-Lion. Il libro include i nn. 51-64 del mensile originale, con un episodio scritto da Rick Veitch (che in seguito sostituirà Alan).

Se in precedenza Moore aveva insistito con l’horror, benché in maniera peculiare, nei numeri finali della sua gestione si avvicina alla fantascienza, filtrata da particolari che richiamano la new wave ballardiana, le visioni paranoiche di Philip K. Dick e qualche elemento cyberpunk; e i testi sono, come al solito, estremamente musicali e intensi e in alcuni momenti echeggiano gli esperimenti linguistici carroliani e joyciani (Alan, come aveva già fatto in ‘Pog’, inventa due lingue, il ranniano e il thanagariano nell’episodio in cui Swampy finisce sul pianeta Rann).

Dopo aver sconfitto la Brujerìa, Swampy deve salvare la sua amata Abigail da una nuova minaccia: quella del pregiudizio. Qualcuno, infatti, ha scoperto la sua relazione con la creatura e la ragazza viene denunciata per ‘crimini contro natura’. Con queste storie Alan punta il dito contro il moralismo retrivo dei bigotti, denunciando esplicitamente la mentalità fondamentalista di una parte della società statunitense. Ma non rinuncia ad utilizzare personaggi del cosmo DC come Batman, inizialmente simbolo del potere costituito e successivamente vigilante non privo di dubbi sulla liceità di certe rigide regole.

Dopodiché Swampy finisce nello spazio e qui Alan si sbizzarrisce con una sequenza incredibilmente psichedelica (le influenze delle teorie di Timothy Leary, degli allucinogeni e delle sostanze psicotrope sono palesi), con pianeti azzurri, piante aliene, strani componenti del Corpo delle Lanterne Verdi, un classico DC hero come Adam Strange sottoposto al trattamento mooriano (Adam, nella versione di Alan, è uno sprovveduto cowboy dello spazio che pensa al sesso!). In certi momenti, lo stile ricorda quello del cut-up burroughsiano e ciò è evidente nello straordinario episodio del n. 60.

In questo caso, l’ottimo John Totleben realizzò una serie di splash page, vere e proprie illustrazioni tra pop-art, psichedelia e astrattismo, e Moore inserì testi sperimentali relativi a una inconcepibile love story extraterrestre che rimanda alla narrativa hard science-fiction. Molti dettagli di questi episodi hanno poi fornito spunti ad autori come Neil Gaiman, James Robinson e Grant Morrison e i profondi conoscitori della produzione DC non mancheranno di accorgersene. Per giunta, considerando in che modo Alan usa character come Bats o Lex Luthor, c’è da pensare a come sarebbe potuto essere il DCU se il Magus avesse avuto la possibilità di giocarci in maniera più approfondita. E non rinuncia neanche, quando necessario, a collegarsi agli episodi classici di Wein (tramite l’Uomo Patchwork) o a quelli meno riusciti di Martin Pasko (con la tormentata Liz Tremayne che entrerà nella vita del bizzarro hippy Chester).

Quanto alla parte grafica, John Totleben, Rick Veitch e Stephen Bissette fanno un lavoro eccellente, con una costruzione inventiva delle tavole e un cromatismo esasperato in linea con l’eccentrica fantasia di Moore, in uno dei rari casi di perfetto equilibrio tra testo e immagine. Anche Veith, come scrivevo all’inizio, si cimenta nei testi di un episodio e, seguendo l’esempio di Alan, stravolge una classica invenzione kirbyana, Metron, in una vicenda, tanto per cambiare, dai forti contenuti allucinatori.

Riflessioni sul male. Sull’amore. Sulle precarie condizioni ambientali del pianeta (e questo prima dell’Animal Man di Morrison). Sulla natura corrotta del potere. Nonché sulla narrazione, spesso compromessa da esigenze commerciali (non trascurate la pagina finale dove una controfigura dello stesso Moore esprime tra le righe critiche al vetriolo nei confronti dell’aridità delle grandi compagnie!). Tutto ciò è stato ed è lo Swamp Thing di Alan Moore. Non lasciatevi sfuggire questa pietra miliare del fumetto americano e mondiale.

Voto: 8


The Books of Magic di Neil Gaiman – Recensione:

http://www.mangaforever.net/62149/the-books-of-magic-di-neil-gaiman-recensione

Citazione
Il successo di Swamp Thing, Hellblazer e Sandman, grazie all’operato dei britannici Alan Moore, Jamie Delano e Neil Gaiman che si differenziarono dalla quasi totalità degli autori DC, ebbe il merito di suscitare l’interesse dei lettori nei confronti dei personaggi del DCU collegati alla magia, il misticismo e l’esoterismo. Del resto, nell’affascinante mondo di Superman, Batman e company la magia era rilevante, molto più che nel Marvel Universe (malgrado la presenza di un character storico come il Dr. Strange) e non erano pochi i mensili contrassegnati da atmosfere occulte lontane da quelle più fantascientifiche delle storie dei supereroi.

Ciò spinse la lungimirante Karen Berger a mettere ordine nel sottobosco esoterico della DC con una miniserie Vertigo che facesse apparire tutti i character di questo tipo, come se si trattasse di una guida, tanto per intenderci. E ricorrere a Neil Gaiman che in quel periodo stava facendo impazzire tutti con le splendide avventure di Morfeo fu un passo obbligato. Neil accettò l’idea e ne approfittò per scrivere una storia in quattro parti basata, ovviamente, sulla magia e sull’occultismo e imperniata sui concetti di viaggio spirituale e di crescita interiore, tramite un personaggio di sua invenzione, il dodicenne Tim Hunter che, è chiaro sin dal principio, ha le potenzialità per diventare il più grande mago della storia.

In un certo qual modo, Tim anticipò Harry Potter, anche nel look (impostato da John Bolton che ebbe la curiosa idea di rappresentarlo con le fattezze di suo figlio); ma non ottenne il successo del maghetto della Rowling. Tuttavia, The Books of Magic, vero e proprio manuale dell’occultismo made in DC, ebbe un’ottima accoglienza e fu l’ennesimo successo del geniale Neil (e dopo ci fu una serie regolare di minor fortuna scritta da John Ney Rieber).

In un giorno qualsiasi, Tim Hunter viene avvicinato da quattro individui: il misterioso Straniero Fantasma; l’incorreggibile John Constantine; lo psicotico Mister E; e l’enigmatico Dr. Occult. Gaiman li scelse per simboleggiare le diverse concezioni della magia esistenti e anche perché tutti indossavano un trench (e John conia la definizione ‘La Brigata dell’Apocalisse in Trench’ che avrà fortuna). Gli occultisti rivelano a Tim la sua situazione e si offrono di guidarlo negli ambienti pericolosi della magia. Alla fine del magical mystery tour, Tim dovrà compiere una scelta: diventare un mago o vivere come un ragazzino qualsiasi. L’ingenuo Tim accetta e il viaggio inizia.

Nel primo episodio, lo Straniero Fantasma conduce Tim nel passato ancestrale del cosmo DC, facendolo assistere alla caduta di Lucifero, la distruzione di Atlantide, l’avvento di Merlino e così via, e mettendolo in contatto con i defunti Zatara, Sargon Lo Stregone e molti altri personaggi. Tornato nel presente, nel secondo capitolo, tocca a John Constantine presentare a Tim gli occultisti odierni, a cominciare dalla sexy Zatanna (che giocherà un ruolo importante nella trama), per continuare con la non meno attraente Madame Xanadu, senza trascurare Deadman, lo Spettro, il Barone Winter, il Dr. Fate, villains come Wizard e Felix Faust e tantissimi altri character.

In seguito, il Dr. Occult (coadiuvato dalla controparte femminile Rose) porterà Tim nelle numerose dimensioni magiche esistenti nell’Universo DC e qui Gaiman si avvicina alle atmosfere fiabesche e sognanti di Sandman. Appaiono Morfeo, infatti, e Caino e Abele e l’intero mondo di Fairie e le creature ad essa legate come la terribile Baba Yaga o la splendida Titania. Dopodiché, il folle Mr. E farà conoscere a Tim il futuro, fino ad arrivare alla fine del tempo con tanto di Destino e Death degli Eterni a chiudere il ciclo dell’esistenza e qui le cose per Tim si faranno rischiose, con un finale inaspettato.

I testi di Neil Gaiman sono ottimi e lo scrittore utilizza molteplici registri espressivi: l’intimista, lo stream of consciusness, il post-moderno, inserendo inoltre poesie, testi di canzoni e svariato materiale. Ma a rendere The Books of Magic memorabile fu pure la parte grafica. L’eccezionale John Bolton visualizza con uno stile fotografico il passato, collegandosi a tante suggestioni estetiche: l’arte greco-romana; l’iconografia giapponese; le incisioni medioevali relative alla caccia alle streghe con una maestria mozzafiato. Scott Hampton, dal canto suo, sceglie la tecnica ad acquarello per illustrare ambienti tenebrosi e oscuri di grande impatto visivo. Charles Vess, invece, si avvicina alla tradizione illustrativa dei libri fantasy e fiabeschi con eleganza e raffinatezza innegabili; e Paul Johnson si ricollega all’impostazione pittorica iniziale con una costruzione decisamente efficace e inusuale del lay-out, sebbene a tratti un po’ confusionaria.

The Books of Magic, in poche parole, è un lavoro di qualità elevata e non può mancare nella collezione dei DC fan. Bisogna però precisare che l’attuale edizione RW-Lion non è migliore delle precedenti, anzi! Ci sono refusi e ho trovato discutibili alcune scelte di traduzione. E questo gioiello dello scrittore di Sandman avrebbe senza dubbio meritato maggiore cura. Peccato.


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Voto: 8


Neonomicon di Alan Moore: Recensione

http://www.mangaforever.net/49051/neonomicon-alan-moore-recensione
http://www.fantascienza.com/magazine/fumetti/16413/neonomicon/

Citazione
Autore dalla carriera movimentata e dai molteplici interessi Alan Moore appartiene di diritto alla sparuta pattuglia di fumettisti che, a partire dagli anni ottanta, ha rinnovato il mondo supereroistico, indirizzandolo verso una strada più oscura e realistica.

Tra le sue opere più celebri è doveroso citare Watchmen, V for Vendetta, From hell e La lega degli straordinari gentlemen, oltre a The killing joke, straordinaria rilettura delle origini di un'icona del fumetto, il Joker, terrore delle notti di Gotham City.

Con Neonomicon è la volta dei miti di Crhulhu,, lo straordinario universo creato da Howard Phillips Lovecraft, a dover affrontare un nuovo inizio, anche in questo caso il risultato è eccezionale.

 

Quindici omicidi, eseguiti tutti con lo stesso macabro rituale, uno dei tanti serial killer che funestano le strade americane, ma stavolta c'è qualcosa di diverso, i macabri conti non tornano: gli omicidi sono stati compiuti da persone differenti, apparentemente senza nessun legame tra loro.

Tre persone hanno confessato un totale di tredici omicidi, non si sa chi ha ucciso le due vittime restanti, e soprattutto non si riesce a trovare un nesso tra i differenti episodi.

L'agente federale Aldo Sax viene incaricato di seguire le indagini, la sua capacità di saper cogliere le anomalie e ricavare indizi da elementi apparentemente insignificanti sembra essere la sola possibilità di risolvere il caso.

Sax collega alcune labili tracce che lo portano al Club Zothique, un locale equivoco nei bassifondi di New York, e sulle tracce di Johnny Carcosa, uno spacciatore  che sembra essere in possesso di una nuova e potentissima droga.

Purtroppo le indagini si spingono troppo lontano, tanto che Sax cade preda della follia, diventando uno degli assassini a cui stava dando la caccia.

Qualche anno dopo gli agenti fedrali Gordon Lampers e Merril Brears, incaricati di scoprire le cause di quella che sembra essere un'epidemia di omicidi rituali, visitano Sax in manicomio, ma senza molta fortuna.

Il loro ex collega parla solo una lingua inesistente e incomprensibile, solo quando Brears nomina il Club Zothique Sax di colpo si ammutolisce, questo porta i federali a indagare sul locale.

Oltre che fulcro delle indagini che portarono alla follia Sax il Club Zothique risulta essere stato una vecchia chiesa già sede di una setta di satanisti, sgominata da una operazione di polizia nel 1925.

Il luogo sembra essere il centro di qualcosa di losco e macabro, pertanto i federali decidono di fare irruzione nel locale e catturare Carcosa, che ancora lo utilizza come base operativa.

L'operazione è un insuccesso, ma frutta altri indizi che portano Lampers e Brears a Salem, nel Massachusetts, dove un piccolo negozio sembra essere una copertura per qualcosa di oscuro.

 

Come lo stesso autore ha spiegato Neonomicon nasce sulla spinta di una necessità economica, in un momento di difficoltà Moore ricevette una cartella esattoriale che non sapeva come pagare.

Quando William Christensen della Avatar gli chiese se avesse qualcosa per la sua casa editrice Moore prese la palla al balzo, proponendo di scrivere una miniserie di quattro numeri con pagamento anticipato.

A dire il vero quando un prodotto nasce da una spinta "alimentare" più che dall'ispirazione artistica questo non depone a favore della qualità dell'opera, ma è il prodotto finale che si deve giudicare.

Dico subito che Neonomicon non è all'altezza dei capolavori di Moore, ma si tratta comunque di un'opera di alto livello, che ha tuttavia alcuni limiti.

I continui richiami a Lovecraft e agli altri autori che hanno costruito la complessa cosmogonia cthuliana rende difficile, per chi non ha una minima conoscenza dell'opera dello scrittore di Provedence, seguire appieno la vicenda.

Per contro questa riscrittura dell'universo dei Miti di Cthulhu è assolutamente coinvolgente per chi conosce a fondo l'opera di Lovecraft e dei suoi emuli: il titolo stesso richiama il più famoso pseudobiblion, il Necronomicon, scritto dall'arabo pazzo  Abdul Alhazred, volume che rende pazzi semplicemente leggendolo.

Ma quasi a ogni pagina luoghi, personaggi, vicende e immagini immergono l'appassionato in un mondo famigliare, per quanto orribile; per chi come me ama il Solitario di Providence e le sue opere un vero gioiello.

Un altro aspetto che potrebbe rendere ardua la lettura di Neonomicon è l'estrema crudezza delle immagino, scientemente Moore non nasconde nulla, i riti innominabili non vengono solo accennati, e il sesso non è per nulla bandito, anzi occupa una parte importante.

Il disegnatore è Jacen Burrows, il cui tratto nitido e realistico non mi sembra del tutto adatto a una storia del genere, va detto comunque che le sue tavole sono estremamente dettagliate e in alcuni casi, supportate dagli ottimi colori di Juanmar, molto efficaci.

L'edizione della Bao Publishing contiene, oltre all'intera miniserie, anche il prologo della storia, Il cortile, dove viene narrata la vicenda di Sax, personaggio che costituisce il trait d'union tra le parti dell'opera.

Siamo di fronte a un volume cartonato molto ben fatto, anche il prologo è a colori e sono comprese le copertine della miniserie americana e tavole aggiuntive, purtroppo totalmente assente qualsiasi introduzione o nota critica.

Anche se è stato scritto per la vile pecunia e non sotto la spinta dell'ispirazione, se siete alla ricerca di un fumetto horror disturbante, che mostri davvero l'orrore, allora Neonomicon fa per voi.

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« Risposta #5 il: 17 Luglio 2016, 13:27:16 »

WARCRAFT: il prequel ufficiale del film a fumetti [Recensione]

http://www.mangaforever.net/330134/warcraft-il-prequel-ufficiale-del-film-a-fumetti-recensione

Citazione
Arriva nelle edicole e fumetterie d’Italia, grazie a Saldapress, l’atteso prequel a fumetti del film Warcraft – L’inizio.

Come ogni brand di successo, anche l’universo di Warcraft non sfugge al fascino esercitato dalla nona arte. Così dopo essere stato un videogioco di straordinario successo, dopo essere divenuto un film ad alto budget per la regia di Duncan Jones, il gioco della Blizzard torna al mondo del fumetto.

Un ritorno, quello di Warcraft: il prequel ufficiale del film, che deve fare i conti con un passato importante. Molti sono, infatti, gli albi a fumetti usciti negli anni e ispirati al noto videogame.

L’opera di cui si tratta, però, prende in parte le distanze dai suoi predecessori, ricollegandosi solo in modo indiretto all’universo fantasy creato su carta dalla Wildstorm (poi DC) e inserendosi, invece, nella continuity della recente pellicola della Legendary pictures di cui ne costituisce l’antefatto.

La storia, affidata alla penna di Paul Cornell e ai disegni di , è portata in Italia in contemporanea con gli USA da Saldapress. Il primo albo, in uscita a giugno, è composto da 48 pagine a colori, mentre il secondo e conclusivo sarà nelle edicole e fumetterie a luglio e avrà 64 pagine.

La trama è costruita in modo da presentare al lettore i protagonisti della vicenda: il prode Anduin Lothar, cavaliere ligio al dovere e preso dalla responsabilità della sua imminente paternità; Llane Wrynn, futuro re di Roccavento, desideroso di mettersi in luce agli occhi del padre; Medivh, un guardiano di Tirisal conoscitore di antiche arti magiche.

Le vicende, come è facile aspettarsi da un prequel, sono ambientate decenni prima del lungometraggio, quando i tre eroi dovevano ancora forgiare la loro alleanza. I terribili Troll rappresentano la minaccia della storia e avranno occasione d’incrociare la spada in un paio di circostanze con i protagonisti.

L’azione, pur non mancando, non è il centro della narrazione che preferisce focalizzarsi sulle personalità, ancora in divenire, dei giovani eroi.

Il taglio teen del fumetto emerge sin dalle prime pagine, con dialoghi veloci e semplici che rendono la lettura spedita e piacevole ai giovanissimi, prevedibile e banale ai più navigati. Ben lontana è dunque la magniloquenza cui tanta narrativa fantasy ha abituato il pubblico.

Anche gli scontri, per quanto mortali non sono mai rappresentati nella loro più esplicita cruenza con cambi d’inquadratura che non concedono più di una lama insanguinata, o un corpo trafitto. I colori, in tal senso, sono in linea con le intenzioni di Broome, aiutando a ricreare un contesto più leggero e stemperando così le scene violente.

Maggiore difficoltà presenta l’analisi del comparto grafico. I tanti disegnatori, che hanno messo mano ai vari capitoli del volume, rendono impresa improba dare un giudizio univoco sul fumetto che quindi pecca di una percepibile discontinuità nella qualità del tratto.

In sostanza Warcraft: il prequel ufficiale del film è un’opera senza troppe pretese che potrà piacere ai più giovani, in cerca di una storia dai toni meno dark e dalla scrittura scorrevole, ma che potrà deludere il pubblico più esigente, abituato a una prosa complessa e a storie mature.


SUPERMAN L’UOMO D’ACCIAIO n.26: Il Superman DC YOU e il tie-in di Convergence [Recensione]

http://www.mangaforever.net/335115/superman-luomo-dacciaio-26-recensione
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