Bgtirh
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« Risposta #9 il: 08 Ottobre 2013, 09:51:04 » |
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II
La cornice era in legno pregiato, probabilmente del vero legno terrestre, molto diverso da quello ricavato dalle piante cresciute nelle serre delle Colonie Spaziali. Era diverso nel peso, nella consistenza, perfino nell'odore. La parte anteriore era invece rivestita in argento lunare, un po' più opaco della sua controparte terrestre, ma assai più costoso. Al centro della cornice, c'era un monitor olografico di una decina di pollici di diagonale, che visualizzava in alternanza costante sempre le stesse due immagini: Un bambino biondo di circa dieci anni che teneva un braccio sulla spalla di una bambina parimenti bionda, di qualche anno più piccola. Le espressioni e la posa suggerivano una certa vicinanza tra i due, ma al contempo un'allarmante mancanza di spontaneità nell'atto di farsi ritrarre. Sullo sfondo, un paesaggio montano dal sapore quasi bucolico, tradito solo da un tenue riflesso vitreo in un angolo del cielo. Un piccolo dettaglio che bastava a svelare il trucco: quella foto era stata scattata non sulla Terra, ma all'interno di una colonia spaziale. L'altra olografia era stata scattata indiscutibilmente sul pianeta, invece. Sullo sfondo una piccola spiaggia con, ai margini dell'inquadratura, delle costruzioni di stile arabo, incorniciavano un mare color smeraldo impreziosito dai riflessi del sole estivo. Al centro della scena, due ragazzi sulla ventina, una biondina dalla bellezza sofisticata ed un ragazzo dai selvaggi riccioli rossi, entrambi in costume da bagno, abbracciati, sorridenti, felici. Le colonie e la Terra. Char ed Amuro. Kai soppesava tra le mani la cornice olografica, ma nei suoi pensieri rimuginava sull'esasperante dicotomia di cui Sayla era stata prigioniera per quasi tredici anni. L'amato fratello e l'uomo che l'amava, lo spazianoide come lei, ed il terrestre come la sua identità fittizia, nemici giurati che se la sarebbero contesa all'infinito, se lei non avesse deciso di uscire dal gioco e ritirarsi in sofferente solitudine fin quando, sei anni fa, gli uomini della sua vita erano riusciti finalmente ad ammazzarsi l'un l'altro. Solo allora, l'ultima erede della dinastìa Deykun aveva accettato di tornare sotto i riflettori. E con che stile, lo aveva fatto! Kai mise giù la cornice, laddove l'aveva presa: un tavolo in legno ben più prezioso di quello del suppellettile che aveva così scrupolosamente esaminato. Si guardò attorno e nella grande sala in cui attendeva la sua ospite non trovò che dettagli degni di altrettanto stupore e meticoloso studio: oltre al tavolo verosimilmente di provenienza rinascimentale, c'erano costosi arazzi con le effigi del Principato di Zeon su tre delle quattro pareti, una grande tela raffigurante Zeon Deykun in piedi accanto alla moglie, seduta... in un angolo, su una mezza colonna coperta di rampicanti da salotto, svettava un busto in gesso raffigurante uno Zaku II. Il centro della stanza era dominato da un immenso divano a forma di U, in pelle bianca che correva attorno a tre lati di un tappeto persiano. Dietro la scrivania, oltre una non meno preziosa poltrona in legno e pelle marrone, le pesanti tende color crema non riuscivano ad impedire che la luce del sole penetrasse dalla grande portafinestra in ferro battuto laccato di bianco, da esse ingiustamente nascosta. Kai sbuffò e fece quattro passi con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni di quello che era il suo completo migliore, dalla scrivania alla finestra. Scostò la tenda e guardò fuori. Sweetwater era una colonia orribile a vedersi, dall'interno. Un troncone di un bunch di tipo chiuso, collegato forzatamente ad uno di tipo aperto, opera ingegneristica d'emergenza realizzata all'indomani della fine della Guerra di Un Anno, quando era imperativo ridistribuire i sopravvissuti sulle colonie ancora abitabili. In quanto fazione perdente, Zeon aveva dovuto cedere parte dei suoi bunch per la ricostruzione degli altri Side. La popolazione, inizialmente ricollocata alla meno peggio da Gihren Zabi quando aveva deciso di trasformare un bunch nello spaventoso Colony Laser, si trovò sfollata ancora una volta dal vincitore federale. Kai osservò il paesaggio oltre la finestra e non riuscì a trattenere un gemito di cui non sapeva scegliere la motivazione: era per l'indecoroso spettacolo delle favelas accantonate l'una sull'altra dove i cittadini vivevano gomito a gomito le loro vite asfissiate e sovrapposte, a pochi metri dal palazzo governativo dove lui si trovava... oppure perché riusciva ancora a riconoscere, nella sezione aperta della colonia, quella porzione incompleta di Side 7 che era stata la sua casa, fino al giorno in cui il destino lo aveva reso pilota militare e profugo vagabondo, eroe cinico e lupo solitario? Erano passati vent'anni, eppure quel che restava di Side 7 era ancora lì, pur trascinato a forza dall'altra parte della Sfera Terrestre, a ricordargli chi era e da dove veniva... Il rumore della porta che si apriva lo distolse dai suoi pensieri. Nel voltarsi, non riuscì a trattenere in sorriso vedendo la prima cosa che attraversò l'uscio: una palla di plastica verde, delle dimensioni di un pallone da basket, rotolò dentro la stanza fermandosi ai suoi piedi. Due piccole luci rosse a LED brillavano intermittenti. “Ciao Kai Shiden! Come stai? Ciao Kai Shiden! Come Stai?”, canticchiò Haro. “Che mi venga un...”, fece per rispondere lui, ma non terminò la frase. Sentì la porta che veniva rinchiusa. Si voltò. La vide. Così cambiata. Così immediatamente riconoscibile. “Buonasera, Sayla”, fu il meglio che riuscì ad articolare, rendendosi subito conte che da un reporter d'assalto come lui quelle due parole erano davvero troppo poco. Sayla indossava l'uniforme rossa del Corpo degli Incursori del Principato di Zeon, la stessa branca specialistica di cui aveva fatto parte suo fratello Char prima di diventare pilota di Mobile Suits, prima di diventare la famigerata “Cometa Rossa”. La pettorina con l'elaborata aquila stilizzata che rappresentava il grado di Maggiore, gli stivali ed i guanti bianchi non sarebbero bastati, da soli, a riportargli alla mente quello che era stato un suo acerrimo nemico. Ma quella divisa rossa, sì. E poi, c'era la maschera. La maschera dietro la quale Casval Deykun aveva celato i suoi lineamenti e la forte somiglianza col padre Zeon agli occhi degli Zabi traditori ed assassini. La maschera che era diventata un simbolo ed aveva generato legioni di imitatori inadeguati. La maschera che, pur con qualche lieve modifica, veniva incorniciata dall'inconfondibile caschetto di sottili fili d'oro e celava gli immarcescibili, divini lineamenti della sorella minore. Quasi come se avesse letto i pensieri di Kai, o forse queste righe, Sayla si sfilò la maschera di metallo cromato e la mise sul tavolo che si frapponeva tra lei ed il suo ospite. Oramai trentasettenne, le si sarebbero dati al massimo ventotto anni. Solo il cipiglio austero, la luce azzurra ma quasi severa nel suo sguardo, lasciava intuire che la ragazza dolcemente triste e malinconica di una volta aveva definitivamente ceduto il posto alla guerriera risoluta degli ultimi giorni della Guerra di Un Anno. “Kai Shiden! Questa sì, é una sorpresa!”, sorrise lei. Kai riaprì e richiuse le labbra a vuoto un paio di volte, prima di riuscire ad articolare un suono intellegibile. “Sayla, ti trovo decisamente in forma...”, balbettò lui tendendole la mano, mentre lei girava attorno al tavolo e si sfilava con un gesto secco il guanto destro e procedeva verso di lui col passo ritmato e femminile di un'indossatrice ad una sfilata di moda. In un attimo fu da lui, ed in mezzo attimo lo colpì violentemente con un uppercut destro diritto al mento, mandandolo a terra due metri più in là. “Ohi, ohi!”, gridò Haro, rotolando a nascondersi sotto al tavolo. “Questo è per quell'intervista esclusiva a Mineva Zabi che ti avevo chiesto di non pubblicare!”, sentenziò lei col tono risoluto di una leonessa che protegge i suoi piccoli. Kai si massaggiò il mento prima di provare a rimettersi in piedi. Ricordava di aver ricevuto una sventola simile da Bright, anni fa. Un angolino particolarmente analitico del suo cervello sentenziò che Sayla picchiava decisamente più forte di Bright. “...decisamente in forma, dicevo...”, sottolineò rimettendosi in piedi. Se non altro il cazzotto gli aveva sciolto la lingua. Sayla si allontanò per resistere alla tentazione di colpirlo ancora. “Con quell'articolo hai mandato in malora una copertura che durava da tre anni e ci era costata milioni di dollari!” “Non mi pare d'aver mai accennato a dove si nasconda, Mineva!”, protestò Kai. “Non ce n'é bisogno! I Federali stavano ricostruendo tutti i tuoi spostamenti degli ultimi mesi. Siamo riusciti a prelevare Mineva per un soffio, prima che gli ECOAS facessero irruzione nel rifugio! Ci vorranno mesi di spostamenti continui, prima di poter fornire un nuovo domicilio ed una nuova identità a quella povera ragazzina!” “Quella povera ragazzina ha ormai vent'anni e ne ha passate tante quante ne abbiamo passate noi, cavandosela anche senza il tuo aiuto”, ribatté Kai, aggiungendo: “Comunque permettimi di dirti che la solidarietà femminile tra voi due é commovente, considerando che siete entrambe pretendenti al trono di Zeon!” Sayla inghiottì prima di rispondere. Poi, scandì bene le parole una dietro l'altra: “Io non pretendo alcun trono.” Kai soffocò una risata e si mise le mani sui reni, doloranti per l'atterraggio inaspettato di poco prima. Indicò la maschera sul tavolo. “E allora cosa mi dici di questa mascherata? Di questa nuova identità? “Sarah Aznable”... c'é Arthesia, c'é Sayla, ed adesso anche Sarah! Fai a gara con tuo fratello?” Sayla scosse la testa. “Tornare a Zeon come Arthesia Deykun sarebbe stato inutile, i sostenitori di mio padre sono ormai tutti vecchi o morti. Il nome di Char Aznable si celebra ancora, invece, e presentarmi come sua sorella mantenendone il cognome ha facilitato di molto le cose. Tutti sapevano che Char aveva una sorella, ma nessuno sa di Sayla Mass, né alla Federazione, né qui. E non dovranno mai saperlo, per il bene di noi tutti!” “Addirittura!”, ghignò Kai massaggiandosi il mento. “Rifletti, Kai. Se si cercano connessioni tra Sayla e Zeon, non se ne trovano. Ma basta nulla per collegarmi all'equipaggio della White Base. Io adesso sono libera di perseguire i miei piani perché agli occhi di tutti sono sola... Sarah Aznable é sola... ma cosa avverrebbe se scoprissero che sono anche Sayla Mass... Sayla, che oltre che sorella di Char ha anche una pseudo-famiglia composta dai suoi vecchi commilitoni? Mirai sta dilapidando la fortuna della sua famiglia per passare inosservata e garantire che nessuno possa rintracciarla e ricattare Bright o fargli pressioni nel suo lavoro a Londenion. Sei mai stato a casa sua?” “Sì”, ammise Kai con una smorfia di disgusto. “Fraw ha cambiato nome dopo la morte di Hayato per proteggere suo figlio, Letz ha preferito espatriare clandestinamente, Kikka...” Sayla si morse un labbro. “Kikka si é offerta volontaria come pilota collaudatore newtype alla Anaheim”, continuò Kai, “ha accettato di fare la cavia, a patto che i federali lasciassero stare Fraw e Letz, lo so... “ “E poi, ci saresti anche tu”, aggiunse Sayla. “Anche io cosa? Non ho bisogno di protezione, io!”, protestò Kai, e se ne pentì subito, ripensando al pugno di pochi minuti prima. “Tu forse no, ma i tuoi pupilli? Cosa mi dici dei fratelli minori di Miharu? So che ti prendi ancora cura di loro, addirittura paghi loro gli studi!” Kai abbassò lo sguardo. “Vedi?”, sorrise Sayla, “Non sei il solo segugio, qui. E come posso arrivarci io, possono arrivarci anche quelli che vogliono colpire te. O che vogliano colpire, attraverso te, me” Kai scosse la testa. “Ma se tu stessa ammetti che ci sono questi rischi, perché questo tuo rientro a Zeon, quali sono le tue intenzioni, Sayla?” Sayla gli voltò le spalle, raggiunse il tavolo, raccolse la maschera e la indossò. Si voltò verso di lui. “Zeon non ha bisogno di un Aznable, in realtà non ha bisogno nemmeno dei Deykun o degli Zabi, non più. Zeon ha bisogno di una Cometa Rossa. Finché ci saranno in giro pazzi fanatici come lo erano mio fratello o Full Frontal... questa maschera, questo mantello... é meglio che li indossi io.” “In pratica ti stai investendo del ruolo di leader moderato?”, l'imbeccò Kai, traendo il suo registratore portatile dalla tasca della giacca e poggiandolo sul tavolo. Sayla lo guardò storto, Kai ne ebbe la certezza nonostante lei indossasse la maschera. “Brutta canaglia”, sibilò lei dopo un momento, “adesso vuoi provare a rubare un'intervista anche a me? É per questo, che sei venuto fin qui?” Kai scosse la testa e premette un pulsante sul registratore, che proiettò una piccola immagine tridimensionale di un logo, una M ed una D stilizzate e fuse assieme in una finitura metallica. “Il nome 'Massive Dynamics', ti dice qualcosa?”, chiese Kai, improvvisamente serio. Sayla ci pensò un attimo. “Non era una delle ditte che costruirono le colonie?” “Esatto!”, Kai batté una volta le mani, “Era la ditta principale coinvolta nel “Progetto Island 3”, quello per la colonizzazione spaziale. Fece un sacco di soldi, finché non si decise che le colonie erano ormai abbastanza e bisognava controllare il numero di nascite...” “Mi ero sbagliata. Non sei qui per un'intervista, ma per farmi una lezione di storia dell'economia moderna”, ironizzò Sayla. Kai non raccolse la sfida. “Cosa ti viene in mente se ti dico 'Zeonic Heavy Industries'?”, continuò. “Il maggior produttore di Mobile Suits Zeoniani durante la Guerra di Un Anno”, rispose Sayla, cercando di capire dove Kai volesse andare a parare. “E se ti dico 'Anhaeim Physics Solutions'?”, continuò imperterrito lui. “Mi prendi in giro?”, protestò lei. “No”, si affrettò a rispondere Kai, “Non ti prendo in giro, chiedendoti se conosci queste due ditte. E non ti prendo in giro nemmeno quando ti dico che erano, anzi sono sempre state, seppure in segreto, delle sussidiarie della Massive Dynamics, che oggi si chiama ufficialmente Anaheim Electronics” Sayla sentì la sua mascella cadere. “Vuoi dire che in realtà durante la Guerra di Un Anno era la Massive Dynamics a rifornire sia gli arsenali di Zeon che quelli della Federazione, attraverso dei prestanome?”, disse infine. Kai abbassò il capo. Come dire, proprio a lei che ne aveva tanto sofferto, ciò che aveva scoperto? Nondimeno, se c'era qualcuno che avesse diritto a sapere prima degli altri la verità, era proprio lei. “Sayla...”, esordì, “se fosse solo questo, oggi non ti avrei disturbata. Cosa sai dirmi del Topkapi?” Sayla trasalì. “Te lo ha detto Mineva? Dell'astronave-cantiere di suo padre Dozul?” “Già”, ammise Kai, “Ma poi ho scoperto che anche Dozul e Gihren erano al soldo della Massive Dynamics, e non solo loro. E il Topkapi é una nave della Massive Dynamics, non degli Zabi. La avete ancora voi, vero? Dimmi dov'é.” Lei scosse la testa, causando una piccola mareggiata bionda tra i suoi capelli. “Questa non é una notizia da dare alla stampa, Kai!” Kai le corse incontro e osò afferrarla per una spalla e scuoterla. “Non hai capito. C'è qualcun altro che la cerca, é per impedire che finisca nelle sue mani che devo trovarla prima io!” Sayla gli scostò via la mano. “Allora taglia corto e spiegami tutto, e vedi d'essere convincente... perché io non mi fido più di te, Kai!” Kai annuì grevemente e premette nuovamente il tasto sul registratore, il logo della Massive Dynamics venne sostituito dall'immagine di un vecchio dal volto deturpato su una sedia a rotelle. “Al giorno d'oggi, se non hai almeno tre identità diverse non sei nessuno. Questo tizio é Marc Couvet, executive della Anaheim Electronics, alias Mark Uber, azionista della Massive Dynamics... alias Colonnello M'Quve, del Principato di Zeon!” Sayla si tolse la mascherina. Gli occhi erano spalancati. “Sì, Sayla. É ancora vivo.”, aggiunse Kai. Mentre la osservava, si sentì pronto per iniziare a raccontarle la brutta storia di cui era venuto a conoscenza, ma prima avvertì il dovere di farle un'ultima domanda. “Sayla... ci hanno sempre raccontato che lo sviluppo dei Mobile Suit fu causato dallo scoppio della Guerra di Un Anno”, fece una pausa per guardarla bene dritto negli occhi. Misurò le parole per misurare le reazioni di lei. “...Ma cosa faresti, se io adesso ti dimostrassi al di là di ogni tuo ragionevole dubbio, che fu invece la Guerra di Un Anno ad essere provocata in modo che potessero essere sviluppati i Mobile Suit?”
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