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Autore Topic: Ultimate Century: Operazione Athena [19-12-07 COMPLETATO!!!]  (Letto 20480 volte)
nap
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« Risposta #15 il: 08 Agosto 2007, 13:27:19 »

Capitolo 11: Un altro pazzo

24 agosto, 8.40 P.M.
Il volo AV51244 diretto da Side 1 a Praga è esploso in volo, stando alle prime ricostruzioni sembrerebbe a causa di una depressurizzazzione esplosiva.
Portavoci della Federazione escludono l’attentato. Attentato che invece oggi è stato sventato dai caccia dell’aviazione questa mattina sui cieli di Roma.
Ma colleghiamoci, per maggiori informazioni, con…

Vairetti spense la TV, loro sapevano cos’era successo “Almeno evitiamoci queste stronzate” esclamò tristemente “Già ci hanno comprato il silenzio dando una promozione a tutti noi” mettendosi le mani nei capelli.
“Posso accendere su canale 55? C’è ‘Disastro ferroviario a catena 4’!” chiese Miguel.
“Fa come vuoi” rispose laconico Vairetti.
“Non è quel film dove dei terroristi anarco insurrezzionalisti sardo-cinesi prendono in ‘consegna’ un treno carico di sostanze chimiche? Quello dove poi a causa di un crollo di un ponte per una frana si genera traffico ferroviario su un’unica linea, che per una coincidenza è proprio quella percorsa dal treno dei terroristi e dove passa il treno del primo ministro?” domandò Sven a Miguel.
“Proprio quello” confermò Miguel.
“E allora che aspetti!? Accendi!” invitò concitatamente Sven.
“Incomincia, incomincia!” esclamò Jessica.
Ma in quel momento lo schermò si oscurò e le casse cominciarono ad emettere una vecchia marcia militare della guerra di secessione americana.
“Noooo, che succede?!? Controllate l’antenna!” ordinò Miguel.
“Niente! Qualche cosa disturba la ricezione” ribatté Jessica.
Un rumore di MS si sentì in lontananza e Vairetti si alzò in piedi ed uscì dalla tenda esclamando platealmente “Sta arrivando”.
“Chi?” chiese Carlo.
“Vedrai” rispose Kikilia.
La marcia ancora suonava quando un Jegan III comparve dall’oscurità da in mezzo agli alberi.
“U…un…un Jegan III EW… non ditemi che è, no, non può essere” esclamò Carlo con gli occhi sbarrati.
“Invece è lui” confermò Vairetti con le braccia conserte, “Da molti viene chiamato ‘Il terrore dei narcotrafficanti’, ‘La sentinella d’Arabia’ o ‘l’orecchio che parla troppo’, per me è solo un mio vecchio allievo: Vasily Masinov” “Ah! Kikilia! Ricordati che io ho offerto da bere ad altre due persone: 9 in totale, non 7 come credi”.
“Uno dei due è Masinov?” domandò Kikilia.
“Eheh, direi proprio di si, se no credi che ‘La sentinella d’Arabia’ verrebbe a darci una mano?” rispose divertito Vairetti.
‘La sentinella d’Arabia’ alias Vasily Masinov, se non fosse stato per le sue parole di fuoco verso i grandi casati e la sua generale insubordinazione sarebbe già stato un generale, invece era solo un tenente; tenente che ora si sarebbe messo sotto il comando della neo promossa tenente-colonnello Kikilia.
“Bene, bene. Ora potrò dividere il gruppo in due sezioni, direi che io potrei prendere sotto il mio diretto comando Miguel, Jessica e Carlo, lasciando a Masinov, Sven e Moammed” rifletté Kikilia.
“Direi che potrebbe funzionare” assicurò Vairetti, guardando il cockpit del Jegan da guerra elettronica (che si distingueva per la presenza di 3 grosse antenne, una protuberanza sopra la cabina di pilotaggio contenente tutta una serie di strumenti le cui caratteristiche erano top-secret e due cassoni a fianco del backpack che contenevano particelle Minovsky in grado di saturare una zona di 16 km2, ma vista la loro pericolosità da usare solo in caso di estremo pericolo e necessità) che si stava aprendo.
“Vairetti! Quanto tempo! Ai suoi ordini!” esclamò un’esile figura, dal cockpit del Jegan EW, rivolgendosi a Vairetti e poi rivolgendosi a Kikilia “Ho sentito molto parlare di lei, per me è un onore mettermi ai suoi comandi”.
“Ehm, mi scusi?” chiese Sven leggermente spaventato.
“Prego?” rispose altezzosamente Vasily.
“…è lei che sta disturbando il segnale TV?”
“Si, non vi piace la marcia?”
“No, no, molto bella signor, signor?” chiese Sven, guardato a bocca aperta da Carlo che non immaginava tanta ignoranza.
“Tenente Masinov, Vasily Masinov”
“Però vede, su canale 55 danno ‘Disastro ferroviario a catena 4’, sa…” ma Sven non osò andare oltre dopo essere stato fulminato dagli occhi di Masinov, le rughe che aveva in volto contribuivano a farlo sembrare ancora più rude.
“Vi metto io un bel film, è degli anni domini ‘Il dottor Stranamore’, fatevi una cultura” e mentre diceva ciò Masinov toccò alcuni tasti nel pannello strumenti del Jegan.
“Ehi Sven! Il segnale è tornato, ma si prende un solo canale!” urlò Jessica dalla tenda dell’unità.
“Ehm, fa niente Jessica, fa niente” replicò Sven spaventato da come era guardato da Masinov.
“Posso sapere il tuo nome ragazzo?” chiese Masinov scendendo dal Jegan,
“Ser…sergente Sven Orkaf. Signore!”
“Non ti trattengo oltre, vai a vedere il film” ordinò Vasily senza possibilità di replica.
“Signorsì, signore!” rispose Sven impettito nel saluto militare e facendo dietrofront.
“Sentite, io sono appena giunto dall’India Meridionale e sarei un po’ stanco, vorrei chiedervi cosa sta succedendo, situazione tattica, conoscere le persone con cui dovrò operare e tante altre belle cose; ma il mio cervello è in pappa, voglio solo dormire, si potrebbero rimandare i convenevoli a domani mattina?” chiese Vasily sbadigliando.
“Per me non c’è problema. Per te?” chiese Vairetti a Kikilia.
“Neanche per me; è stata una giornata intensa e anche io credo che andrò a dormire presto” rispose Kikilia e prontamente aggiunse “Se vuole c’è una brandina libera nella tenda n°2”.
“Per stasera me la farò bastare” esclamò Vasily e poi accennando un inchino “Vairetti, Strati. A domani”.
Appena Vasily entrò nella tenda Kikilia mormorò “Ora rendo un po’ pazzi Miguel e Moammed e poi ridefinisco l’unità ‘Unità dei pazzi’ ”.
“Con un comandante come te…” esclamò, ridendo, Vairetti.
...
Presidente, io avrei un piano... mein fhurer! io camina!
“Però! Bello questo film” commentò Sven.
“Eheh, il film l’ha trasmesso ‘L’orecchio che parla troppo’, mica l’ultimo” fece notare Carlo.
“Chi?” chiese stupito Sven.
“Ma in che mondo vivi?” ribattè Carlo, frastornato da tanta beata ignoranza.
“Terra, Copenaghen, via Adler Jhuer 44, a 100 metri da casa tua” rispose Sven ironicamente.
“Vaffan…”: Carlo si trattenne verbalmente, ma il gesto dell’ombrello non riuscì ad evitarlo.
“Scusate, ma io non ho capito bene una cosa…” intervenne Jessica, interrompendo la discussione sopra ai massimi sistemi che si stava per accendere tra Carlo e Sven.
“Cosa?” chiese Sven.
“Ma la cosa della fluoro-quel-che-è-contaminazione è vera o inventata?” domandò curiosa la ragazza.
“Indovina” rispose Carlo volgendo gli occhi al cielo.
“è falsa? Ma dai? E io che ci ho creduto…” esclamò Jessica stupita.
“Eppure quel generale era così convincente…” ribatté Sven.
Carlo si calò l’elmetto sugli occhi, quando faceva così voleva dire che colui con cui stava parlando aveva detto una stupidata immane.
“In realtà non è una cosa così improbabile” si intromise Moammed “ Nei primi anni della Federazione Hezbollah provò segretamente a contaminare le acque del Giordano”.
“Ma dai? Non ne sapevo nulla!”, Carlo sapeva sempre tutto, non poteva non sapere una cosa come questa, il suo volto divenne incredulo.
“Ti giuro, la cosa passò sotto silenzio! La Federazione riuscì a bloccare Hezbollah e mantenne il tutto sotto segreto” continuò a spiegare Moammed.
“Mi passi un po’ della tua acqua” domandò Miguel  a Moammed.
“Certo prendi al volo” “Continuando il discorso io lo so e se volete poi vi racconto anche i particolari perché un mio avo fu quello che studiò l’attentato e perciò a casa abbiamo ancora diversi documenti riguardanti lo studio di fattibilità e di svolgimento del piano” concluse Moammed.
Miguel rimase con la bottiglia d’acqua ferma a 2cm dalla bocca mentre sentiva le parole di Moammed e appena Moammed ebbe finito restituì la bottiglietta a Moammed scusandosi “Nulla di offensivo eh! Però se non ti dispiace vado fuori a prendere l’acqua da bere”.
“Che ho detto di male?” chiese Moammed rivolendosi ai presenti.
Carlo, Sven, Jessica e sei membri della sezione esplorante, li presenti, alzarono gli occhi al cielo.
La mattina seguente il risveglio fu brusco, erano appena le 5.30 quando Kikilia, seguita da Masinov, fece svegliare di soprassalto tutta la compagnia di MS.
"Svegli! Sveglia! Tutti pronti ed in fila tra 5 minuti presso il mio MS" si preannunciavano guai.
Poco dopo, presso il MS di Kikilia, che era posizionato a ridosso di una oscura foresta Carli, Sven, Jessica, Miguel e Moammed si allinearono ( o tentarono di allinears) in attesa di ordini, tutti erano piuttosto malmessi per il sonno e per la velocità con cui si erano dovuti preparare.
Carlo era l'unico con la divisa a posto, Sven aveva l'elmetto tutto storto e le scarpe slacciate, Jessica sbadigliava vistosamente e non aveva raccolto i capelli (come faceva di solito quando veniva richiesto un certo aspetto marziale o doveva partecipare ad addestramenti o azioni), Miguel aveva messo i scarponi al contrario (ma era cos' addormentato che non sentiva dolore ai piedi) e Moammed sembrava che fosse di ritorno dalle paludi vietnamite (era pieno di fango a seguito di una caduta in una pozza di fango per la fretta).
"Ok, ragazzi vi presento il tenente Vasily Masinov. è arrivato ieri sera e prenderà il comando della 2a sezione. Da oggi la 1a sezione sarà formata da me, Carlo, Miguel e Jessica, la 2a sarà quindi formata da Masinov, Sven e Moammed" spiegò Kikilia guardando Masinov che si avvicinava ai membri squadrandoli con quei freddi e veloci occhi neri che trasmettevano timore e incutevano smarrimento.
"Tu sei Carlo Battipaglia. Fammi indovinare, sei il classico so-tutto-io?" “Ho indovinato” aggiunse Vasily soddisfatto guardando il volto stranito di Carlo.
“Sven Orkaf! Ma guarda un po'. Ieri ci siamo già conosciuti, anche se ti avevo già visto in TV. E così ti imparenti con quelle merde di casati, eh?”, Sven sentendo quelle parole strinse le mani a pugno, ma uno sguardo di Carlo lo convinse a star calmo.
“Ma chi abbiamo qua! Principessina Jessica Garren! Preferisce l'anatra arrosto o una verdurina scondita per pranzo?” chiese Vasily con tono tagliente e poi continuò dicendo “Certo che Vairetti è invecchiato per fidarsi di una spia dei Ronah”.
Kikilia resisteva, una parte di lei avrebbe voluto riempire di botte quel Vasily, ma Vairetti l'aveva avvertita e li aveva detto per i primi giorni di resistere, sarebbe stata una dura sopportazione.
Vasily stava già passando a Miguel quando Jessica con voce decisa ma pacata fece l'errore di rispondergli: “Io non sono una spia, tanto meno dei Ronah” esclamò la ragazza.
Vasily non aspettava altro che qualche d'uno cadesse nelle sue provocazioni e ci era cascata la figlia di quell'industriale: non poteva desiderare di meglio...
“Ma bene, la principessina si degna anche di parlare con la plebe. Mi dica! Presto si umilierà arrivando a mangiare quel che mangiamo noi? Non si abbassi a tanto! La prego!” esclamò provocatoriamente il caucasico.
Jessica capì l'errore in cui era cascata e ora non sapeva cosa ribattere, poteva solo continuare a guardare male il suo superiore.
“Perché mi guarda così? Forse perché non mi sono prostrato ai tuoi piedi? O forse perché non le ho ancora chiesto la vostra tariffa schifosa putt...” ma Vasily venne interrotto da Sven che li mise una mano sula spalla.
“Con rispetto, ma c'è un limite a tutto...” e dicendo ciò Sven tirò un forte pugno sul naso di Vasily; Vasily cadde a terra col naso grondante di sangue.
“Io ti faccio sbattere in cella hai capito! Te e la tua...” ma Vasily venne di nuovo interrotto, questa volta da Kikilia, che lo prese per il collo.
“Mi stia bene a sentire! Non mi importa chi sia lei, io so solo che è sotto il mio comando, nella mia unità! E NELLA MIA UNITÀ NON VOGLIO PROBLEMI! CHIARO?” urlò Kikilia con la mano chiusa a pugno pronta a colpire “In quanto a te Sven, condivido la tua rabbia, ma non dovevi tirarli un pugno, non bisogna cadere nelle provocazioni altrui. Per punizione laverai il Jegan di Masinov appena ce ne sarà l'opportunità”.
“Signora si, signora!” rispose Sven.
“In quanto a lei veda di darsi una calmata!  Se la pesco ancora una volta ad offendere Jessica la mando sotto corte marziale ai sensi della legge dell'esercito federale n°13 sulle molestie verbali. SONO STATA CHIARA?” minacciò Kikilia, la minaccia era fondata ed essere condannati ai sensi della legge n°13 voleva dire 10 anni di carcere, rimozione di tutti i gradi, espulsione dall'esercito federale con disonore, interdizione per 60 anni dai pubblici uffici.
Vasily lo sapeva e perciò provò a giustificarsi: “Non c'è bisogno della corte marziale, è stato tutto un equivoco, volevo solo scherzare. Suvvia non roviniamoci la prima giornata di lavoro, eh...”
“Allora veda di scherzare di meno d'ora in avanti o posso anche fare a meno di lei” minacciò Kikilia e poi volgendosi alla squadra “Tra un'ora e mezza partiamo, per alcuni giorni dovremo pattugliare la provincia del Kosovo, dove sembra che si stiano rifugiando i terroristi. Raccogliete le vostre cose e mettiamoci in testa che ne avremo per molto” concluse Kikilia tristemente.
Era la seconda volta in due anni che perdeva la recita estiva di Thomas, “Ma perché” si domandava la donna “proprio ad agosto dovevano far addestrare i cadetti, dico! E poi i terroristi non avevano altri mesi in cui potevano svegliarsi? Proprio ad agosto?”.

Capitolo 12: Assassinio ad Atene

Agosto 25, ore 9.00 A.M. verso il Kosovo…
“Che diamine di autostrada è questa? E io pago le tasse per sta roba?” chiese Vairetti arrabbiato alla vista delle condizioni in cui si trovava l’autostrada che da Tirana portava a Belgrado, passando per il Kosovo, la cosiddetta autostrada della “Discordia”.
La suddetta autostrada era stata costruita tra discordie etniche e religiose, attentati e proteste degli ex-governanti dei Balcani nei primi anni della Federazione, doveva essere un simbolo di pace e unità, ma per lungo tempo fu solo il simbolo di inefficienza burocratica e violente proteste ed una volta completata rimase tra, l’altro, poco utilizzata venendogli preferite le vie ferroviarie per il movimento in quelle impervie regioni, risultato? Era in completo disfacimento e abbandono, nonostante fosse, ufficialmente, ancora agibile.
“Dai resista! Fra due ore siamo arrivati!” urlò dalla posizioni di capocarro Gharisnikov.
“Porco cane! Moriste tutti voi dell’est, intanto per voi è sempre così!” imprecò Vairetti dopo che il carro sobbalzò sull’ennesima buca.
“Si rilassi, piuttosto accenda la TV, ad Atene c’è la celebrazione per la battaglia che si svolse lì durante la 1a Guerra Coloniale. Da quel che so ci dovrebbero essere alcune alte cariche, magari dicono qualche cosa a proposito di quei bastardi…” consigliò Gharisnikov.
“Dubito che qualche politico abbia il coraggio di dire che dopo la Cina settentrionale siamo nei casini anche qui, comunque…” e Vairetti, detto ciò, accese la TV.
Il vice-ministro della difesa stava parlando.
…molti dicono che la Federazione sia in pericolo, che stia perdendo potere, storie! In Cina abbiamo ormai eliminato quel gruppo che si era formato l’anno scorso, è stato solo un fuoco di paglia e qui nei Balcani i giornalisti hanno gonfiato le notizie, in realtà  erano solo pochi ladruncoli ben armati. Molti mi accusano di essere corrotto, di non servire la Federazione! Falsità!  Se fossi veramente corrotto, se non servissi la Federazione non sarei venuto qui, oggi, a rendere onore ai caduti della 1a Guerra…
“Le racconti veramente male le balle, caro Barer” commentò sottovoce Vairetti.
…caduti qui ad Atene, per la libertà nostra. Ora invito sul palco il signor Ronah per tagliare il nastro del monumento che ha donato alla Federazione. Prego signor…
Fu un attimo, uno schizzo di sangue, il vice-ministro Barer che cadeva con la schiena al suolo, la folla che si mise ad urlare, una guardia del corpo che stava proteggendo il signor Ronah cadde a Terra colpito da una pallottola all’altezza del polmone, la macchina blindata del signor Ronah che scappava via, quasi investendo alcuni malcapitati: il tutto filmato dalla TV.
Vairetti trattenne il fiato, che fosse quello il colpo mediatico che si aspettava? Il suo volto si tese nella riflessione, quello che stava accadendo in TV non lo riguardava, se non in parte, per lui il signor Ronah e il vice-ministro erano solo due persone che non aveva mai potuto vedere, se qualche d’uno attentava alla loro vita non andava di certo in panico e in disperazione, ma una cosa lo faceva star male: le sue riflessioni ed i suoi calcoli fatti dopo le ultime due operazioni erano apparentemente sbagliati: l’obbiettivo dei terroristi non era accedere ai centri di ricerca bio-tecnologica R-4 nei Balcani centrali, i più avanzati del mondo, protetti da un battaglione di élite di soldati federali, l’unico dove venivano conservate le nanomacchine e dove c’erano ancora le attrezzatura in grado di sintetizzarle.
“Eppure se loro credono nelle leggende metropolitane su Amuro  hanno bisogno delle nanomacchine” continuava a ripetersi, ma altre cose pensandoci e ripensandoci non li tornavano,
primo: se volevano le nanomacchine perché fare tutto quel casino per abbattere quei due aerei? Avrebbero potuto usare i MS e gli uomini disponibili in un attacco a sorpresa contro quei laboratori e la Federazione non avrebbe potuto far niente.
Secondo: perché eliminare il vice-ministro e tentare di eliminare anche il signor Ronah? Dopo questa azione la Federazione avrebbe inviato altre forze nei Balcani. Possibile che fossero così stupidi da non capirlo?
Terzo: Masinov. È vero che Masinov si sarebbe mosso per andare dal suo vecchio insegnante, ma i suoi superiori normalmente non l’avrebbero lasciato muovere, tanto più in una regione in cui i Ronah avevano interessi. I Ronah stessi, normalmente, avrebbero fatto di tutto per non lasciarlo muovere.
Quarto: I Ms nemici erano, eccetto quelli da lavoro, tutti risalenti alla 2a Guerra Coloniale. Ma dov’erano? Dove si nascondevano? Come facevano i terroristi a permettersi i costosi pezzi di ricambio per il MS e le armi? Nel rottame di MS-10 erano stati trovati pezzi nuovi di fabbrica, con matricole e segni di identificazione abrasi o assenti.
“Devo trovare una risposta” pensò Vairetti.
Intanto anche la compagnia di Kikilia e la sezione esplorante stavano seguendo ciò che avveniva ad Atene, le notizie si susseguivano frenetiche, ma a parte il fatto che il vice-ministro era morto e la guardia del corpo del signor Ronah, notizie certe nessuna.
“Cosa ne pensa?” chiese via radio Kikilia a Vairetti.
“Prima possibilità: coloro che hanno sparato al vice-ministro sono elementi diversi da quel che stiamo combattendo. Sarebbe quantomeno una situazione particolare.
Seconda possibilità: coloro che hanno sparato al vice-ministro sono gli stessi che stiamo combattendo, che stanno cercando di mettere sotto minaccia la Federazione per avere le nanomacchine senza dover assaltare i laboratori.
Ne abbiamo parlato, può essere una possibilità.
Terza possibilità: riportare in vita Deikun è solo una cosa che i comandanti terroristici fanno credere ai loro subordinati per motivarli, il loro vero obiettivo riguarda i  giacimenti di uranio trovati presso Kicevok, che fanno gola a molti, ma fra poco finiranno nelle mani dei Ronah.
È la cosa che mi pare più probabile, ma finché non comunicano ufficialmente con la Federazione..
Quarta e ultima possibilità: il loro obbiettivo sono veramente le nanomacchine, le forze impegnate in questa regione sono solo una minima parte e le hanno usate per trarci in inganno, anche l’omicidio di oggi e volto a confoderci l’idee e allontanarci dalle loro vere posizioni chiave” spiegò in modo chiaro e deciso Vairetti.
“Lei cosa pensa?” domandò Kikilia.
“La verità sta nel mezzo, questo mi dice l’esperienza accumulata nella 31a, ma questo era molto tempo fa…” e poi aggiunse "Non dimentichiamoci che i terroristi ragionano con una logica diversa dalla nostra e ciò che per noi è illogico per loro invece è estremamente logico".
“Vinceremo?” chiese Kikilia.
“Secondo te?”.
“Ovviamente! Ma se non troviamo alla svelta qualche elemento… sarà estremamente dura”.
“Fai in modo di avere sempre il fucile d’assalto carico e la pistola nella fondina, in queste zone possono tornare molto più utili che quei giganteschi MS…” consigliò Vairetti.
“Ma nonostante tutto li ha voluti dietro” continuò Kikilia maliziosa.
“Due gatling da 60mm, due da 120mm, due lanciamissili quadrupli, un beam rifle e due beam saber, sono buone argomentazioni…” rispose stancamente Vairetti, fra qualche minuto sarebbe arrivata la chiamata radio dal comando centrale (era il meno che potesse succedere dopo l’assassino del vice-ministro della difesa) e li sarebbero arrivati ordini senza senso (giusto perché al comando centrale dovevano far vedere che stavano agendo).
Come al solito, come tutte le volte che erano avvenuti dei casini, come quella volta che li ordinarono di assaltare, con la sua unità delle forze speciali, una roccaforte dei terroristi in Iran senza supporto di alcun tipo solo perché la Federazione doveva rispondere ad un attentato (minimale e tra l’altro senza morti) in Georgia.
“Kikilia! Ti ho già raccontato di quella volta in Iran?” chiese Vairetti.
“Seppur non dovrebbe essendoci il segreto di stato mi avrà raccontato di quella operazione un miliardo di volte…”.
“Carlo! Sven! A voi vi ho già raccontato di quella volta in Iran?”.
“Almeno un milione di volte…”.
“ Masin…”ma Vasily non lo lasciò finire.
“Di nuovo? È già la millesima volta che me la racconti!”.
“Gharisnikov a te ti ho già raccontato di quello che combinai in Iran?”.
“Me l’ha raccontato una settimana fa a cena”.
“C’è qualche d’uno a cui non ho raccontato ciò che è avvenuto in Iran?” urlò via radio Vairetti.
“A me non l’ha ancora raccontato” fece notare Jessica.
“No, a te non lo racconto, sei troppo… troppo… troppo ingenua” si giustificò Vairetti, in realtà non poteva raccontare quella storia di cui uno dei protagonisti era Carl Garren.
“Ingenua? Ingenua! Se qualche d’uno mi dice ancora che sono ingenua mi vendico” mormorò Jessica.
“Ahah la principessina ingenua! Ahah! Piuttosto qualche d’uno mi può dire dove abbiamo le scorte d’acqua? Su quale MS?” chiese Vasily che era rimasto senza acqua.
“Indovini” lo sfidò Carlo.
“Ce le hai tu? Senti avrei alcuni interessanti documenti, magari ti interessano…” offrì Vasily.
“Naaa, hai sbagliato persona” rispose Carlo.
“Sven?”.
“No, sei fuori strada” rispose Sven.
“La Strati? Kikilia, cara Kikilia, ovviamente quello che è successo prima è solo un incidente capisci vero? Potresti fermarti un attimo per darmi l’acqua? Perpiacere” implorò Vasily.
“Si, lo so che era un incidente, ma non ho io l’acqua” rispose con tono falsamente comprensivo.
“Miguel! Tu, futuro grande cecchino federale” stava dicendo Vasily, ma venne bloccato da Miguel che disse “Si, sbaglia, non c’è l’ho io l’acqua”.
“Moammed! Come ho fatto a non pensarci prima! Tu, figlio di una grande cultura nata nel torrido deserto! Sicuramente tu custodisci la preziosa acqua!”.
“No, si sbaglia” rispose seccamente Moammed.
“Non ditemi che…” ed in quel momento Jessica pronunciò ciò che Vasily non avrebbe mai voluto sentire…
“Comandante Kikilia, se vuole nella tanica sono rimasti circa 10 litri d’acqua. Li vuole lei?”.
“No, grazie. Ho ancora molta acqua. Sven tu non avevi finito l’acqua?” chiese Jessica.
“Effettivamente… Appena ci fermiamo mi dai l’acqua che ti rimane?” chiese Sven a Jessica, sfidando Vasily.
“Sven! Per la riuscita delle operazioni e come comandante della tua sezione ti ordinò di cedermi l’acqua che ti cederà la Garren!” urlò Vasily.
“Però effettivamente un po’ d’acqua mi rimane. Carlo tu non eri rimasto senza?” chiese Sven.
“Ho controllato ora… e si! Sono rimasto senza! Jessica mi puoi dare quell’acqua?” chiese Carlo.
“Certamente, però non posso dartela tutta. Devo tenere un po’ d’acqua per la pecora” rispose Jessica.
“Come date dell’acqua ad una pecora e non la date a me? Una pecora?” urlò infuriato e stupito Vasily.
“Guardi con la camera termica” consigliò Jessica.
Vasily rimase di sasso, le persone che aveva davanti erano degli ossi duri, questa volta non avrebbe potuto fare il furbo, tanto meno con la Garren su cui aveva già preparato decine da battute da dire al momento giusto: d’altro canto non erano molte le persone che si portavano a spasso, dentro un blindato federale un pecora, violando una decina di regolamenti federali.
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« Risposta #16 il: 08 Agosto 2007, 20:09:29 »

Ed ecco la versione rivista e corretta di questi primi 12 capitoli, all'inizio avevo pensato a qualche cosa di più "pesante" con maggiori descrizioni dei personaggi e cose simili, alla fine ho optato solo per aggiungere qualche descrizione (di cui una che considero molto in stile film patriottico yankee).

http://www.megaupload.com/?d=HOJOHF7E

Consideratela una 1.2
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« Risposta #17 il: 09 Agosto 2007, 16:52:20 »

Capitolo 13: Le ossa che raccontano...

Agosto 25, ore 12 A.M., presso Banjica, circa 27 km a sud-ovest di Pristina...
“Ok, sembra che in questo villaggio ci sia stato del movimento ultimamente, almeno a vedere quelle traccie di pneumatici. Compagnia Condor, voi dovete circondare il villaggio! Sezione esplorante, preparatevi ad avanzare su mio ordine!” ordinò Vairetti.
I MS circondarono il villaggio e a quel punto Vairetti ordinò di far irruzione in esso, i fanti fecero irruzione in tutte le case (tutte abbandonate e decadenti), in una trovarono quel che cercavano.
“Arrendetevi! Siete circondati!” urlò un ufficiale sparando qualche colpo in aria.
“Mai!” li rispose un terrorista, ma in quel momento alcuni fanti fecero irruzione nella casa dove si nascondevano i terroristi, passando da un cunicolo formato dalle macerie delle costruzioni li vicine.
Ci fu un breve scontro a fuoco, tre terroristi che provarono a reagire rimasero uccisi, gli altri, colti completamente di sorpresa, non fecero in tempo a puntare le loro armi che vennero disarmati e resi inoffensivi.
In tutto vennero catturati sei terroristi ed un camion carico di esplosivi.
I MS non dovettero far altro che controllare se nei dintorni c'erano traccie di altri movimenti, ma non venne trovato niente, i pattugliamenti nella zona e nei paesi vicini continuarono fino alle 5 di pomeriggio, quando Vairetti, avendo intenzione di continuare il pattugliamento di notte, ordinò a tutti di fermarsi e riposarsi un po'.
“Creiamo qua il campo base, ci riposiamo per qualche ora, poi a turno, stanotte, usciamo in pattugliamento” ordinò Vairetti indicando un spiazzo abbastanza largo da permettere di parcheggiare MS e mezzi senza troppe difficoltà.
“Che giornata inconcludente!” esclamò Kikilia guardando il tilt-rotor che portava via i prigionieri.
“Verro, che abbiamo trovato solo pesci piccoli, ma sempre meglio che niente no?” rispose Carlo.
“Che facciamo? Piantiamo le tende?” chiese Jessica, con in mano tutto il necessario.
“Certamente! Vasily, Sven, Mommed! Aiutate Jessica! Miguel, Carlo! Cercate un buon posto dove montare la latrina!” ordinò Kikilia.
“Che lavoro ingrato! Immagino che dobbiamo anche montarla...” esclamò Carlo.
“No, in effetti avevo pensata di farla montare a Moammed e a Vasily appena avesse finito di montare la tenda, ma visto che vi siete offerti volontari...” rispose Kikilia.
“Ma io non mi sono offerto volontario!” obbiettò Miguel.
“Vero, ma Carlo è tuo superiore, quindi in questo caso ha anche parlato a nome tuo...” spiegò Kikilia.
Miguel alla risposta di Kikilia guardò malissimo Carlo che d'altronde non si poteva di certo definire felice avendosi aggiunto un faticoso lavoro solo perché non aveva tenuto a freno la lingua.
“Sven! Passami la pala! Il terreno è un po' da spianare!” chiese Jessica.
“Lascia stare! Ci penso io!” obbiettò Sven.
“Grazie, sei molto gentile” lo ringraziò Jessica.
“Ma guardateli i due piccioncini...” esclamò Vasily contrariato che non poté far altro che cominciare a spianare il terreno, quando il suo volto sbiancò improvvisamente.
“Comandante? Si sente bene?” chiese, divertito, Sven vedendo la faccia di Masinov.
“Ossa...” indicò Vasily spaventato.
“Cosa?” chiese Sven.
“OSSA! SORDO CHE NON SEI ALTRO!” urlò Vasily; alche tutti si voltarono e si avvicinano per vedere.
Carlo fu l'unico che osò toccarle (non prima di essersi messo i guanti) e analizzarle.
“Queste ossa sono da sottoterra da molto tempo, inoltre non c'è più un brandello di carne, direi che appartengono ad una persona morta da molto tempo. È probabile che le violentissime piogge di un mese fa abbiano fatto riaffiorare queste ossa” concluse Carlo.
“Già, sembra che piogge così violente come quelle di un mese fa non si vedessero da centinaia di anni nella regione” confermò Vairetti che era sopraggiunto sul posto all'urlo di Masinov.
“Mio Dio! Ma che diamine?” esclamò Carlo con un volto agghiacciato, aveva visto ciò che non voleva vedere, togliendo il fango da sopra quelle ossa notò come il corpo a cui appartenevano stringeva tra le braccia delle ossa più piccole, come quelle di un bambino.
“Fossa comune” esclamò tristemente Gharisnikov, “Sicuramente è una fossa comune, in queste regioni a volte si trovano. Son sicuro che se scaviamo troviamo altri resti” aggiunse e con un cenno chiamò alcuni fanti a cui ordinò di scavare.
Lo spettacolo, se così si può chiamare, era da mozzare il fiato dallo sconcerto, i fanti continuarono a scavare per un bel pezzo prima di non trovare più ossa, sembrava quasi che la fossa fosse stata usata più volte ed in tempi diversi; in particolare vennero trovati tre scheletri che indossavano ancora una divisa.
La cosa che lasciò più sbigottiti furono proprio le divise, Carlo cominciò ad analizzarle.
“Qua abbiamo trovato tre scheletri che indossavano le divise, comincio a descrivervi i tre che abbiamo trovato più in profondità e che sembrerebbero essere stati gettati nello stesso periodo.
Le tre divise appartengono al periodo pre-federale e sono di due eserciti diversi, sono divise molto avanzate, in materiale plastico, impermeabile ed in grado di accogliere equipaggiamento, per il tempo, hi-tech. Sono in un eccellente stato, probabilmente si sono verificate condizioni tali da preservarle a lungo...”.
Tutti ascoltavano in silenzio e notavano come la voce di Carlo fosse triste, nonostante cercasse di parlare come in una fredda ricostruzione dei fatti.
“Due di queste divise mostrano alcune particolarità dalle mostrine intatte sembra che i due soldati, uno italiano e l'altro tedesco, stando sempre alle mostrine, partecipassero alla missione KFOR quando vennero uccisi.
Se notate alle divise e agli scheletri mancano alcune parti in corrispondenza degli arti, inoltre presentano segni di bruciature: probabilmente sono morti durante un'esplosione, probabilmente di un grosso pezzo di artiglieria, è probabile supporre che siano morti durante le fasi iniziali della 1a Guerra Coloniale...”.
“Confermo, in queste zone le forze in missione di peace-keeping tentarono di bloccare l'avanzata nazista, inutilmente. Fu un macello.” spiegò Vairetti.
“La terza divisa è anch'essa italiana”, proseguì Carlo, “presenta alcune particolarità. La prima particolarità che si nota è che è intera, al contrario delle altre due; ma se guardate bene presenta diversi tagli, ma nessun buco che possa essere stato creato da una pallottola.
Questo soldato probabilmente aveva camminato a lungo, probabilmente stava cercando di fuggire quando arrivò in queste zone e fu catturato. Venne catturato e giustiziato sul posto, con un colpo alla testa.” spiegò Carlo.
“Cosa ti fa credere ciò?” chiese Sven sbigottito.
“Guarda, nelle altre due divise è ancora presente una parte dell'equipaggiamento. In questa no. È probabile che quei due soldati, l'italiano ed il tedesco, siano morti nelle fasi iniziali, quando i nazisti non avevano tempo per fare un controllo accurato dei morti, il terzo invece cadde in mani naziste quando quest'ultimi avevano già in mano l'Europa, probabilmente.” spiegò Carlo.
“Le piastrine di identificazione?” chiese Kikilia.
“Non ci sono” rispose Carlo.
“Ed il quarto?” chiese Jessica, leggermente a disagio.
“Il quarto... il quarto mi ha fatto sobbalzare, perché è la dimostrazione che questa fossa comune è stata usata due volte. Guardate, questa divisa è del tipo usata dalla federazione dopo il 5 N.C., la prima vera divisa federale.
Questa divisa apparteneva ad un ufficiale e presenta diversi buchi prodotti da proiettile; probabilmente è morto in combattimento contro le forze di Deikun, non ci sono altre divise federali, ciò lascia intendere che probabilmente fu l'unico a morire della sua unità, che probabilmente era in ritirata.
Ci sono poi un numero enorme di ossa senza vestiti o con ancora dei brandelli di vestiti, probabilmente quelli sono tutti civili uccisi o dai nazisti o dalle forze di Deikun, non so cos'altro pensare.”
“Cosa facciamo? Dovremo dare degna sepoltura a questi militari e civili” propose Kikilia.
“Noi non possiamo occuparcene, chiamo il comando centrale e avverto della nostra scoperta. Mettete qualche cosa per segnalare la fossa. In modo che nessuno la calpesti” ordinò Vairetti e poi consigliò: “Ora non pensateci più riposatevi e mangiate che sta calando il sole, voglio sempre pronti all'erta 2 dei MS della tua compagnia, non si sa mai, metti caso che coloro in ricognizione trovano qualche cosa di grosso...”.
“Ci può contare, avrà due MS pronti su chiamata in qualsiasi momento ed almeno altri due pronti ad intervenire in meno di cinque minuti” esclamò Kikilia.
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« Risposta #18 il: 10 Agosto 2007, 14:19:43 »

Capitolo 14: Il problema di Carlo

Agosto 26, ore 00.05 A.M., campo base...
“Sven, che hai?”, chiese Jessica sussurrando entrando dentro al cockpit del Jegan, “Non è da te stare rinchiuso qua dentro. Non è neanche il tuo turno di QRA!”.
“Niente, niente. Solo non mi va di stare li per terra”
“Gli scheletri?” chiese Jessica apprensiva.
“Non voglio parlarne” rispose il ragazzo seccamente, “Piuttosto dormi, devi approfittarne! Se quelli in ricognizione trovano qualcuno sicuramente ci chiameranno anche se non ce ne è bisogno” raccomandò Sven volgendosi su un lato.
La ragazza di tutta risposta si accovacciò a fianco a Sven.
“Perché stai qui? Questo seggiolino è scomodo, sono molto più comode quelle brandine” mormorò Sven.
“Ti do fastidio?” chiese arrabbiata Jessica.
“No, no. Ma non lamentarti se poi ti fa male la schiena” fece notare divertito Sven.
“Non mi va di stare la sotto, c'è Masinov che continua a girare, credo che voglia tirarmi qualche brutto scherzo” rispose appoggiandosi a Sven.
“Dai dormiamo allora” e dicendo ciò Sven passò parte della coperta a Jessica.
“Buonanotte!” mormorò Jessica dando, subito dopo, un fugace bacio a Sven.
Era si una serata d'estate, ma la  temperatura era sotto i venti gradi e nessuno aveva voglia di indossare i pesanti giubbotti mimetici, perciò, non si sa da dove, furono tirate fuori delle coperte.
...
Intanto due M56 in ricognizione, stavano controllando le rovine di vari paesi, ufficialmente quei paesi avevano un nome, ma non sfuggiva ad occhi allenati all'osservazione di come l'azione del tempo entro pochi anni li avrebbe completamente cancellati, non lasciandone quasi più traccia, se non qualche misero muro qua e la.
“Jean, guarda là! Una luce!”.
“Cosa dici Mario! Non vedo proprio niente!”.
“Ma si guarda bene! Là, in cima a quella montagna! Jean, porco cane! Là, là in cima!”.
“Continuo a non vedere niente!”.
“Dio santissimo” e dicendo ciò Mario girò la testa al povero Jean “LÀ!”.
“Mais Oui! Potevi dirlo subito che intendevi quella! E comunque non ci si rivolge così ad un tuo superiore!”.
“Ma porco di quel... e per te è normale che in cima ad una montagna, di notte, in queste regioni dimenticate da tutti, ci sia una luce?!”.
“Troppo emotivo, troppo emotivo! Calmati! Adesso controlliamo con il sensore multimodale a grande portata. Va bene?” chiese retoricamente Jean.
“Certamente, comunque per me tu non hai visto niente” aggiunse Mario stizzito.
“Invidia, invidia! Comunque guarda tu stesso! Sono dei cacciatori che si stanno riposando!”
“Sembrerebbe che tu abbia ragione, ma non sto tranquillo. Hai sentito gli interrogatori di quelli che abbiamo catturato presso Tirana? Qualcuno li aveva informati del nostro arrivo”
“Si vero, però non mi sembra neanche il caso di...” ma Jean venne interrotto da Gharisnikov che urlò ai due: “Silenzio, sto cercando di guardare la TV!”; vista l'ora si può immaginare cosa stesse guardando Gharisnikov, anche a sentire certi rumori provenienti dalla TV.
“Uhuh, sembra interessante, vado di sotto, tu continua a controllare l'orizzonte” ordinò Jean a Mario.
“Come fa ad essere così tranquillo non lo so. Abbiamo dissotterrato dei morti oggi, mica dei soldi!” esclamò Mario che era da quando aveva dissotterrato quella quantità immane di ossa che continuava a tremare come una foglia, “Ha ragione mia moglie: fai il pizzaiolo che guadagni di più!” pensò il povero Mario, immaginando quello che diceva la sua amata ogni volta che portava a casa lo stipendio, ai fornelli tra l'altro, Mario, se l'era sempre cavata bene.
“Qui Zulu 2 a Zulu 1. Novità?” era il capocarro del secondo mezzo che chiedeva se c'era qualche cosa da segnalare.
“Qui Zulu 1, individuati solo dei cacciatori sopra la montagna. Proseguo come da piano di marcia” rispose Mario.
Sta di fatto che il caporalmaggiore Mario aveva visto giusto nei suoi timori, in effetti, a pensar male si commetterà peccato, ma si ha quasi sempre ragione, come Jean dovette riconoscere a Mario successivamente.
Due forti colpi si sentirono sparare dalla montagna e Mario lo comunicò prontamente a Jean, che però in quel momento aveva ben altre preoccupazioni e li rispose in malo modo: “Ma vai a rompere da un'altra parte e lascia sparare ai cacciatori”.
“Qui Zulu 2, dobbiamo preoccuparci?” chiese Andrzej, il capocarro di origini polacche del 2° mezzo.
“No, non preoccuparti Andrzej. Il caro Jean ha detto di non preoccuparsi” rispose laconico Mario.
“Uhuh. Allora mi comincio a preoccupare” commentò Andrzej, con un certo sarcasmo, “Ma non si dovrebbero usare i nome in codice nelle comunicazioni via radio?”.
“E secondo te un aiutante di campo ed un comandante serio guardano film porno in operazione?” rispose Mario sconsolato.
“Dov'è finito il gioviale Mario che conoscevo?” chiese il polacco ridendo.
“In una fossa, ecco dove” mormorò Mario, mentre il suo mezzo entrava in una galleria, ma all'uscita avvenne ciò che non si aspettavano: un gruppo di terroristi saltò sul primo mezzo e appena il secondo rallentò per vedere cosa succedeva assaltarono anche quest'ultimo.
Gli occupanti non ebbero modo di reagire, ne di comunicare con Vairetti che era al campo base; sotto la minaccia di armi anticarro e mitragliatrici pesanti gli occupanti furono costretti a scendere e a togliersi tutto l'equipaggiamento elettronico che si portavano appresso; i mezzi furono abbandonati in mezzo ad un bosco.
Ma i movimenti dei mezzi erano monitori via satellite dal campo base...
“Comandante! Comandante! Le unità in ricognizione si sono fermate e non riusciamo più a metterci in contatto con loro!”
“Dio mio, ti sembra questo il modo di svegliarmi!” esclamò infuriato Vairetti.
“Signore, le unità...”, ma il soldato venne interrotto da Vairetti che rispose “Ho capito, ho capito!  Mettete in allarme i MS, dove si sono fermate le comunicazioni?”
“Guardi lei stesso” e la sentinella passò uno schermo con sopra tutte le indicazioni.
Gli occhi di Vairetti ebbero un sussulto, “Ok, preparate il mio carro. Partiamo tra un minuto!” urlò l'ufficiale.
“Allarme! Allarme! MS pronti ad uscire! Carro n°1 qui, presto!” urlò la sentinella uscendo dalla tenda, subito l'equipaggio del carro (che dormiva dentro al carro) mise in moto il mezzo.
“Carro n°1 pronto all'azione” urlò il capocarro Sanchez.
“Ok, presto, non c'è un minuto da perdere! Fatemi posto!” urlò Vairetti salendo sul carro.
Si posizionò col busto fuori dalla torretta e il binocolo in mano, ricordava i comandanti dei Panzer germanici della WWII.
“Ok, dirigetevi verso le coordinate GH84!” “Kikilia i MS?” domandò Vairetti a Kikilia che stava indossando il giubbotto anti-proiettile.
“Carlo e Miguel sono pronti a seguirvi! Presto arrivo io con Sven. Moammed e Vasily li lascio di guardia!”.
“Ok, presto, presto! Fatemi sentire come tira questo Revil!” urlò Vairetti in direzione dell'autista.
“Roger!”
“Qui Condor 1 a Condor 3, preparati a partire! Inoltre qualcuno ha visto Jessica?” urlò via radio Kikilia
“Che succede?” esclamò Sven aprendo, inavvertitamente, il collegamento video.
“Dobbiamo entrare in az..., vabbè ho capito fai con calma” esclamò Kikilia vedendo Jessica che si stava svegliando.
“Sven che succede?” chiese Jessica.
“Ehm... niente, niente. Dobbiamo entrare in azione” rispose, chiudendo nel frattempo il collegamento video; “Sicuramente avrà pensato male” mormorò tra se e se Sven pensando alla reazione di Kikilia vedendo Jessica nel cockpit.
“Aspetta! Fammi scendere, che prendo l'HM-8!” disse Jessica, ma il MS era ormai in movimento.
“Non c'è tempo, vedi li? C'è il seggiolino ribaltabile per il secondo pilota, quello che si usa in addestramento, siediti in quello” ordinò Sven.
“Ok”.
“Sai usare i sistemi di detenzione del Jegan?” chiese Sven.
“Certamente”.
“Allora estrai la console n°3, quella alla tua destra e la console n°1 alla tua sinistra. Così ci divideremo il lavoro e riusciremo ad individuare prima eventuali nemici” ordinò Sven
Intanto Carlo e Miguel stavano correndo con i loro MS a fianco del 'Revil' a tutta velocità ed erano già nei pressi della galleria.
“Qui Condor 2 a Condor 6 (Masinov è diventato Condor 5 e Moammed è diventato Condor 7 a seguito dell'arrivo dell'ufficiale caucasico), individuato niente?”
“Qui Condor 6, negativo. La camera termica ha solo rilevato i resti di un fuoco che era stato acceso su quella montagna”
“Merda” sussurrò Carlo.
Carlo era teso, non aveva dormito neanche un minuto, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva quella fossa.
“Qui Papa Bear a Condor 2, fra poco raggiungeremo i mezzi. State in guardia!”
“Qui Condor 2, ricevuto!”
I mezzi sopraggiunsero dai mezzi abbandonati in mezzo al bosco ma non trovarono nessuno, perlustrarono li intorno, ma non trovarono nulla; nel frattempo arrivarono anche i MS di Kikilia e Sven.
“Riesci ad individuare qualche traccia?” domandò Kikilia a Sven.
“Negativo, niente di niente; scendo a controllare i mezzi, magari al loro interno c'è qualche indizio” e dicendo Sven aprì l'abitacolo e cominciò a scendere dal MS, ma venne fermato da Vairetti.
“Sven, dico sei impazzito? Potrebbero essere imbottiti di esplosivi quei mezzi!” urlò l'ufficiale “ State tutti a una distanza minima di 50 m!”.
Mai parole furono più profetiche, Sven non fece in tempo a tornare sul suo mezzo che una enorme esplosione illuminò a giorno la zona, l'onda d'urto fu talmente violenta da far cadere a terra il MS di Carlo che si stava avvicinando ai due mezzi per controllare l'eventuale presenza di esplosivi con i sistemi del Jegan.
Il carro di Vairetti fu investito in pieno dai rottami che volarono da tutte le parti dei due mezzi, ma per un enorme colpo di fortuna Vairetti, che era sempre col busto fuori dal carro, non si fece niente.
Le ricerche di Gharisnikov e compagni continuarono fino all'alba, anche con l'aiuto della polizia della vicinissima Pristina che sopraggiunse velocemente sul luogo dell'esplosione, ma non fu trovato niente.
Alcune traccie di pneumatici facevano supporre che i terroristi fossero scappati verso Pristina e con loro era probabile che ci fossero i soldati di Gharisnikov.
“Ti ricordi delle lezioni in più che vi feci sulla guerriglia urbana?” chiese Vairetti a Kikilia che era scesa dal MS e stava guardando il sole sorgere.
“Certamente, battaglia di Falluja, controllo della zona verde, Beirut, resistenza di Roma... vuole che me ne sia dimenticata?”
“Meglio, perché credo che quelle lezioni ritorneranno utili”
“E così ci ritroveremo ad applicare totalmente la terza regola fondamentale che mi aveva insegnato...” commentò Kikilia.
“Esattamente. Ricordati di farla rispettare al 100% ai tuoi sottoposti. Non voglio un nuovo Tabriz”
“Ci può giurare, anche perché se no non avrei più il coraggio di stare nell'esercito federale. Se non rispettassi quella regola tanto vale andare a fare la mercenaria per qualche casato.” spiegò Kikilia.
Intanto Carlo guardava i palazzi di Tirana senza dire una parola...
“Che c'è Carlo? Non ti ho mai visto così teso...” esclamò Sven porgendogli dell'acqua.
“Grazie. No, non sono teso...”.
“In effetti sei molto teso, sembri avere una decina di anni in più” aggiunse Jessica.
“Mi fa piacere che mi preoccupiate per me, ma sto bene e sono tranquillo” rispose Carlo seccamente.
Ma Sven non ci credeva, “Non mentire che ti cresce il naso...”.
“Sven, basta ti prego. Si sono teso, non potrei non esserlo, secondo te dové che combatteremo prossimamente? In città, a Pristina, ecco tutto. Guarda tu stesso col binocolo: case, ospedali, scuole, uffici.
Noi non potremo fare altro, il nemico ha preso l'iniziativa e sta scegliendo lui dove far avvenire lo scontro; là, là in città, nonostante le precauzioni che potremo prendere sarà una strage, è quello che vogliono i nemici.
Noi saremo ricordati come degli infami assassini, le file dei terroristi si rimpolperanno e poi immagina” concluse Carlo gettando a terra il suo elmetto con violenza.
“Ma datti una calmata, non sei proprio tu quello che dice sempre che per fare le cose bene bisogna essere calmi?” li ricordò Sven.
“SI! MA MI SPIEGHI COME FACCIO A STARE CALMO?” urlò Carlo con veemenza.
“Qual'è il problema?” chiese Sven con tutta calma.
“Tutto è un problema: questa regione è un problema, quella fossa è un problema, quei terroristi sono un problema, io sono un problema” rispose Carlo a bassa voce.
“Suvvia, non gettarti a terra così, ricordati che può andare peggio!” incitò Sven.
“Peggio come?”
“I terroristi potrebbero avere una bomba atomica, mia sorella ti potrebbe tradire, quella città potrebbe essere Roma piuttosto che a Pristina, potresti essere sotto il comando di Masinov. Fai un po' te.” “Cosa no,  sta calmo con quel pugno, era solo per dire, lo sai che Caroline non ti tradirebbe mai, no Carlo calma, calma, calma!” pregò Sven piuttosto spaventato dalla reazione di Carlo, che l'aveva afferrato per la divisa e stava caricando un pugno.
“Dai Carlo calmati, Sven stava solo scherzando” fece notare Jessica.
“Si, si, scusa Sven, ma non provare più a dire...”
“E dai lo sai che stavo scherzando, senti guarda il lato positivo, siamo vicino a Pristina, cinque minuti di macchina, due di MS. Perché non chiediamo a Kikilia se ci lascia fare un salto a Pristina, così fai una telefonata a casa! Ti farà bene e ti toglierà un po' della tensione che hai addosso, eh? Che ne dici? Si tratta solo di chiedere!” propose Sven.
“Per una volta non hai avuto una cattiva idea, vado a chiedere se ci lascia andare” esclamò Carlo alzandosi in piedi.
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« Risposta #19 il: 10 Agosto 2007, 18:36:24 »

Capitolo 15: Anche Sven ha un problema

“Per me non c'è problema, potete andare, ma state allerta. Se notate qualche cosa di sospetto...” redarguì Kikilia.
“Avvertiremo subito!” promise Carlo.
“Ok, andiamo Carlo” esclamò Sven.
“Aspettatemi!” urlò Jessica.
“No, tu rimani qua” rispose Sven in malo modo, lasciando la ragazza di stucco.
“Che modi!” mormorò Jessica arrabbiata.
“Non farci caso. Uomini! Devi imparare a sopportarli” spiegò Kikilia.
Carlo, appena si furono allontani per andare sui MS, non riuscì ad evitare di fare a Sven una domanda: “Perchè non l'hai fatta venire?”, “Non l'hai trattata bene” ammonì Carlo.
“Capirai, diciamo che mi dovrai dare un consiglio; su quelle cose hai avuto sempre più gusto te” e dicendo ciò Sven cominciò a salire sul MS.
“Mah” sospiro Carlo, “Ok, andiamo a Pristina, stiamo attenti a sfondare la strada! Ce l'hai la mappa delle condotte sotterranee?” chiese l'italiano.
“Sicuramente, è tutto memorizzato” rispose Sven.
“Bene, così dovremmo evitare di pagare migliaia di dollari per aver sfondato una strada”.
Pristina, 1 milione di abitanti, città dai mille volti, unico baluardo per chilometri e chilometri della civiltà, città in cui coesistono passato e modernità.
Nella periferia di Pristina non era raro vedere il pastore che riportava il gregge dal pascolo, con sfondo gli alti grattacieli costruiti durante le fasi di boom economico della Federazione, ormai reperti di un'epoca d'oro ormai finita.
La città di Pristina era strana, ci si poteva trovare di tutto e di più, legale e non, si potevano trovare cose che neanche in metropoli come new York, Tokyo e Pechino si trovavano.
Durante il primo secolo della Federazione Pristina fu una delle roccaforti federali nei Balcani, ma al tempo stesso era uno dei principali snodi attraverso il quale i guerriglieri ottenevano armi e finanziamenti.
Il giorno più buio della storia di Pristina, non si ebbe durante le terribili guerre balcaniche degli anni domini, ma nel giorno in ricordo della proclamazione della Federazione nel 60 N.C. quando i guerriglieri della zona la attaccarono, le forze federali combatterono con tenacia, attaccate da tutte i lati e alla fine vinsero, ma lo spettacolo che ne derivò fu mostruoso.
Molti paragonarono le scene viste a quelle di Stalingrado, altri a quelle delle città distrutte dagli attacchi nazisti durante la 1a Guerra Coloniale: non c'era edificio che si potesse dire integro, i morti erano abbandonati ai lati delle strade (dove ancora c'erano) e alte colonne di fumo si alzavano nel cielo; le ferite fisiche furono col tempo rimarginate, ma le ferite morali no. Quell'attacco contribuì a rialzare i toni fra le varie etnie che si accusavano l'un l'altra e ancora centottantanni dopo gli odii etnici continuavano.
Il capostipite del casato industriale dei Ronah nel 30 N.C. disse una frase profetica “Solo un pazzo può voler scoperchiare quel vaso di pandora che sono i Balcani, dovremmo lasciarli stare e limitarci a guardare; col tempo, forse, troveranno un modus vivendi”, in quegli anni la Federazione stava portando avanti una politica che ricordava per certi versi quella di Tito, che pure con la sua scomparsa aveva mostrato tutti i suoi limiti, ma non c'era Tito e non c'era il pugno di ferro di Tito.
Fu uno dei motivi che portarono poi ai tragici giorni del 60 N.C., nessuno poteva comprendere appieno i Balcani; ai governanti non mancò la volontà o la voglia, anzi, era quasi una missione per i presidenti della Federazione portare la pace nei Balcani, ma nessuno comprendeva quella regione martoriata e i suoi abitanti.
Forse neanche quelli che ci abitavano.
“Dove andiamo?” chiese Carlo a Sven, che sembrava che cercasse qualchecosa con la telecamera principale del Jegan.
“Verso il centro, li troveremo un telefono e quel che sto cercando”.
“Si può sapere quel che stai cercando?” domandò Carlo incuriosito.
“Vedrai” rispose Sven elusivamente, “Secondo te si può parcheggiare in mezzo alla piazza centrale?”.
“Chiediamo alla polizia. Aspetta un attimo che glielo chiedo” e dicendo ciò Carlo aprì il portellone e uscì dal Jegan, andando incontro ad una pattuglia della polizia li vicina, i poliziotti stavano seguendo i Jegan curiosi, non era scena da tutti i giorni vedere dei MS passare per le strade di Pristina.
“Scusate! Volevo un'informazione! Dovremmo parcheggiare i MS qua nei dintorni, non per molto, non più di un'ora...” chiese Carlo.
“Se non è per più di un'ora potete parcheggiare i MS anche in mezzo alla piazza, sono le 7.30 di mattina, non dovrebbero dare fastidio” spiegò l'anziano poliziotto, “Per la custodia non fatevi problemi, intanto noi dobbiamo rimanere qua, ci pensiamo noi. Potrei solo scattarli qualche foto? Magari anche al cockpit?” chiese il poliziotto.
“Non ci sono problemi, non toccate nulla però!”
“Stia tranquillo, sa sono un appassionato di MS, una volto servivo come meccanico nell'esercito federale, le foto dei Jegan e dei loro cockpit li trovo anche sulla rete, ma se le foto sono mie ho maggior soddisfazione a guardarle” spiegò il poliziotto.
“A perfettamente ragione faccia pure!” esclamò Carlo dirigendosi verso il suo MS per parcheggiarlo.
Carlo e Sven parcheggiarono i due MS in mezzo alla piazza in modo da non dare fastidio, si radunò attorno un po' di gente curiosa tenuta a distanza di sicurezza dalla polizia, anche se bisogna dire che il poliziotto di prima ebbe buon gioco a raccontare di come lui una volta faceva manutenzione ai MS e vari aneddoti, probabilmente i suoi figli ne avevano piene le orecchie di queste storie e perciò... l'importante era raccontare, a chi poi non importa, basta essere ascoltati.
“Guarda là un videotelefono, vai! Ma fai in fretta” si rivolse Sven a Carlo.
“Ci metto il tempo che ci metterò” li urlò di rimando Carlo mentre componeva il numero.
Carlò riuscì a parlare per ben 25 minuti, anche se dei 25 minuti 18 furono passati a dire a Caroline: “Come stai?”, “Mi manchi tanto”, “Ti amo”, “Vorrei essere li”, etc...
“Spero di non diventare così” mormorò Sven rimanendo disgustato dalla lunghezza di quella telefonata; aveva fretta e Carlo doveva darsi una mossa!
“Alla buon ora! Ti potevi dare una mossa dico io!” esclamò Sven quando Carlo chiuse la telefonata.
“Che c'è? è stata una telefonata brevissima!”
“Si, come no. Vieni va che devi darmi un consiglio!” esclamò Sven attraversando la strada e indicando a Carlo una gioielleria.
“Ahah! Scusami però, vabbè che al cuore non si comanda, ma al denaro si! Con quali soldi pensi di comprare un anello a Jessica? Lo so quanto guadagniamo...” fece intendere Carlo.
“Sai perché all'inizio di questo mese, quando siamo stati dai miei a mangiare, ho fatto in modo che ce ne andassimo velocemente da casa e sono stato felice di sapere che saremmo stati impegnati in operazione?” domandò misteriosamente Sven.
“No”
“Sai mia madre, ebbene li avevo detto che era a corto di liquidità e allora...”
“Allora cosa?”
“Allora mi sono fatto prestare la carta di credito di mio padre a sua insaputa...”
“Non ci credo” esclamò Carlo stancamente, ora Sven le aveva combinate tutte ai suoi occhi.
“Invece è vero, mia madre poi ha accampato non so quale scusa, infatti la carta non è stata bloccata. Però capisci che devo tornare a casa il più tardi possibile per far sbollire la rabbia di mio padre” concluse Sven.
“Dimentichi un piccolo particolare, sei stato in mondovisione, ormai lo sa tutto il mondo che ti sposi...”
“Ebbene?”
“Ebbene? Ma sei scemo? Secondo te, dopo quella notizia, tuo padre avrà ancora il coraggio di ammazzarti?” chiese Carlo stupito dalla mancanza di ragionamento di Sven.
“Continuo a non capire? A mio padre ho, nella pratica, fregato la carta di credito, non credo che sia felice! Forse intendi perché Jessica è  abbastanza ricca?” rispose Sven basito.
“Si, certo, abbastanza. MA DOVE VIVI? MA L'HAI ASCOLTATA QUANDO HA DETTO LE AZIENDE CHE CONTROLLA LA SUA FAMIGLIA O NO?” domandò Carlo più che stupito, “Secondo te e normale che uno si sposi con l'unica figlia di Carl Garren, proprietario dell'omonima multinazionale, una delle poche in grado di non piegarsi ai Ronah, chiedo? Lo sai qual'è la cifra tipo su cui ragiona un Garren normalmente prima di dire 'è costoso, ci devo pensare'?”
“Ehm, fino ad un minuto fa avrei detto, ad esagerare tanto, qualche milione di dollari” rispose Sven a cui cominciavano a tremare leggermente le gambe, fino a quel momento non si era reso ben conto.
“Facciamo qualche decina di miliardi di dollari, a stare stretti” rispose Carlo leggermente stizzito.
“Ah! S...si, si, ma lo sapevo, lo sapevo, ci siamo solo intesi male”rispose Sven mentre cercava di non cadere a terra.
“Si e io sono Napoleone, ma vai!” li rispose Carlo a malo modo.
“Vabbè e ora che faccio! Non posso presentarmi a Jessica con una paccottiglia di poche centinaia di dollari!” esclamò Sven afferrando le spalle di Carlo.
“Non è il valore quel conta in un gioiello, è la bellezza, dal mio punto di vista”, “Dai entriamo e vedrai che qualchecosa troveremo e poi non dimenticarti che Jessica è comunque entrata nelle forze armate federali, se voleva servire la Federazione, ma facendo la snob, avrebbe sicuramente scelto la carriera politica fidati” lo rincuorò Carlo.
Ma Sven non era l'unico a preoccuparsi di Jessica, c'erano altre due persone, la prima era Masinov che stava cercando di studiare uno scherzo il più cattivo possibile, ma intanto i suoi piani sarebbero rimasti pura immaginazione e la seconda... la seconda al contrario di Masinov non era una minaccia, era ben di più...
“Stai mentendo, ho visto la TV! Jessica Garren è nella vostra unità! Confessa!” urlò una figura alta, dai occhi di ghiaccio e dai capelli biondi.
“Non è nella mia unità” balbettò Gharisnikov.
“Ah no? Indossava una divisa da carrista, non mentire! Se no...” e con la mano si passò il pollice sul collo “...uno dei tuoi uomini farà una brutta fine” e un terrorista impugnò un coltello appoggiandolo al collo di Andrzej.
“Va bene parlo, ma vi prego non fate niente ai miei uomini” urlò Gharisnikov, non sapeva dov'era, sapeva solo di essere in una stanza senza finestre con i graduati della sua unità, avrebbe voluto sapere come stavano quelli della truppa, ma non osava aprire bocca, non voleva che la risposta fosse: morti; “Jessica Garren è la capocarro dell'HM-8 della compagnia di MS” balbettò Gharisnikov, sul suo volto c'era dipinta la rabbia, non avrebbe voluto parlare, ma era troppo affezionato ai suoi uomini per metterli in pericolo.
“Bene, bene continua a parlare. I miei uomini ti porranno altre domande. Io ho già perso troppo tempo qui” esclamò l'alta figura.
“Dimmi almeno chi sei!” urlò, con rabbia, Gharisnikov.
“La plebaglia di voi federali non merita di sapere il mio nome” rispose con rabbia quella persona, "Ma comunque non mi va che tu sia mia prigioniero e non sappia il mio nome" passarono due-tre interminabili secondi "Io sono...".
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« Risposta #20 il: 31 Agosto 2007, 20:07:45 »

Capitolo 16: Business infinito

Agosto 26, ore 1.00 P.M., campo base, davanti alla TV…
… Helmut Von Deikun, discendente di Kaswal von Deikun!
“Si, come no! E io sono la discendente di Haman Kharn; certa gente ne ha di fantasia!” esclamò Kikilia ironica guardando la TV su cui passava un video inviato dai “Discepoli”.
…Abbiamo in ostaggio trentadue soldati federali, se li volete rivedere vivi dovrete ritirare tutte le forze federali dai Balcani entro sette giorni, riconoscere le mie forze come regolari e consegnarci tutti i mezzi, gli armamenti e le infrastrutture della regione, compresi i laboratori R-4.
Facendo ciò potrò riscattare il nome di Deikun e dare finalmente una patria a tutti coloro che credono nel suo messaggio! IL NOSTRO SANGUE PER IL TUO RITORNO!
E con questo si conclude il messaggio di questo ennesimo terrorista che crede di essere un discendente di Deikun, ma colleghiamoci con Jackson Jern che attualmente si trova a Pristina, dove sono stati rapiti i soldati. Jackson a te la linea.
Grazie Mike, ebbene i soldati erano in pattuglia vicino Pristina quando sono stati attaccati e rapiti; il rapimento è avvenuto nei pressi di quella galleria, sembra che non ci sia stato conflitto a fuoco.
Da quel che ho saputo dalla polizia sembra che i terroristi si siano rifugiati, con gli ostaggi, da qualche parte in Pristina, ma le ricerche e le indagini stanno proseguendo.
Mobile suit e mezzi sopraggiunti velocemente sul luogo non hanno trovato tracce, i due mezzi su cui viaggiavano i soldati erano stati abbandonati in un bosco li vicino e al sopraggiungere dei federali sono esplosi, per fortuna senza causare danni e vittime.
Abbiamo intervistato il comandante degli uomini rapiti che sta partecipando all’infruttuosa missione di ricerca, eccovi il servizio…
Mi scusi cosa ci può dire?
No comment.
Ci può dire i nomi dei rapiti?
No comment.
Hanno per caso rapito la figlia di Carl Garren?
No comment.
Hanno rapito il suo futuro marito?
No comment
Crede che ciò porterà cambiamenti della politica federale nella regione?
No è mio compito deciderlo, chiedete a chi di dovere.
Gli stessi che hanno rapito i vostri soldati sono gli stessi che hanno ucciso il vice-ministro Barer?
No comment.
C’è qualche cosa che ci può dire o ci stà rispondendo solo per farci perdere del tempo?
Direi che vi sto rispondendo per togliervi dai piedi, così non rompete più le scatole; l’unica cosa che posso dire è che prometto solennemente alle famiglie dei rapiti che farò di tutto per riportare a casa i loro cari, costi quel che costi e ora se non vi dispiace io e i miei uomini avremmo un compito da portare a termine. Se poteste gentilmente andarvene…

“Accidenti se li ha affrontati a muso duro!” esclamò Kikilia a Vairetti.
“Quel Jackson Jern è insopportabile! Non smetteva di girarmi attorno! Una mosca al confronto da meno fastidio” spiegò Vairetti.
“Va, spengo la TV, stanno già passando al calcio”
“No, ferma è l’unica cosa interessante!” esclamò Vairetti, ma ormai la TV era spenta.
“Di un po’, com’è la situazione a Pristina? Vi sembrava che ci fosse tensione, paura…” si informò Kikilia.
“Sembrava tutto perfettamente tranquillo” rispose Carlo, il suo volto era molto più disteso al confronto di quello che aveva alcune ore prima.
“Carlo non fa testo, aveva altro per la mente. Poteva anche esplodere una bomba atomica che non se ne accorgeva” asserì, ridendo, Sven.
“Cos’hai in tasca? Come tuo superiore lo devo sapere!” affermò con enfasi Masinov vedendo un piccolo pacchetto, nella tasca di Sven, che aveva l’aria di contenere qualche cosa di prezioso.
Jessica, Kikilia e Vairetti non fiatarono, non avevano la voglia di mettersi a contrastare le paranoie di Masinov.
“Niente, niente!” rispose Sven mettendo una mano sulla tasca.
“Non ci credo fa vedere!” urlò Masinov.
“Si fidi non è niente!” esclamò Carlo.
“È un ordine! Fammelo vedere!” ordinò Masinov perentoriamente.
“Guardi che non è niente, per davvero! È solo un pensierino che Sven ha preso per i suoi genitori” mentì Carlo.
“Non ci credo!” gridò Masinov prendendo con la forza il pacchetto.
Masinov non poté far a meno di aprirlo sotto gli occhi di uno Sven che se non piangeva per lo meno era molto dispiaciuto: addio sorpresa per Jessica, ma, fatto incredibile, Masinov dopo averlo aperto lo richiuse dandolo a Sven, tra l’altro scusandosi: “Scusa, avevi ragione, però la boccia di vetro con la neve non è un gran che come souvenir. Hai un gusto che fa schifo lasciatelo dire” e detto ciò uscì dalla tenda.
Sven quasi sveni e Carlo rimase di sasso: nessuno dei due immaginava che Masinov reagisse in quel modo.
Ma c’è sempre una ragione in tutto e Masinov fuori dalla tenda si mise a sghignazzare come un matto; Moammed, che era di guardia, li domandò se stesse bene.
“No, sto benissimo, diciamo che mi andrò a fare una bella vacanza alle Hawaii”.
“Mah…” mormorò Moammed che nutriva qualche dubbio sulla sanità mentale di Masinov, mentre guardava quest’ultimo cercare con foga qualche cosa nel suo borsone, allontanando la pecora che si era avvicinata curiosa.
Intanto Kikilia e Vairetti pianificavamo e ragionavano sulle prossime mosse, con un solo colpo i terroristi avevano dimezzato l’organico dell’unità.
“Sappiamo entrambi che i terroristi e i nostri commilitoni sono da qualche parte in Pristina, il problema è dove” spiegò Kikilia.
“No, il problema non è dove sono nascosti, ma di cosa dispongono. Il dove ci possiamo mettere relativamente poco a capirlo, secondo me vogliono il combattimento con noi…” ribatté Vairetti.
“Anche dopo le dichiarazioni d'oggi?”
“Soprattutto dopo le dichiarazioni d'oggi! Kikilia ti rendi conto che hanno chiesto delle cose materialmente impossibili? E loro lo sanno! Loro vogliono l’intervento armato!”
“Secondo me, invece, quello era un messaggio di facciata! Per me loro vogliono dei soldi, questo video messaggio serve solo ad aprire le trattative” ribatté la comandante di MS.
“Da un lato hai ragione, basta vedere come quel tizio ha usato senza remore il nome di Deikun, è logico che vogliano spaventarci per ottenere il massimo, ma non per ottenere i soldi cerca di seguirmi!”, incitò Vairetti, “Loro secondo me vogliono mettere sotto pressione le alte sfere politiche della Federazione per fare in modo che noi possiamo intervenire senza restrizioni. Loro vogliono il combattimento urbano senza restrizioni”
“Quindi l’assassinio di Barer rientrerebbe in quest’ottica?” si informò Kikilia.
“Quell’assassinio è strano, se volevano mettere il mondo politico sotto pressione bastava puntare ai capi di partito, segretari, sottosegret…” Vairetti s'interruppe rendendosi conto di quel che stava dicendo, “Scusa non volevo…” proseguì l’ufficiale sottovoce.
“Non si preoccupi, ha ragione. Se fossi una terrorista farei così” rispose Kikilia leggermente triste.
“Puntando invece a figure importanti, cercando addirittura di uccidere il signor Ronah in persona, non si troveranno più davanti a mere forze convenzionali come siamo noi, ma a forze speciali. Ha sentito che in questa regione sta per essere inviata la 17a Brigata Forze Speciali? Pensi che quella hanno pure molte remore a muoverla per la Cina Settentrionale!” continuò Vairetti.
“Quindi perché uccidere Barer?” chiese Kikilia.
“Più ci penso più mi convinco: non sarà un duello, non sarà un uno contro uno” asserì Vairetti.
“Un terzo in campo?”.
“Esattamente”.
“Contro di noi?”.
“Probabile”.
“Alleato di Helmut?”.
“Può essere, come non essere” rispose Vairetti guardando Jessica e la sua divisa; Vairetti non poté far a meno di notare di come se non fosse per una sottile linea blu sul colletto non si sarebbe mai distinta da quella dei carristi, ma questo lo poteva notare solo un occhio esperto e da vicino.
“Vuoi vedere che…” mormorò Vairetti.
“Vedere cosa?” chiese Carlo che seduto a fianco di Vairetti riuscì a sentirlo.
“Niente, niente. Forse quei terroristi speravano… no, non farci caso Carlo, paranoie di un vecchio” rispose Vairetti morsicando un pezzo di pane della razione da campo.
“Sono pieno, vado fuori a riposarmi. Fra quanto partiamo in ricognizione?” chiese Sven a Kikilia.
“Un’ora, dobbiamo aspettare i rifornimenti che ci porteranno tra mezz’ora”.
“Ok, mi basterà per digerire”.
“Aspetta che arrivo anch’io!” esclamò Jessica cercando di finire il più in fretta possibile la sua razione.
Passò mezz’ora e tilt rotor federali arrivarono puntuali con i rifornimenti, ora i mezzi potevano essere riforniti di munizioni e potevano subire qualche riparazione, in particolare il Jegan di Carlo aveva riportato diversi danni e con i pezzi appena giunti poté, con l’aiuto di Jessica, cominciare le riparazioni o almeno questo doveva essere nelle intenzioni di Carlo, visto che Jessica non sembrava avesse molta voglia di lavorare e sembrava che stesse pensando ad altro; alla fine fu Carlo a fare il più della fatica, ma per sua fortuna aveva anche l’abilitazione di meccanico di terzo livello per i Jegan e riuscì quindi ad effettuare tutte le riparazioni necessarie.
“Sven, mio pupillo è ora di partire per la ricognizione” urlò Masinov tra l’incredulità generale e soprattutto di Sven.
“Subito signore!” rispose Sven leggermente basito.
Sven e Masinov avrebbero dovuto pattugliare alcune zone periferiche di Pristina, Vairetti voleva che la ricognizione fosse effettuata con discrezione perciò invio Masinov, col suo Jegan III EW che poteva controllare e tenere sotto osservazione vaste zone da lunghe distanze; Sven doveva solo scortare il caucasico.
“Con queste diventerò ricco!” esclamò Masinov mentre, prima di salire sul Jegan, riponeva una scheda di memoria al sicuro, “I giornalisti faranno a gara per avere la foto di Sven che chiede a Jessica di sposarlo e dei due che si baciano”.
“Sono sul Jegan signore! Aspetto ordini!” gridò Sven dal Jegan.
“Ok, appena salgo partiamo!”.
In quel momento nella base di Tunisi una violenta discussione si era accesa tra due generali: il generale Cho e il generale Kusabake, inviato dal comando centrale delle forze armate federali di Tampa.
Il generale Cho sudava freddo, il generale Kusabake li aveva appoggiato, senza dire una parola, un dossier; Kusabake, (generale nato sulle colonie, le sue origini erano giapponesi da parte di padre e sudamericane da parte di madre) l’aveva spuntata.
“Lei è pazzo, si ricordi di quel che è accad…” inveì Cho.
“Non se la prenda con me, io sono solo stato inviato qua a controllare e a comunicare le decisioni del comando centrale” rispose Kusabake tranquillamente.
“La conosco, questa è farina del suo sacco!”.
“È stato ucciso il vice-ministro, dobbiamo porre la regione sotto legge marziale. Non possiamo accettare che la Federazione perda altro potere!” spiegò Kusabake guardando Cho freddamente.
“La Federazione o lei? Devo ricordarle che per caso è lei che fino a due mesi fa comandava le operazioni in Cina Settentrionale?” ribatté Cho, aveva colto nel segno, il volto di Kusabake, fino a quel momento calmo divenne paonazzo.
“I miei metodi funzionavano…” esclamò Kusabake.
“Si è visto, quelli che erano pochi guerriglieri ora sono tanti, hanno le loro buone ragioni e controllano intere regioni”
“Ero circondato da traditori”.
“è innegabile che sia lei che abbia ordinato…”
“Lo rifarei se necessario, si trattava di piegarsi o far vedere chi comandava”.
“In ogni caso mi rifiuto di eseguire quegli ordini!” dichiarò Cho con tono deciso, raramente lo si era visto così.
“Mi stia bene a sentire, posso farla destituire in meno di tre secondi se voglio e lei lo sa bene!”.
“Non mi piego alle sue minacce, non mi macchierò di questo, mi dispiace. Se eseguissi quegli ordini le conseguenze non sono immaginabili, la regione è già abbastanza problematica di per se”.
“Lei parla tanto, eppure sa cosa c’è in quel dossier, ma forse è meglio che le rinfreschi la memoria…” e Kusabake prese il dossier aprendolo, “9 gennaio in un hotel di Tunisi con una prostituta d’alto borgo, chissà chi gliel’avrà fornita eh? Uh, ma guarda un po’! Il giorno dopo lei indisse un appalto che fu vinto dalla famiglia Kobaishi e questo appalto sembrava scritto apposta per loro! 28 gennaio le viene intestato un grosso conto su una banca coloniale… e io che credevo che le banche coloniali non rilasciassero dati sui loro conti; no, no… non ci sono più le banche di una volta… vuole che continui?” chiese ironico Kusabake, nel dossier c’erano molti documenti e foto tutte riferite solo agli ultimi mesi.
“Lei per chi lavora? Per i Ronah? Solo loro…” chiese a testa bassa il generale Cho.
“I Ronah? Io non li conosco neanche, io lavoro per la Federazione, essa sta perdendo potere sa perché? Non sa più imporsi ecco tutto! Ci vogliono le maniere forti! Capisce Cho? Lei mi accusa di avere fatto dei disastri in Cina? No, io ho solo fatto vedere di cosa siamo capaci! I grandi casati stanno lontani da dove mi trovo io! Io sono un pericolo per loro, io sono il futuro della Federazione. E loro lo sanno” rispose Kusabake con una strana luce negli occhi.
“Le sue azioni metteranno fine alla Federazione, se lo ricordi” esclamò Cho disperato.
“No, sono gli uomini come voi che stanno mettendo fine alla Federazione” rispose seccamente Kusabake.
“Non posso, la prego non posso…” supplicò Cho.
“Non è vero ha tre scelte: fare quello che dico io, farsi arrestare o suicidarsi”.
Ci fu un lungo silenzio tra i due.
“Promette di mantenere segreto quel dossier?” chiese Cho, il suo volto non era mai stato così pallido.
“Sa quel che deve fare, ha cinque giorni, poi deve far entrare in vigore la legge marziale nei Balcani, dovrà essere applicata alla lettera; sempre che prima non riuscite a scovare quei terroristi a Pristina, cosa che sia ben chiara spero con tutto il mio cuore” rispose Kusabake , “In ogni caso non se la prenda, la carne è debole, poche persone riescono a controllarsi, certo bisognerebbe anche sforzarsi alle volte. Sa una cosa? Io non sono praticante, però alle volte ripenso ai dettami massimi della Bibbia, a volte tornano utili”
“Lei è cristiano? Non lo sapevo, in ogni modo ciò non le ha impedito di compiere quel macello” ribatté Cho, nel disperato tentativo di salvare capra e cavoli.
“Quel macello non l’ho voluto io, se la prenda con quei contadini che non hanno manifestato dove li avevo detto manifestare. Li avevo dato la possibilità di andarsene pacificamente, non hanno voluto. Quando uno infrange una legge deve essere punito” concluse il generale Kusabake uscendo dalla stanza.
Il generale Cho esplose in lungo pianto, i Balcani sarebbero di nuovi esplosi e tutto perché quel maledetto 9 gennaio decise che per qualche soldo e piacere in più valeva la pena vendere il suo onore e la sua fedeltà alla Federazione; il generale Kusabake aveva i suoi metodi, i suoi pericolosi metodi, era un pericolo, se ce ne fosse stato bisogno avrebbe potuto fare un colpo di stato, ma Cho lo capì da quella discussione Kusabake l’avrebbe fatto per la Federazione ,nonostante ciò potesse un controsenso, non per vigliacchi interessi personali.
Cho guardò la sua pistola.
No, non aveva il coraggio di ammazzarsi, non ci riusciva “Sono un debole” pensò, forse schiacciando quel grilletto avrebbe salvato centinaia di vite umane, ma l’istinto di conservazione ebbe la meglio.
Il metodi del generale Kusabake erano molto, troppo forti, ma avevano un obiettivo condivisibile in fondo: salvare la Federazione, ed in questo si erano rilevati efficaci; in Cina Settentrionale finché era presente Kusabake nessun casato non osò mai interferire, anzi molti si disfecero dei loro interessi nella regione, “Forse verrò ricordato come un assassino, ma almeno saprò che la Federazione rimarrà in piedi, più forte di prima” pensava Kusabake, non che si credesse un incompreso, semplicemente sapeva che non li avrebbero mai dedicato vie, istituti, etc…, ma a lui bastava sapere che la Federazione fosse continuata ad esistere anche dopo la sua morte, li bastava questo.
Cho sulla sua scrivania aveva due fogli: uno con gli ordini di Kusabake, l’altro con la richiesta di poter operare in zone urbane del comandante Vairetti.
Inizialmente avrebbe voluto rispedire il foglio a Vairetti con una parola perentoria: NO, ma ora forse era la sua ultima carta, se Vairetti fosse riuscito a ritrovare i suoi uomini nell’arco di cinque giorni, forse si poteva ancora salvare la situazione
Cho cominciò a scrivere un documento da inviare con urgenza a Vairetti:
26 agosto 240 N.C., ore 2.30 P.M. (fuso orario di Roma).
Ordini da:
Generale Put Cho, comandante dello scacchiere del Mediterraneo Centrale
A:
Colonnello di 2a classe Alessandro Vairetti, comandante dell’8° Battaglione corazzato, del 3° Gruppo esplorante e della 64a Compagnia MS  indipendente.
Contesto: JTCO-23 Athena
Presa visione della sua richiesta concedo l’uso della forza a lei e alla sua unità in tutti i possibili ambienti operativi per i prossimi cinque giorni.

Intanto Masinov e Sven stavano compiendo la loro ricognizione presso Pristina.
“Individuato niente?” chiese Sven via collegamento via filo a Masinov.
“Niente di niente, sembra che si siano volatilizzati, non trovo nessun suono, traccia di calore, indizio che ci possa condurre a Gharisnikov ed ai suoi uomini”.
“Se fossero sotto terra il suo Jegan riuscirebbe ad individuarli?” ,
“Affermativo” rispose Masinov, “Il mio mezzo potrebbe individuare una capocchia di spillo a tre chilometri e analizzartela dicendo di che materiale e fatta e com’è stata lavorata”.
“Mica male… piuttosto, se posso permettermi, come mai oggi è così di buon umore?” domandò Sven, quella domanda era da un po’ che la voleva fare, ma non ne trovava il coraggio.
“Diciamo che ti invierò una cartolina da Honolulu, appena finita questa operazione” asserì Masinov elusivamente.
“Fortunato lei che va in vacanza, io al massimo sono stato in Puglia ospite di Carlo”.
Intanto da qualche parte…
“Dove sono i miei soldati?” chiese Gharisnikov ad uno dei terroristi, era ancora in quella stanza.
“Non sono qui, ma stanno bene, stia tranquillo” rispose una delle guardie.
“Perché avete distrutto quell’aereo?”.
“Io sono solo un semplice, come ci chiamate voi, terrorista. Deikun lo sa, se l’ha ordinato ha i suoi motivi”.
“Cosa volete da noi?”.
“Da lei non vogliamo niente, come non vogliamo soldi o cose simili dalla Federazione, non l’ha ancora capito?” esclamò sorpreso il terrorista.
“E allora perché ci tenete in ostaggio?”.
“A questo so rispondervi, ci servite”.
“A cosa?”.
“Lo vedrà!”.
“Il vostro comandante mi ha chiesto di Jessica Garren, la volete rapire?”.
“Diciamo che è una buona merce di scambio, speravamo che fosse nella sua unità, per questo abbiamo assaltato i vostri due mezzi, sospettavamo che ci fosse a bordo quella ragazza. Che volete farci, quando abbiamo visto quel Jegan EW abbiamo deciso di stare alla larga dal vostro campo base, capisce quindi che abbiamo fatto più che altro un calcolo di probabilità.” spiegò il terrorista che subito aggiunse: “Di solito gli EW portano male.”.
“Perché state facendo tutto questo? Non può essere solo in nome di Deikun” esclamò Gharisnikov.
“In effetti fosse solo per noi i laboratori delle nanomacchine li avremmo già assaltati, ma abbiamo bisogno di soldi e c’è chi ci finanzia, ma in cambio vogliono qualche cosa, ora che ci penso sarà per questo che abbiamo distrutto quell’aereo… Cosa vuole, un piccolo sacrificio per far tornare in vita Deikun” rispose il terrorista.
“Prima hai detto che quella ragazza vi serve come merce di scambio, per che cosa?”.
“Come le ho già detto lo sa solo Helmut Von Deikun, però se posso dire la mia probabilmente è per ottenere un doppio scopo: bloccare qualsivoglia operazione della Federazione nella regione e allontanare gli industriali dalle zone di Kicevo, quelle serviranno a noi quando otterremo l’indipendenza, se no con che cosa facciamo andare avanti le nostre centrali energetiche?”.
“… e soprattutto potrete venderne i diritti di sfruttamento a caro prezzo o darli come compensazione a coloro che vi aiuteranno” aggiunse Gharisnikov.
“Può essere”.
“Ma voi siete un movimento d'indipendenza della regione che segue i dettami di Deikun? Comincio a non capirci più niente”
“Diciamo che questa regione ha alcune caratteristiche che ci tornano utili, inoltre ci sono i laboratori di ricerca bio-tecnologica, non se li dimentichi” ammonì il terrorista.
“Perché stai parlando con me dei vostri piani? Non ci considerate della mera plebaglia federale?” chiese Vairetti sottovoce, non immaginava che il terrorista potesse essere così loquace nei suoi confronti.
“Perché anche tu finirai per rimanere illuminato dal messaggio di Deikun, tanto vale spiegarti i nostri piani”.
“Tu sei ottimista ragazzo! Io credo solo nella buona vodka delle mie parti e nei carri armati federali, ricordatelo!” esclamò Gharisnikov.
“Amen, in ogni caso anche se Helmut von Deikun stesso le venisse a spiegare i nostri piani lei non potrebbe andare a raccontarli in giro, è nostro ostaggio” sospirò il terrorista leggermente divertito.
“Credo che tu abbia ragione, però mi permetti un appunto? Uccidere il ministro Barer non è stata un gran mossa, non credi che la Federazione ora invierà le forze speciali in questa region…” ma venne interrotto dal terrorista.
“Guardi che non l’abbiamo assassinato noi il ministro Barer, doveva vedere il volto del nostro comandante quando si è saputo di quella notizia. Continuava ad urlare che avrebbe pagato profumatamente colui che li avesse portato la testa di quel cecchino” informò il terrorista, Gharisnikov rimase di sasso.
“Ora siamo nella merda fino al collo” bisbigliò Gharisnikov in ucraino, in realtà la situazione era ancora peggiore di quanto immaginasse, entro poche ore sarebbe arrivata ai capelli.
“Vedrà che ci verranno a salvare, continui a sperare” mormorò Mario che aveva intuito cosa aveva detto Gharisnikov.
“Io ormai sto smettendo di sperare, sto cominciando a disperare, è una cosa diversa. Ma tu se ne hai la forza spera, è meglio che un pugno in faccia”.
“Come quello che mi ha rifilato l’altro giorno alla quarta bottiglia di vodka?” chiese Mario ironico.
“Non parlarmi di vodka, per un bicchiere di essa, in questo momento, farei le cose più strambe ed umilianti” concluse Gharisnikov funereo in volto.
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« Risposta #21 il: 31 Agosto 2007, 20:09:13 »

Capitolo 17: Faccia a faccia

“Sta bene Vairetti?” chiese apprensivo Carlo vedendo il volto del comandante.
“Guarda tu stesso!” e Vairetti passò uno schermo dove compariva il documento inviato dal generale Cho.
“Bene, bene e così adesso ci danno anche un tempo limite dopo il quale avvengono i veri casini…” commentò Carlo.
“Sei veloce a comprendere, dovevi diventare un operatore speciale come ti proposi all’accademia, avevo anche dei buoni contatti nella 17a…” “Comunque il punto è che ora dobbiamo trovare e liberare i nostri commilitoni in meno di cinque giorni, il documento risale ad un ora fa” fece notare Vairetti, la sua voce era leggermente tesa.
“Umh… cinque giorni, non sappiamo dove sono Gharisnikov e compagni se non che sono probabilmente in città, dobbiamo aspettare ora che Masinov e Sven trovino qualche cosa. Che ne dite ne faranno un film?” domandò Kikilia.
“No, poche esplosioni” ribatté Miguel, “Io non lo guarderei mai”.
“Purtroppo credo che ce ne saranno anche troppe” commentò Vairetti facendo una smorfia.
Passò circa un’ora e mezza, Sven e Masinov tornarono alla base: non avevano trovato nulla, uscirono allora in ricognizione Jessica con l’HM-8 con Miguel e Carlo come scorta.
Il morale dell’unità era a terra, anche la polizia stava setacciando il setacciabile, ma niente.
Non si trovavano i terroristi e tantomeno i loro ostaggi.
“Eppur loro vogliono lo scontro” continuava a pensare Vairetti.
Verso le 5.00 P.M. Vairetti ricevette una chiamata dal comando centrale…
“Lei…”: Vairetti non era contento, aprendo il canale video vide il volto di Kusabake.
Kusabake comandava il battaglione di cui faceva parte Vairetti durante le operazioni a Tabriz nel 208 N.C., Vairetti rispettava Kusabake, ma non approvava i suoi metodi e se Kusabake lo chiamava di certo non era per salutarlo.
“Felice di rivederla Vairetti, lo so di non starle simpatico, ma mi dovrà sopportare” esclamò il generale.
“Diciamo che non mi piacciono i suoi metodi…” replicò Vairetti.
“Non pretendo di certo che lei avvalli i miei metodi. Comunque sarò breve de facto ho il comando di questo settore”
A quelle parole Vairetti rimase impassibile, sapeva cosa voleva dire Kusabake.
“Conoscendola immagino che tra cinque giorni, se la situazione non cambia, entrerà in vigore la legge marziale” esplicò Vairetti freddamente.
“Complimenti, mi ha evitato lunghi giri di parole. Purtroppo deve sapere che al ministero delle risorse produttive stanno ormai per cedere, ad ogni votazione il gruppo contro la cessione dei giacimenti, capeggiato da Francois Arno, perde elementi, non credo che riuscirà a resistere ancora. Il ministero ha indetto una ultima e decisiva votazione tra sei giorni, se riusciamo a portare a casa i soldati prima di allora c’è la possibilità che la situazione si inverta a sfavore dei Ronah, nel caso contrario il giorno prima della votazione sarò costretto a promulgare la legge marziale nella regione.
 Come lei ben sa grazie alla legge marziale qualsiasi documento e contratto su giacimenti, risorse, costruzioni di una certe entità e cose come queste devono passare, per un controllo, sotto le mie mani. Diciamo che potrei allungare la questione dei giacimenti di Kicevo per altri sei mesi, durata massima per l’applicazione della legge 20 oltre il quale ci vuole l’approvazione del presidente”, “Le aggiungo solo una cosa”.
“Cosa?” lo interruppe Vairetti tristemente, sapeva cosa li voleva dire Kusabake.
“Niente, lasci stare. Le auguro buona fortuna, credo che lei abbia già capito tutto”.
“Ovviamente! Ce la dovremo fare da soli” sospirò Vairetti.
“Capirà che un successo di una piccola unità fa molto più effetto di un successo di una grande unità. Abbiamo una immagine da difendere, se lo ricordi e si ricordi anche che ha cinque giorni per riuscirci. Per quel che mi riguarda ha carta bianca. Buona giornata” e Kusabake chiuse la chiamata.
“Ecco a cosa ha portato la legge n°20 antiterrorismo, troppo potere agli uomini sbagliati” bisbigliò Vairetti, avrebbe voluto urlare, ma si tratteneva.
La giornata passò veloce, i MS continuarono ad esplorare la periferia di Pristina e le colline li attorno, ma non fu trovato niente, Vairetti ordinò ai membri della compagnia di MS di riposarsi, dalle ore di cena in poi delle ricognizioni se ne sarebbe occupata la sezione esplorante al comando di Klaus von Kettel, l’ultimo alto ufficiale dell’unità.
“Carlo! Ancora ad osservare quelle ossa?” chiese Sven osservando Carlo che era ancora seduto a bordo della fossa comune, “Dovresti dormire, potremmo essere chiamati in azione”, erano circa le 10.00 P.M, era da circa due ore che la compagnia di mobile suit aveva cenato.
“Non ho sonno. Piuttosto, le è piaciuto l’anello?” domandò Carlo.
“Molto, molto. Ti devo ringraziare” rispose Sven arrossendo leggermente.
“Di niente, di niente”.
“Cambiando discorso… non ti ho ancora chiesto come sta Caroline” esclamò Sven.
“Sta bene, sta bene. Stai tranquillo” rassicurò Carlo, “Sei molto affezionato a tua sorella eh?”.
“La mia sorellina… sai quanti scherzi ho combinato col suo aiuto?”.
“Quanti?” domandò Carlo meccanicamente.
“Più di quanti tu riesca ad immaginare…” ridacchiò Sven, “Piuttosto mi sembri pensieroso, cosa c’è che non va ora?”.
“Niente, niente. Stavo solo ripensando a molte cose…”.
“Tipo?”.
“Per esempio a quando sono entrato in accademia, a quando ti ho conosciuto, a Vairetti quando insegnava, a quando siamo entrati nell’unità di Kikilia…” cominciò ad elencare Carlo interrotto da Sven.
“Mitico il nostro primo incontro, più traumatico di così!” esclamò Sven trattenendo le risate.
“Come potrei dimenticarmene, ci avevano dato la stessa stanza. Solo che tu volevi riempirla di poster e calendari di donne nude e io di MS, aerei e mezzi militari. Arrivammo addirittura alle mani.”.
“Poi com’è che ci accordammo?” chiese Sven.
“Dividemmo la stanza in due sfere d'influenza e al poster d’attaccare sulla porta alla fine ci accordammo per una foto ritraente i membri della 101th e della White Base, io di quella foto consideravo il carattere patriottico, tu più che altro ammiravi Artesia e gli altri membri femminili dell’equipaggio; se ben ricordo…”.
“Non sbagli per nulla, ti ricordi di come ci chiamavano?” domandò Sven.
“Umh… no, non ricordo. Com’è che ci chiamavano?” si interrogò Carlo sforzandosi di ricordare.
“I due dell’apocalisse”
“Come mai?”
“Dove passavi tu zittivi tutti con la tua immane ed enciclopedica conoscenza, non accettavi l’ignoranza ed eri sempre pronto a prendere parte ad una discussione.
Ti ricordi che una volta avesti pure una accesa discussione con Vairetti su quale fosse il miglior metodo d'orientamento senza strumenti?” chiese Sven.
“Certo, usò quella discussione come base per il suo libro sull’orientamento sulla Terra e nello Spazio, uno dei più approfonditi libri sull’argomento” rispose Carlo.
“Mentre dove passavo io, beh le ragazze… ti ricorderai no?” fece intendere Sven.
“Certamente, qual è stato il tuo record? Cinque ragazze diverse in una settimana?” s’informò Carlo scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
“Sei, dovetti prendermi un giorno di riposo, e tutte… ma lasciamo perdere, a pensarci bene non mi sembra un gran vanto”.
“Eri stato così anche prima dell’accademia? Ora che mi ci fai pensare non te l’ho mai chiesto…”.
“A pensarci bene… si, ma il meglio di me l’ho dato dopo quella storia al primo anno…” spiegò Sven.
“Ti brucia ancora?”.
“Non direi, quasi non mi ricordavo più di quella storia se non fossimo entrati in argomento”.
“Ti ha fregato eh?”.
“Mi ha fregato, direi proprio di si. E ora non posso fare a meno di lei” aggiunse Sven: i due si stavano riferendo a Jessica, “Piuttosto come mai sei entrato nelle forze armate federali? Ti ho posto questa domanda un milione di volte, ma non mi hai mai risposto”.
Carlo, indicò i quattro scheletri con le divise “Non voglio essere da meno”.
“Secondo me tu covi istinti suicidi” esclamò Sven preoccupato.
“Non ho detto che voglio fare la loro fine, ho detto che non voglio essere da meno, è una cosa diversa” concluse Carlo.
Passò qualche secondo e poi Carlo riprese la parola, “Sono serio, troppo serio”.
“Non è detto che sia una cosa negativa. Se tu non fossi stato serio a mia sorella non ti avrei mai lasciato neanche avvicinare”.
“Continuo a pensare che tu non ti sia comportato bene, se non nei miei confronti, per lo meno di tua sorella” replicò Carlo alle parole di Sven.
“Tu mi obbligasti una volta a leggere un piccolo libriccino di un autore italiano, probabilmente è l’unica cosa di un certo tenore culturale che abbia letto in vita mia. Ti ricorderai qual era una delle frasi più famose di quel libro?” domandò Sven.
“Non la ricordo con precisione, ma il succo era che il fine giustifica i mezzi” rispose Carlo.
“Appunto, ho solo messo in pratica gli insegnamenti di quel libro che tu mi obbligasti a leggere. Mettiamo la questione così: prenditela con te stesso” concluse Sven sorridendo divertito.
“Maledetto sia il Machiavelli” sibilò Carlo e poi proseguendo ad alta voce “Cambiando discorso non ti pare un po’ strano?”
“Strano cosa?” domandò Sven curioso.
In quel momento però si sentì un tilt-rotor atterrare, poco distante: portava le insegne delle Ronah Industries.
“Direi che il mio dubbio è stato fugato! Mi sembrava strano che quelle merde non tentassero un contrattacco! Fossi in te andrei da Jessica, credo che la tua presenza potrebbe essere utile” esclamò Carlo alzandosi in piedi.
“Quei bastardi, sono qui per Jessica vero?” domandò Sven.
“Secondo me non sono venuti in cerca di funghi; almeno, questa è la mia impressione” rispose Carlo.
“Sarà meglio che faccio come mi hai detto tu” mormorò Sven, “Tu dove vai?” chiese a Carlo vedendolo allontanarsi.
“Vado a prendere la videocamera, ci sarà da divertirsi. Comunque almeno io ti ho avvertito che ti filmo…” esclamò Carlo ridacchiando.
“Avvertito? Perché c’è chi…?” domandò Sven.
“Chiedilo a Gharisnikov e alle foto che compariranno domani sui giornali; anzi credo che sia proprio per quelle che i Ronah abbiano capito che la faccenda era seria!” rispose Carlo, “In fondo sulle TV e sui giornali compariranno presto due belle foto in cui tu dai un anello di fidanzamento a Jessica e l’altra dove vi baciate. Credo che queste abbiano fatto capire ai Ronah che se non si muovono in fretta le industrie Garren sono perdute. Ah! Un’ultima cosa! Conoscendo come agiscono i Ronah, preparati a dei colpi molto bassi” avvisò l’amico.
“Devi darmi una mano! Nelle situazioni che richiedono diplomazia e dove non ci sono ragazze da corteggiare sei sempre stato migliore tu! Ho bisogno del tuo aiuto!” urlò Sven a Carlo.
“Stai per entrare nella famiglia Garren, devi imparare a cavartela da solo. Comunque nulla vieta di darti qualche consiglio su come affrontare la situazione: mostrati superiore a qualsiasi dei loro attacchi, liquida quelli che ti faranno sul piano personale come spazzatura o errori appartenenti al passato, sii fermo e deciso, niente minacce o parole grosse, non fare mai gesti che possono essere interpretati come aggressioni fisiche immotivate, non abbassare mai la testa e ricordati che solo Jessica decide di se stessa” raccomandò Carlo.
“Ma non avevi detto che non mi avresti aiutato?”
“Si, ma sono pur sempre un tuo amico, quindi mi sento in obbligo di consigliarti per il meglio” gridò Carlo afferrando la sua sacca che si trovava dentro al cockpit del suo MS.
“E io che avrei voluto fare un sonnellino in pace!” mormorò Sven guardando il tilt-rotor dei Ronah spegnere i motori: coloro che c’erano all’interno stavano per scendere, tempo di secondi e Sven avrebbe capito fino a che punto si volevano spingere.
Dal tilt-rotor scese per primo un membro dell’equipaggio che fece vedere dei documenti d'identità e alcune carte alla sentinella (uno dei pochi fanti rimasti del gruppo esplorante) che li era andata ad accogliere, la sentinella annui, i documenti erano in ordine, erano autorizzati ad entrare in zona militare.
Sven si era avvicinato, ma cercava di non farsi troppo notare e per fare ciò si mise l’elmetto basso sugli occhi; dall’aereo scesero il capofamiglia dei Ronah (“Addirittura?” si chiese Sven), un ragazzo che aveva già visto, ma non sapeva dove, né chi fosse, una donna, piuttosto avanti con l’età, ma che portava bene i suoi anni e che aveva gli stessi capelli e la stessa corporatura di Jessica (“La madre di Jessica” pensò il pilota di MS) e dulcis in fondo quello che Sven non esitò a definire “Il primo colpo basso”: la ragazza di cui si era innamorato al primo anno di accademia, ma come Sven orgogliosamente sostenne “Ci vuole ben altro per mettermi in difficoltà!”.
Il gruppo si avvicinò a Sven, l’avevano riconosciuto? No, con l’elmetto calato sugli occhi e la mostrina col nome coperta se non lo si conosceva bene, con il sole ormai calato ed il campo illuminato da poche e flebili luci non lo si poteva riconoscere, semplicemente avevano notato la sua tuta da pilota di MS e volevano informazioni.
“Vorrei che lei ci accompagnasse da Jessica Garren e Sven Orkaf, fanno parte della sua unità, giusto?” domandò, scorbutica come sempre, Marie, la madre di Jessica.
“Io non sono un suo sottoposto, aggiunga una parola e vedrò di accompagnarla” rispose Sven, nascosto tra i cespugli, invisibile e silenzioso Carlo riprendeva la scena, sarà stato ad un metro da tutte quelle persone e nessuno l’aveva notato. Come Vairetti aveva affermato aveva i numeri per entrare nelle forze speciali.
“Come si permette?” inveì la madre di Jessica, che con gli occhi cercava qualcun altro a cui chiedere, ma tutti i militari della base, capendo quel che stava per succedere, si erano eclissati cercando i punti migliori per seguire la scena.
“La scusi, la signora è piuttosto nervosa. Potrebbe gentilmente accompagnarci?” chiese con molta più diplomazia Whilem Ronah.
“Certamente, mi segua”: mai Sven fu più cattivo, infatti li portò davanti alla fossa comune e poi per farli stare ancora li un po’ di tempo fece finta di dover inviare una comunicazione radio.
La signora Marie, la signorina Christina (l’ex fiamma di Sven) e il signorino Ronah (Jacob Ronah, per l’appunto) erano profondamente a disagio e Marie si mise a lanciare epiteti in direzione del pilota; l’unico tranquillo della comitiva era Whilem Ronah che accennò un sorriso e mormorò un complimento al pilota “Sei più furbo di quel che pensassi, sai come partire in vantaggio durante una discussione”, quelle parole giunsero alle orecchie di Sven che fece finta di non sentire, il signor Ronah aveva compreso che era lui l’Orkaf che cercavano.
“Scusate dell’attesa, prego se volete seguirmi” e Sven accompagnò il gruppo verso la tenda di Kikilia e Jessica, “Purtroppo dovrò svegliarle, non so quanto il nostro comandante sarà contento di essere svegliato” Sven disse ciò come se fosse un commento personale, ma si fece sentire volutamente da tutti: un altro punto a suo favore, aumentando leggermente il disagio del gruppo.
Per colpa di quel gruppo Kikilia non avrebbe potuto dormire e Kikilia insieme a Vairetti era colei che comandava li, in altre parole, a suo piacimento, avrebbe potuto dare un calcio nel sedere (metaforico si intende) ai Ronah e compagnia senza che li si potesse dire niente. Era una sua prerogativa.
“Caporale Jessica Garren? Dei civili la vogliono!” urlò Sven.
Ma bisogna precisare che Kikilia e Jessica erano già sveglie, svegliate dal rumore del velivolo in atterraggio, avevano già visto chi era sceso dall’aereo e perciò Kikilia usò quei pochi minuti tra l’atterraggio e l’arrivo della comitiva, accompagnata da Sven, per istruire Jessica sul da farsi.
“Si può sapere che hai da urlare?” esclamò Kikilia, fingendo di essersi appena svegliata.
“Un certo signor, signor?” chiese Sven al capofamiglia, un bell’affronto per il signor Ronah, che però l’incassò come se nulla fosse, al contrario di suo figlio che inveì esclamando frasi sulla stupidità dei soldati federali.
“E uno sta già cominciando a perdere i nervi” pensò Sven.
“Mi scusi signora, non era mia intenzione svegliarla, io sono Whilem Ronah, con me c’è mio figlio, la mia segretaria e la madre di Jessica Garren, vorremmo parlare con quest’ultima e con il signor Sven Orkaf . Se possibile” precisò Whilem Ronah molto tranquillamente.
“Jessica, vai fuori, c’è tua madre che ti vuole parlare. Signor Ronah! Se vuole parlare con Sven Orkaf vada dall’altra parte del campo, dalla tenda maschile” sbraitò Kikilia mentre Jessica usciva dalla tenda.
A Sven quasi cadde l’elmetto, Kikilia aveva probabilmente dato qualche consiglio a Jessica per il suo aspetto fisico dopo cena (ovvero l’ultima volta che Sven aveva visto Jessica; quest’ultima aveva parlottato con Kikilia per tutta la cena, probabilmente stavano parlando proprio di quei ‘ritocchi’) ora Jessica sembrava molto più matura e provocante di come il ragazzo l’avesse mai vista e con dei capelli molti belli e lucenti (Kikilia in questo dimostrava la sua passata voglia di diventare una parrucchiera); se Sven non sbavava era solo per non essere scoperto, anche Jacob era stato colpito dalla bellezza della ragazza a cui tentò di avvicinarsi appoggiandoli una mano sulla spalla.
Jessica per tutta risposta li mollò uno schiaffo in faccia.
“Non provarci mai più, stammi lontano” ordinò Jessica.
“Jessica!” urlò Marie: sua figlia che dava uno schiaffo a quel ragazzo rivolgendosi con quel tono rozzo? Inaccettabile!
“Signora Marie, si calmi, in effetti, mio figlio non si è comportato secondo etichetta. Jacob vergogna, credevo di averti insegnato le buone maniere!” esclamò Whilem Ronah, leggermente adirato; come darli torto?! Uno dei suo due figli era un completo cretino, quel figlio era proprio Jacob. Al contrario il primogenito, Gustav, era sveglio e intelligente, se non fosse stato per il troppo ampio divario di età e per il fatto che fosse già sposato, probabilmente, avrebbe fatto in modo che Jessica fosse promessa al primogenito.
In fondo anche il signor Whilem pensava che se fosse stato in Jessica avrebbe fatto lo stesso, come ci si poteva sposarsi con un tale idiota? Almeno il primogenito il matrimonio se l’era combinato da solo e che matrimonio! Gustav si era sposato con la figlia di uno dei più importanti editori americani, in pratica ora i mezzi di comunicazione legati a quell’editore spendevano metà del tempo a parlare bene dei Ronah e l’altra metà a parlare male dei loro avversari!
“Che ho fatto per meritarmi sto qua?”, pensò Whilem mentre guardava Jacob, “Fosse solo un decimo di Gustav! Ah, si! Quello renderà grandi i Ronah!”.
“Scusa padre! Scusa Jessica!” si scusò Jacob, Jessica per tutta risposta fece una smorfia.
“Ora buon uomo vuole accompagnarci dal signor Sven Orkaf, sono ansioso di conoscerlo”
“Sicuramente, mi segua” esclamò Sven che fece ripassare il gruppo vicino alla fossa comune; Carlo continuava a seguirli silenzioso e invisibile riprendendo tutto.
“Ok, questa è la nostra tenda, se volete aspettare un attimo che entro e lo chiamo” disse Sven entrando nella tenda; entrando nella tenda Masinov, Miguel e Moammed lo accolsero con il pollice alzato in segno di approvazione per il suo operato e Masinov mormorò: “Continua così che li fai cagare dalla paura, quella donna se passa ancora una volta davanti a quella fossa ci rimane secca, almeno ti togli la suocera dai piedi”.
Sven accennò una risata, mettendosi a posto l’elmetto e la mostrina col nome, prima di uscire dalla tenda si lavò la faccia e velocemente i denti, non avrebbero potuto accusarlo di essere sporco, almeno.
“Insomma, quanto ci mette quel delinquente? Non è bene far aspettare così una signora!” esclamò Marie arrabbiata.
“Scusate di avervi fatto attendere, ma con il mio superiore stavo analizzando le possibile zone dove i terroristi potrebbero nascondersi, come ben saprete, alcuni dei nostri commilitoni sono stati rapiti e al momento abbiamo tutti i cingolati fuori in ricognizione, probabilmente fra qualche ora dovremo uscire anche noi con i nostri MS.” mentì Sven uscendo dalla tenda.
“Capisco, vi augurò di trovare i vostri commilitoni il più presto possibile” rispose Whilem.
“La ringraziò, stiamo facendo il possibile. Ma come mai mi avete fatto chiamare?” chiese Sven scambiando con Jessica uno sguardo divertito, nessuno si era accorto che il pilota di prima e il ragazzo che adesso li si parava davanti era la stessa persona, tutti a parte Whilem Ronah e Jessica Garren.
“Tu, delinquente che non sei altro! Metti giù le mani da mia figlia!” urlò Marie.
“Prego? Mi sembra di essere a due metri da sua figlia! Anche se non nego che la abbraccerei più che volentieri…” rispose Sven piuttosto divertito.
“Mia figlia farà quel che le dico io! L’ho già promessa a Jacob Ronah!” strepitò Marie.
“La prego, c’è gente che dorme in questo campo! Alcuni soldati sono stati fuori tutto il giorno in ricognizione!” ammonì Sven.
“Signora! Se non la smette giuro che la faccio arrestare! Sempre che non voglia passare una notte di fuoco con me…” propose Masinov uscendo, platealmente, dalla tenda.
“Come si permette! Cafone!” rispose la madre di Jessica.
“Si, mi piace sempre di più sa? Mi dispiace doverla lasciare sola, ma ora devo tornare al mio lavoro; comunque la mia proposta è sempre valida…” assicurò Masinov esplodendo in una risata.
Ma quella comparsa di Masinov bastò a far diventare di ghiaccio il volto di Whilem Ronah, i due si guardarono per una frazione di secondo in cagnesco; Masinov era un po’ la spina nel piede dei Ronah, inoltre tra i due correvano vecchi rancori di tipo personale mai sedati, molti dicono che una volta si conoscevano, alcuni anche che fossero amici, ma fatto sta che i due non si potessero vedere.
“Allora per che cosa mi avete fatto chiamare?” domandò Sven divertito dall’espressione incredula di Christine; quest’ultima pensava di essere finita in una gabbia di matti.
“Il tuo matrimonio con Jessica Garren non si può fare, Jessica è già stata promessa a mio figlio. Son sicuro che capirai…” disse Whilem Ronah con tono mellifluo, “Inoltre devi capire che è anche un problema di dote, non puoi certo sposarti con una Garren senza dare una cospicua dote”.
“Dote, eh? In effetti a pensarci bene non ho dote, guadagno poco, abito dai miei, ho solo una vecchia auto… ehi Jessica! Ti va bene come dote una vecchia General Motors Kilimangiaro?” chiese Sven.
“Per me puoi anche presentarti senza dote, lo sai che non è un problema. Comunque la Kilimangiaro l’ho sempre trovata un’auto simpatica” rispose la ragazza divertita.
“Dai su non scherziamo, siamo seri. Non te la puoi permettere. Dimenticatela e ci evitiamo un sacco di problemi” suggerì Whilem Ronah,
“Mi dispiace, sono irremovibile. Comunque l’ultima parola spetta a Jessica” li rispose il ragazzo.
“Jessica, figlia mia! Ti ordino di mollare quel barbaro!” strillò Marie.
“Anch’io sono irremovibile. E poi guarda!” esclamò Jessica mostrando l’anello di fidanzamento regalatogli da Sven.
“Quella è paccottiglia, io ti potrei ricoprire di gioielli degni di una regina!” aggiunse Jacob.
“Perché ho un figlio così? Se vuole un gioiello costoso la Garren se lo compra anche da sola…” pensò Whilem.
“A me piace, in ogni caso gioielli costosi posso anche permettermeli da sola, se volessi.” puntualizzò Jessica; “Come immaginavo” mormorò Whilem Ronah.
“Direi che non c’è da discutere, noi due ci sposeremo” intervenne Sven avvicinandosi a Jessica.
“Senta, a questo punto voglio arrivare subito al dunque, lei è stato bravo, ci ha preso in giro e ci fatto passare davanti quella fossa per ben due volte per farci saltare i nervi, con me non ha funzionato, poi ha fatto in modo che io incontrassi Masinov, le devo fare i miei complimenti: sa come trattare col nemico. Lei sa cosa vogliamo. Le propongo un patto, vede questo assegno? Ci metta la cifra che vuole, ma si dimentichi di Jessica Garren, non te la puoi permettere” e nel dire ciò Whilem porse un assegno in bianco a Sven.
“Mi continua a sottovalutare, credevo di averle dimostrato di non essere un sempliciotto, ma forse non le è bastato. Per me quell’assegno può tenerselo” rispose Sven rifiutando l’assegno sdegnosamente.
“Tutti hanno un prezzo, il suo qual è me lo dica, suvvia. Se non sono soldi cosa sono?” incitò Whilem.
“Umh, si ho un prezzo, lo vuol sapere?” rispose Sven seriamente.
“Certamente. Anzi mettiamo tutto per iscritto che ne dice?” domandò sorridendo Whilem Ronah tirando fuori una penna e un foglio di carta, Catherine gliel’aveva detto che Sven era un materialista in fondo; Jessica sbiancò leggermente a quelle parole, non poteva essere vero: Sven davvero avrebbe venduto il loro amore?.
“Devi farci l’abitudine, dietro l’apparenza tutti i federali sono fatti così” mormorò soddisfatto Jacob a Jessica, ancora una volta i soldi e il potere di papà avrebbe messo a posto tutto.
“Il mio prezzo è, vediamo… ecco si! Jessica Garren! Voglio Jessica Garren! Lo scriva in quel documento e poi me la invii via corriere!” ridacchio Sven; Jessica ebbe un sussulto di felicità e non poté fare a meno di ridere pensando a lei impacchettata portata via corriere a Sven che la scartava.
Whilem capì, in quel momento, che l’intervento di Masinov li aveva fatto perdere lucidità e che Sven non era così materialista come pensava, ora Sven era in netto vantaggio, “Dai, suvvia, sa benissimo che Jessica Garren non è alla sua portata. Si dimentichi di lei, la sua è solo una infatuazione temporanea. Anche tu Jessica, dovresti riflettere a ciò che è meglio per la tua famiglia”.
“Giusto! Pensa a tua madre!” gridò Marie.
“Senta, lascia perdere i metodi buoni e passi alle cattive, è in netto svantaggio. Da una persona come lei immaginavo un po’ più di capacità diplomatiche” consigliò Sven a Whilem Ronah, un altro affronto del ragazzo nei confronti dell’industriale: un umile sergente federale che diceva cosa fare al magnate dei magnati, Whilem Ronah.
“Lei dovrebbe lavorare per me, ho sentito che è un ottimo pilota, la pagherei bene e la farei conoscere alle donne più belle del mondo” propose Whilem.
“Le ho detto di passare alle cattive e poi io non mi accontentò di una delle più belle quando dispongo della più bella” rispose Sven alludendo a Jessica che trattenne una risata.
“Guarda che lo penso davvero!” esclamò Sven contrariato dalla risata della ragazza
“Lo dicevi di tutte le ragazze che hai conosciuto e che hai portato a letto, nevvero Sven?” esclamò Christina accendendosi una sigaretta.
“Ma in quel caso lo dicevo senza pensarlo e sinceramente non mi vanto di quel periodo, ero molto stupido, ma aspetti ma lei è per caso? Incredibile! Sa che non l’avevo riconosciuta! Lei è quella a cui stavo dietro il primo anno di accademia! Lo sa che col tempo è diventata più brutta? D’altronde sa cosa dico io? Quando si commette una cattiva azione si diventa brutti! A lavorare per i Ronah se ne commettono di cattive azioni…” concluse Sven, lasciando di stucco Christina e facendo divenire paonazzo il volto di Jacob Ronah, qui si insultava la sua famiglia!
“Non me ne frega niente di te! Io ti farò gettare tanto fango addosso che metà basterà!” urlò Jacob, suo padre si mise le mani nei capelli, era circondato da stupidi che non avevano fatto altro che peggiorare la situazione: Christina prima aveva affermato di conoscere bene Sven Orkaf e aveva disegnato al suo datore di lavoro un profilo psicologico e comportamentale che come poté notare Whilem era completamente errato, la signora Marie aveva insistito per andare con loro e la sua presenza si era rilevata più un impiccio che altro e per finire Jacob che quando apriva bocca o si muoveva combinava dei disastri, “Cosa ho fatto per meritarmi tutto ciò?” si chiese, tra se e se il proprietario delle industrie Ronah.
“Lei non deve sottovalutare le proprietà del fango! Sa quante cose si possono fare col fango? Ehi Carlo! Cos’è che si può fare col fango? Piuttosto l’hai ripresa per bene Jessica che stasera è più che splendida! È sublime!” commentò Sven rivolgendosi ad un cespuglio, cosa per il quale fu guardato male dal gruppo (a parte Jessica che aveva percepito che qualcuno li seguiva), ma dopo due-tre secondi si sentirono alcuni rumori provenienti dal cespuglio da cui uscì un ragazzo che faceva un cenno positivo con la mano sinistra e con la destra che teneva una telecamera in mano.
“È venuta benissimo, pur avendo parlato poco la oserei definire la vera star del filmato” esclamò Carlo.
“Ottimo Carlo!” “Scusate dov’eravamo rimasti?” domandò Sven ai quattro che erano rimasti completamente inebetiti, anche Whilem Ronah rimase di stucco.
“BASTA! NON VI SOPPORTO Più VOI FEDERALI! JESSICA VIENI VIA CON ME!” intimò Jacob afferrando Jessica per un braccio.
“Giù LE MANI! PORCO SCHIFOSO!” urlò Jessica tirando un calcio nei genitali di Jacob che si accasciò a terra dal dolore.
“Kikilia insegna bene ai suoi sottoposti, da quel che vedo!” ridacchiò Vairetti che spuntò, come di suo solito, all’improvviso, dopo aver detto ciò fece un perfetto saluto militare e se ne andò tra l’incredulità generale.
“JESSICA TI DISCONOSCO!” sbraitò con rabbia la signora Marie ripresasi dallo shock, era rimasta di sasso a vedere la sua “piccola e dolce” Jessica tirare un calcio a quel “bravo e bel ragazzo” che è Jacob Ronah (oltre che a rimanere schioccata dalla successiva, improvvisa, comparsa di Vairetti).
“Davvero? Beh, non mi importa molto, Garren sono e Garren rimango” rispose decisa Jessica e poi rivolgendosi a Whilem Ronah: “Potete fare quello che vorrete, ma io mi sposerò con Sven Orkaf”.
“Adesso dovrei dire, stando al copione, che vi renderò la vita possibile e cose del genere, ma non ne ho più la forza e riconosco di non aver vinto questo round, l’ho perso fin dall’inizio e ti dirò che probabilmente ho fatto l’errore di portarmi dietro queste palle al piede; immaginavo un diverso tipo di discussione, mi hai colto alla sprovvista, lo riconosco.” si giustificò Whilem Ronah con una velata umiltà a Sven, “Orkaf! Un giorno i Ronah e la futura famiglia degli Orkaf, che nascerà dal tuo matrimonio con Jessica Garren, saranno nemiche. Ricordatelo.”, suonava vagamente come una minaccia questa frase.
“Sto già tremando di paura” esclamò Sven facendo finta di tremare.
“Signora Marie è inutile che cerchi qualche cosa da urlare contro sua figlia. Sua figlia ha preso la testa dura del padre, se vuole una cosa la ottiene, costi quel che costi.
Jacob! Con te farò i conti dopo! Se avevamo qualche possibilità grazie ai tuoi modi ce li siamo giocati! E io che vedevo già le industrie Garren confluire in quelle Ronah…
Signorina Christine se lo lasci dire, ma è evidente come lei non conoscesse affatto Sven Orkaf, quello vero. Una persona non dovrebbe limitarsi a conoscere ciò che le altre persone vogliono far conoscere, questo è quello che richiedo ai miei collaboratori, c’è bisogno di personale amministrativo nelle nostre miniere siberiane…” lasciò intendere Whilem Ronah, proprietario di alcuni dei più importanti giacimenti della fredda e inospitale Siberia.
“Capisco, credo che sia quello che mi merito” rispose Christine tra le lacrime, doveva essere l’asso nella manica dei Ronah, invece non riuscì a pronunciare più di una frase prima di essere zittita a malo modo da Sven Orkaf, un ragazzo che pochi anni prima faceva di tutto per farsi notare da lei.
“Non se la prenda signorina Christine! Lei non ha voluto servire la Federazione per mettersi al servizio dei Ronah, ne paghi le conseguenze” disse Sven con voce dura e fredda.
“Signora Marie consideri rotto il nostro accordo, non ci sarà alcun matrimonio tra Ronah e Garren. Faccia la pace con sua figlia, le ha trovato un ottimo genero” consigliò Whilem Ronah sospirando, non poteva di certo sentirsi bene, un semplice sergente delle federazione, pilota di MS, l’aveva sconfitto in un ‘duello’ verbale.
“Jacob, Christine! Andiamo! Signora Marie, la farò venire a prendere da un tilt-rotor domani mattina” la voce di Whilem tradiva la sua profonda insoddisfazione.
La signora Marie piangeva, consolata da sua figlia; Jessica in fondo era affezionata a sua madre, nonostante i contrasti che c’erano tra le due.
“Signora Marie, felice di conoscerla” esclamò Sven allungando la mano verso la donna, “Dai su, non faccia quella faccia, forse non potrò starle simpatico però cerchiamo almeno di andare d’accordo, diventeremo pur sempre parenti”.
I tre ebbero un lungo discorso, Carlo per un po’ li seguì nelle loro discussioni, poi guardò l’ora e consigliò di andare a dormire.
“Carlo ha ragione, dobbiamo dormire. Jessica tua madre può dormire con voi stasera?” domandò Sven.
“Si, certo. Abbiamo una brandina libera!”.
“Ok, buonanotte” esclamò Sven abbracciando Jessica.
“Buonanotte, a domani” salutò Jessica mentre accompagnava sua madre verso la tenda.
“Carlo? Carlo? Che fai dormi per terra?” domandò Sven: Carlo si era addormentato da seduto.
“Eh, cosa?” domandò Carlo svegliandosi.
“Sarà meglio andare a dormire sulla brandina. No?”.
“Credo che tu abbia ragione. Comunque complimenti! Ti rendi conto cosa hai fatto oggi? Hai tenuto testa a Whilem Ronah! Certo, non sembrava molto in forma e bisogna riconoscerli alcune attenuanti, ma come tua prima uscita nel mondo economico-politico potrei dire che è stata ottima!”.
“Cavoli mi fai sentire importante, fra un po’ dovrò scegliermi i collaboratori ed i portavoci!” esclamò Sven ironico.
“Ahah, se hai bisogno di una mano…”.
“Comincia a farmi da testimone al mio matrimonio, va…”.
“Come vuoi, dai andiamo a dormire che le ore passano e se non troviamo in meno di cinque giorni…” rispose Carlo.
“è così grave l’istituzione della legge marziale?” domandò Sven.
“In questa regione si. Potrebbe provocare una riaccensione degli odii etnici. Per lo meno io la situazione la vedo così, se chiedi a Vairetti sicuramente ti darà una spiegazione più approfondita”.
“Capito, piuttosto domani ricordami di guardare la TV, a seconda delle foto deciderò come e se vendicarmi con Masinov; se saranno belle soprassederò, se no ho già una mezza idea” ridacchiò Sven.
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« Risposta #22 il: 31 Agosto 2007, 20:11:43 »

Capitolo 18: Un enorme colpo di fortuna

Agosto 27, campo base…
La giornata era passata tra continue ed infruttuose ricognizioni, ma niente fu trovato.
L’unico fatto di una certa entità fu il mega-gavettone di Sven a Masinov; a Sven piacquero le foto di Masinov, ma nonostante ciò decise di vendicarsi, Masinov stava tranquillamente mangiando un panino, verso l’ora di pranzo, quando alle sue spalle giunsero di soppiatto Sven, Jessica e Carlo con una enorme bacinella d’acqua… ovviamente lo scherzo aveva l’approvazione di Kikilia, ogni protesta di Masinov fu inutile, infatti Kikilia difese i ragazzi facendo notare a Masinov che Sven e Jessica in quel modo erano con lui pari.
“Si ma Carlo che c’entra?” urlò adirato Masinov.
“È parente di Sven, orgoglio di famiglia” spiegò ,con un’impassibile flemma, Kikilia.
Erano circa le 9.00 P.M. quando Vairetti chiamò tutti gli ufficiali a raccolta nella tenda di comando.
Nella tenda centrale si radunarono Vairetti, Kikilia, Carlo, Masinov e Klaus von Kettel: una persona silenziosa, un carrista di quelli che se ne fregavano di computer e simili e credevano solo nel loro mezzo e nei loro sensi.
“Scusate gente, sarò che sono un vecchio stupido di famiglia aristocratica delle colonie ex-naziste, ma perché finora abbiamo guardato bene e in modo approfondito solo la periferia? Io non mi nasconderei in un posto dove so che verranno a cercarmi, almeno questo era quello che facevo giocando a nascondino da bambino. Sapete? Una volta mi misi pure una tuta spaziale e uscii dalla colonia per non farmi trovare. Per cinque ore non mi videro più. Ah bei ricordi!” esclamò il vecchio von Kettel che sarebbe dovuto andare in pensione all’inizio di agosto (aveva settant’anni), ma a causa dell’operazione aveva dovuto rimandare il pensionamento: non vedeva l’ora di trovare quei terroristi, “Così potrò dedicarmi al mio orto” pensava ironicamente.
“Qualche puntata nel centro l’abbiamo fatto, ma in effetti non l’abbiamo ancora analizzato con precisione”, disse Vairetti puntando il dito contro von Kettel, “Potrebbe avere ragione, prenda le sue unità e perlustri a palmo a palmo il centro, se aspettiamo la polizia”.
“Subito, inoltre consiglierei anche qualche puntata al sistema fognario” propose von Kettel.
“La polizia mi ha detto che l’ha già controllato, però sapete come la penso io sulla polizia… von Kettel?”.
“Si?”.
“La fanteria…”,
“Giù nella fogna! Mi odieranno i ragazzi!” ridacchiò von Kettel interrompendo Vairetti.
“Esatto, intanto ci andrai anche te” e a queste parole von Kettel emise un verso di disapprovazione.
Intanto Kikilia era assorta nei suoi pensieri, pensava a ciò che li aveva consigliato (meglio dire: ordinato) poco prima Vairetti: “Se vogliamo guadagnare tempo tuo marito deve dare una prova di forza in grado di tenere unito il gruppo che ha coadiuvato intorno a se e di arrivare alle orecchie di Kusabake. Posso consigliarti di telefonare a tuo marito per dirli cosa sta succedendo? Intanto lo so che vuoi telefonarli, te lo si legge in faccia! Vai a Pristina e telefonali attraverso un telefono pubblico almeno non sarà troppo controllato. Ovviamente vai scortata”.
Cosa avrebbe potuto dire a quella testa dura di suo marito per convincerlo? Quando non si trattava di politica era stra-malleabile, ma quando si trattava di politica era inutile parlarli, finiva ancora per farti ricredere.
 In fondo, bisogna notare come gli interessi di Kusabake e Arno coincidessero.
“Comandante! Vado! Carlo con me!” esclamò Kikilia uscendo dalla tenda, decidendo all’improvviso che era inutile pensarci, li sarebbe venuto in mente qualche cosa sul momento.
“Andare? Dove?” esclamò Carlo uscendo dalla tenda trafelato.
“A Pristina e chiama anche Miguel e Jessica con i loro mezzi.” rispose Kikilia decisa.
“Andiamo in ricognizione?” chiese Carlo perplesso.
“Consideratela una ricognizione” ordinò Kikilia cominciando a salire sul Jegan.
I MS e L’HM-8 si misero in moto verso Pristina, il tempo stava volgendo al peggio, una grossa perturbazione cominciava ad oscurare le stelle e la Luna, si preannunciava pioggia.
Il gruppo arrivò presso il telefono già usato da Carlo (i telefoni pubblici erano pochi essendo ormai inutilizzati), Kikilia scese dal MS e cominciò a telefonare, la telefonata fu particolare, Kikilia, dopo avere salutato suo marito e chiesto come stava lui e Thomas, cominciò a narrare un aneddoto della storia della Federazione, suo marito l’ascoltava in silenzio.
“Perché mi stai raccontando ciò?” chiese Francois.
Kikilia sospirò profondamente “Il generale Kusabake vuole istituire la legge marziale tra meno di quattro giorni, prima della vostra votazione per i giacimenti di Kicevo, bisogna evitarlo…”.
“Lo so, le voci circolano. Cerca di capirmi, gli interessi di Kusabake e i miei coincidono, cerca di capirmi…” supplicò il marito della Strati.
“Ti prego, lo so che puoi evitarlo, a noi basta maggior tempo, ci serve maggior tempo per trovare i rapiti, se li troviamo dovremmo riuscire ad evitare l’introduzione della legge marziale”.
“Lo sai che non darò mai in mano quei giacimenti nelle mani dei Ronah!” esclamò Francois.
“È esattamente quello che voglio io!” mormorò Kikilia “Devi solo cercare di guadagnare tempo! Non so… una intervista pesante che getti un po’ di scalpore sulla vicenda, un cavillo burocratico, lo sai meglio di me quali sono i metodi! Devi solo guadagnare tempo e tenere il gruppo che si è coadiuvato intorno a te!” implorò la donna.
“Kikilia, non posso, il gruppo intorno a me non resisterà ancora a lungo, puoi immaginare le pressioni che ci stanno facendo. Se mi metto anche a contrattaccare…”
“Ti prego!” urlò Kikilia disperata.
“Io… io, non so”.
“Ti prego fai quel che è giusto, se Kusabake istituisce la legge marziale per la regione… hai sentito la notizia di un mese fa? I politici dell’etnia croata hanno richiesto le scuse ufficiali per quel che è avvenuto negli anni domini a quelli dell’etnia serba, è un segno. La legge marziale sarà la miccia, lo sai meglio di me!”.
“Vedrò quel che posso fare” rispose Francois non troppo convinto.
“Ti prego, fai tutto quel che puoi fare! Ora devo andare! Spero di vederti presto!”.
“Anch’io, stai attenta!” concluse Francois, la telefonata non si poteva di certo dire di piacere.
Kikilia risalì sul MS senza dire una parola, era nera in faccia.
“Mestiere di merda, patinato d’oro” commentò Kikilia mentre era ferma ad un semaforo, nei pressi della periferia, aspettando che diventasse verde.
Poi senza pensarci avanzò di colpo col MS, era sovrappensiero e credeva che il semaforo fosse diventato verde: era ancora rosso.
Un camion che sopraggiungeva ad alta velocità freno bruscamente e nel tentativo di evitare il piede destro del Jegan si ribaltò, sul volto di Kikilia si dipinse una vena di disperazione, erano quelle cose che ti facevano togliere dal pilotaggio di MS.
“State tutti bene?” domandò Kikilia col megafono del Jegan ai due occupanti che stavano tentando di uscire dal mezzo.
“Bene, bene” urlarono i due.
“Scusate, ero sovrappensiero, non so come scus…”, ma Kikilia venne interrotta nelle sue scuse da Carlo: “Stavo controllando quel mezzo con i raggi X, fossi in te li punterei i gatling contro, quel camion è pieno di armi in un doppiofondo”.
Kikilia al sentire ciò rimase per una frazione di secondo incredula, salvo riprendersi subito e puntare contro i gatling da 60mm ai due.
“Mani in alto! Non azzardate mosse false!” urlò la comandante col megafono e poi via radio ordinò prontamente a Jessica, Carlo e Miguel di chiamare la polizia e circondare l’edificio da cui era partito il camion (prontamente individuato dai sistemi di analisi dell’HM-8 di Jessica, che l’aveva scovato analizzando il calore che i pneumatici avevano lasciato sulla strada, strade, tra l’altro quasi deserte quella notte).
“Qui e Condor 4! L’edificio ha uno sbocco nelle fogne!” comunicò Jessica a Kikilia.
“Ok, qui è Condor 1 a Kilo 1 (von Kettel, Ndr) mi ricevi? Abbiamo individuato un edificio sospetto, vi invio le coordinate”.
“Qui Kilo 1 ti ricevo forte e chiaro, siamo a due isolati, saremo li in meno di due minuti!” comunicò via radio von Kettel che tra se e se mormorò: “Almeno usciamo da 'sto schifo”; come darli torto, non si poteva di certo affermare che erano nel pulito, inoltre nella fogna giravano alcune grosse pantegane il cui incontro ravvicinato era poco raccomandabile.
“Siete circondati! Arrendetevi!” gridò Carlo col megafono in direzione dell’edificio, che altro non era che una piccola e anonima casa, nel frattempo arrivò a sirene spiegate la polizia.
In quel momento si affacciò alla finestra uno dei terroristi che sparò un razzo contro il Jegan di Miguel, per fortuna il sistema antimissile dell’HM-8 riuscì ad abbattere il razzo prima che potesse far danni; la polizia stava già per far fuoco, ma Carlo dopo una veloce analisi con la camera termica blocco la polizia, infatti alla finestra si stava per affacciare un altro terrorista che sembrava trascinare un ostaggio.
Il terrorista impugnava un fucile d’assalto con la mano destra e con la mano sinistra teneva un coltello al collo dell’ostaggio.
“Siamo disposti a fare un cambio di ostaggi” urlò il terrorista.
“Cosa volete?” urlò perplesso un ufficiale della polizia.
“Un cambio di ostaggi ed un furgone entro dieci minuti” rispose il terrorista.
Il poliziotto si guardò attorno, alcuni uomini dei reparti speciali della polizia stavano già indossando le divise normali per non farsi riconoscere, era il segno che si stavano proponendo.
“Ho cinque uomini! Quanti sono i vostri ostaggi?”.
Intanto il gruppo di von Kettel era quasi arrivato presso l’edificio…
“Merda!” proruppe Suichi, uno dei fanti, fermandosi di colpo.
“Sai che scoperta, Suichi! Siamo in mezzo alla merda casomai non te ne fossi accorto” rispose von Kettel stizzito.
“No, no, lo so. Cioè… intendevo dire merda perché qui c’è una bomba!” rispose Suichi tremando come una foglia.
“Di male in peggio!” esclamò von Kettel, erano proprio sotto ai MS della compagnia di Kikilia, “Marcel, hai la qualifica di artificiere no? Vedi cosa puoi fare!” e poi afferrando la radio “Kilo 1 a Condor 1, abbiamo trovato una bomba nel sistema fognario sotto le forze che circondano la casa, potrebbero essercene altre!”.
“Qui Condor 1, fra quanto esplodono?”.
“Negativo, sembra che siano telecomandate”.
“Vaffanculo” proruppe Kikilia, ora erano veramente nei guai e le trattative si stavano volgendo al peggio, infatti i terroristi rivelarono le loro vere intenzioni.
“Non vogliamo uomini della polizia, ci rifilereste quelle delle forze speciali, dateci, ad esempio, il pilota di quell’hovercraft e in cambio libereremo gli ostaggi” gridò il terrorista.
“Ma perché vogliono proprio quel pilota?” si chiese l’ufficiale della polizia.
“Ecco a chi puntavano, certo la divisa… averci pensato prima” sussurrò Kikilia, lei al contrario del poliziotto aveva capito perché volevano proprio il (la) pilota dell’HM-8.
Intanto il tilt-rotor della GNN stava sorvolando la zona e le trasmissioni si erano interrotte per mostrare quel che stava succedendo.
…come potete vedere le trattative stanno proseguendo, la casa è circondata…L’ufficiale si avvicinò all’HM-8, al suo interno Jessica tremava come una foglia: non sapeva cosa fare.
“Condor 4 tranquilla!” incitò Kikilia.
“Cosa devo fare?” chiese Jessica con voce rotta.
“Non c’è una risposta univoca” mormorò Kikilia.
“E allora cosa devo fare?” richiese Jessica trattenendo le lacrime; la reazione era più che giustificata, da un lato c’erano una ventina di ostaggi, dall’altro c’era la sua vita.
“Fai quello che senti giusto fare” rispose Kikilia, anche lei era sconvolta, quella era un situazione in cui non avrebbe mai voluta trovarsi: decidere della vita dei suoi subordinati.
“Cosa faccio? Cosa faccio?” sussurrò Jessica, mentre il poliziotto entrava nell’HM-8.
“Credo che lei abbia sentito le richieste dei terroristi, devo chiederle cosa vuol…”, ma il poliziotto vedendo che davanti non aveva un soldato qualsiasi, ma la figlia dell’industriale Carl Garren, si bloccò, “Mi scusi, direi che il problema non si pone” disse il poliziotto uscendo dal mezzo, ma Jessica ebbe un sussulto e blocco il poliziotto.
“Vado io!” esclamò la ragazza.
“Mi dispiace, non posso permetterglielo, lei è la figlia di un potente industriale…” ribatté il poliziotto.
“Ho detto che vado e quindi vado!” disse con tono perentorio Jessica, il sangue e la testa dura dei Garren si fecero sentire nelle parole di Jessica.
“Ma…” provò a ribattere il poliziotto.
“Niente ma, ho detto che vado, è una mia scelta” sbraitò Jessica.
“Ma… vabbè, faccia dome vuole, non mi assumo responsabilità, si metta il giubbotto antiproiettile e l’elmetto” rispose il poliziotto titubante.
La situazione era tesa, Carlo era stato in silenzio, sperava solo che la situazione si risolvesse il prima possibile e che Sven non piombasse li, non sapeva come avrebbe reagito l’amico.
Intanto nelle fogne Marcel aveva disattivato la bomba, probabilmente quella bomba sarebbe stata attivata appena i terroristi si fossero allontanati dalla casa.
“Perfetto, prima squadra controllate le fogne qui nei paraggi, seconda squadra pronti a fare irruzione su mio ordine” ordinò von Kettel, “Qui Kilo 1, siamo in posizione, in attesa di ordini”.
Cosa fare? Kikilia da un lato era propensa a far entrare in azione subito il plotone Kilo per evitare lo scambio di ostaggi (ormai era questione di non più di un minuto per lo scambio, Jessica era pronta e aveva ricevuto tutte le informazioni del caso), dall’altro era propensa a far intervenire i fanti appena si fosse concluso lo scambio di ostaggi, in modo che nell’edificio ci fosse stato il minor numero di persone possibile. Una sua parola e si sarebbe deciso tutto.
All’improvviso li venne in mente un insignificante fatto che era successo quando frequentava le scuole superiore: aveva 16-17 anni ed un giorno decise di saltare la scuola per andare a trovare Francois che frequentava una scuola dall’altra parte di Atene.
Mentre attraversava Atene assistette ad una rapina ad una banca, non era scattato l’allarme e lei era l’unica passante ad essersene accorta, cosa fare? Aveva davanti a se due scelte, far finta di niente (così non avrebbe dovuto dare spiegazioni per aver marinato la scuola, cosa che aveva fatto con il tacito accordo di sua madre) o chiamare la polizia.
Il suo spirito civico la spinse alla seconda scelta anche se ciò volle poi dire: dare immani spiegazioni, prendersi una nota per aver marinato la scuola e il divieto imposto dai suoi di vedere Francois, anche se in effetti Kikilia dimostrò incredibili capacità atletiche a ‘scappare’ per brevi periodi, senza essere scoperta, dal 3° piano del palazzo dove abitava…
Cosa c’entrava con quel che stava accadendo? Semplice, doveva mettere da parte i suoi sentimenti personali e scegliere la cosa giusta: la seconda possibilità, avrebbe messo a rischio Jessica, ma i fanti si sarebbero trovate molte meno persone mentre facevano irruzione, diminuendo le possibilità che fossero colpite le persone sbagliate…
…qui Jackson Jern, sembra che stia per avvenire lo scambio di ostaggi, una ragazza bionda si è offerta come ostaggio, come potete vedere dalla telecamera sembrerebbe la figlia di Carl Garren.
Ecco la Garren sta avanzando e se notate dalla casa stanno uscendo la ventina di ostaggi…

I tre MS erano fermi, primeggiavano come altezza, ma i loro piloti non potevano altro che star fermi a guardare la scena quasi del tutto impotenti, vista la situazione non sarebbero potuti intervenire, armi troppo potenti e troppo alto il rischio che provocassero esplosioni che coinvolgessero i commilitoni.
Jessica era a 10 metri dalla porta della casa e stava camminando lentamente, il suo volto era estremamente calmo, era inutile preoccuparsi: il suo destino era in mano ai poliziotti e ai fanti della sezione esplorante; il primo gruppo di ostaggi era già stato rilasciato, il secondo gruppo sarebbe stato rilasciato dopo che lei fosse stata in mano ai terroristi.
Il volto del terrorista davanti a lei era molto teso, il terrorista aveva paura che potessero spararli in qualsiasi momento, non aveva non potuto notare i cecchini che si stavano disponendo.
Jessica dopo una decina di lunghissimi secondi arrivò a fianco del terrorista che subito la obbligò ad entrare, in quel momento il secondo gruppo di ostaggi venne fatto uscire.
“Kilo 1. Ora” ordinò decisa Kikilia, fu un attimo, nella casa, da un varco nella cantina, fecero irruzione von Kettel e i suoi uomini, i terroristi di guardia alla entrata alle fogne (che si trovava, per l’appunto, nella cantina) non ebbero neanche modo di accorgersi di quello che stava succedendo che vennero tramortiti, in meno di venti secondi tutti i terroristi furono tramortiti eccetto uno che provò ad opporsi e che quindi fu freddato da una salva di proiettili nel torace.
Jessica rimase ostaggio dei terroristi per non più di dieci secondi, appena vide gli uomini di von Kettel ebbe lo spirito di gettarsi a terra per evitare di diventare facile bersaglio in un conflitto a fuoco, che comunque non ci fu, infatti l’unico che provò ad opporre resistenza era uno degli uomini che controllava la mansarda.
Dopo due minuti arrivarono anche Vairetti (a bordo del suo M70), Sven e Masinov.
“Jessica, Jessica! Come stai!” gridò Sven lanciandosi, letteralmente, dal suo Jegan III.
“Bene, sto bene” rispose abbracciando il ragazzo ed esplodendo in lacrime per l’emozione repressa.
Vairetti intanto aveva guardato gli ex-ostaggi e subito si era accorto della mancanza di quattro persone.
“Kikilia… ma Gharisnikov, De la Croix e i due capocarro?” chiese Vairetti non vedendo i quattro da nessuna parte.
“Non ce ne è traccia, i loro sottoposti asseriscono che sono stati divisi da loro appena catturati” rispose Kikilia che si era già premunita di chiedere della sorte degli ufficiali, “inoltre i terroristi avevano piazzato qua attorno un paio di bombe che gli uomini di von Kettel hanno già provveduto a disinnescare”.
“È incredibile, erano sotto gli occhi di tutti e nessuno si è accorto di niente. La mia fiducia sulla polizia civile è ai minimi termini” esclamò Vairetti, “Comunque ora dobbiamo trovare i quattro”.
“Non credo che siano qua a Pristina, secondo me volevano attirarci in una trappola qui in città per indebolirci, come dimostrano le bombe che avevano piazzato sotto la strada, ed affrontarci in un secondo momento, ma li è andata male.
Devo dire che era un piano complesso, probabilmente consisteva nell’impegnarci in un combattimento urbano per poi farci cadere nella trappola.
Hanno tentato all’ultimo di salvare il salvabile tentando di avere come ostaggio Jessica, che comincio a credere sia uno dei loro obbiettivi, ma sapevano di non avere speranze, almeno io credo che sia così.
In ogni caso per loro sfortuna ho attraversato la strada col rosso…”.
“Cosa?” chiese perplesso Vairetti che non sapeva ancora cosa era successo con precisione.
“Le racconterò più tardi, diciamo che ho avuto un enorme colpo di fortuna..” rispose Kikilia.
“Giovani!” sbottò Vairetti felicemente sconsolato toccandosi le rughe sul suo viso, conoscendo Kikilia sicuramente ne aveva combinata una delle sue.
Intanto il tilt-rotor era atterrato e Jackson Jern raccoglieva le prime notizie…
…qui Jackson Jern, come avete potuto vedere tutto si è risolto per il meglio grazie all’eroico comportamento di Jessica Garren e di una squadra di fanti che secondo le prime informazioni ha fatto irruzione passando dalle fogne.
Purtroppo sembra che i ‘Discepoli’ abbiano nelle loro mani ancora alcuni ostaggi, quindi le ricerche proseguono.
Adesso cerco di intervistare Jessica Garren protagonista dell’azione di liberazione di oggi. Signorina Garren una parola prego! Ha avuto paura? Cosa ha provato in quei momenti? La prego ci risponda!
Molta… ehi basta vi prego…
In questo momento la ragazza viene festeggiata dai suoi commilitoni e non sembra in grado di rispondere, sarà per un’altra volta. Comunque la liberazione di oggi è la dimostrazione che la Federazione ha ancora sotto controllo la regione, al contrario di quello che molti analisti hanno affermato nelle ultime 24 ore. Credo di potere affermare con tranquillità che sarà questione di pochi giorni anche la liberazione degli ultimi ostaggi in mano ai ‘Discepoli’.
Studio un attimo prego! C’è il comandante dell’unità antiterrorismo dei rapiti. Comandante Vairetti! Comandante Vairetti! Vuole rilasciare una dichiarazione in merito agli ostaggi ancora in mano ai terroristi?
Certamente, li troveremo e li porteremo a casa! Nessuno viene abbandonato al suo destino! Inoltre i ’Discepoli’ devono cominciare ad assaporare la morte o le celle federali, non hanno alternative.
Grazie comandante, questa volta è stato un po’ più prolisso.
Di niente, buon lavoro!
Come potete vedere il morale delle unità federali è alle stelle, speriamo che riescano a riportare tutti i rapiti a casa e ad annientare i ‘Discepoli’.
Qui Jackson Jern, GNN, Pristina, a voi studio…
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« Risposta #23 il: 31 Agosto 2007, 20:18:36 »

Capitolo 19: Il colpo di Francois

Agosto 27, ore 10.00 P.M., Roma, in un appartamento lungo via Nazionale…
…e con questo concludiamo questa diretta da Pristina. Ora un servizio sull’andamento della borsa azionaria quest’ultima settimana…
Francois Arno aveva guardato preoccupato quella diretta, aveva visto sua moglie che scendeva dal MS per andare a ricevere gli ostaggi.
Intanto ripensava alla sua ultima telefonata di neanche un’ora prima, la situazione nei fatti non era cambiata in quei tre quarti d’ora, i ‘Discepoli’ avevano ancora degli ostaggi, anzi la situazione rischiava di peggiorare agli occhi di Arno per colpa di quella imprudente della Garren: “Certa gente non dovrebbe stare in prima linea” pensò il politico trentunenne.
…i titoli Ronah dopo il crollo di alcuni giorni fa si sono parzialmente riprese, anche a seguito dell’interessamento delle Ronah Industries per la General Fruit Co. principale produttrice di prodotti alimentari dell’America Meridionale. Intanto proseguono le trattative per i giacimenti di Kicevo, al centro di una agguerrita lotta politica, che vede contro la cessione di tali giacimenti il sottosegretario Francois Arno…
Francois spense la TV, quei giacimenti stavano dando solo un sacco di problemi.
“Cazzate, dite solo cazzate” mormorò il politico assaporando un bicchiere di rosso, da quando Vairetti gli e l’aveva fatto assaggiare non poteva farne a meno.
Essendo Kikilia spesso via la madre di Arno si era offerta per aiutare suo figlio ad accudire suo nipote, “Mamma, controlli te Thomas? Io vado a fare una passeggiata, ho bisogno di rinfrescarmi le idee” chiese Francois a sua madre, Isabelle, che stava guardando con lui la TV.
“Certamente. Preoccupato per Kikilia?” domandò Isabelle.
“Vorrei tanto che facesse un mestiere più tranquillo”.
“Non sarebbe più la Kikilia che hai sposato in quel caso, ricordatelo” l’ammonì sua madre.
“Credo che tu abbia ragione. Vado, non starò fuori a lungo” e Francois uscì dall’appartamento.
Scese dalle strette scale del palazzo, ancora un palazzo di quelli che c’erano prima che Roma diventasse capitale Federale e uscì su via Nazionale, dirigendosi verso l’Altare della Federazione, per far ciò passò davanti ad un austero, ma imponente palazzo, era il suo ministero, già edificio della banca centrale d’Italia; quell’edificio non l’aveva mai potuto vedere, “Un feudo delle multinazionali è diventato” commentò sottovoce Arno pensando alla Banca Federale.
Dopo un po’ che camminava finì davanti all’Altare della Federazione e a quel MS inchinatogli davanti.
“Ovunque voglia andare devo passare di qua, tanto vale venire direttamente qua” pensò Francois Arno, nato a Bordeaux nel 209 N.C., trasferitosi all’età di 14 anni ad Atene, suo padre era un prefetto della polizia e proprio ad Atene venne trasferito; Arno aveva un strano rapporto con quel monumento, era come Kikilia, l'80% delle volte, dovunque dovesse andare se la trovava davanti o, per lo meno, la vedeva in lontananza o ne sentiva la presenza.
In effetti Arno alla fine ‘cadde ai piedi’ di Kikilia non tanto per amore o cose del genere (anche se, bisogna dire, se ne era invaghito già dalla prima volta che l’aveva vista), ma per sfinimento o per meglio dire per dipendenza: ovunque andasse se la trovava dietro, ad Atene non poteva uscire un attimo con i suoi amici che per ‘pura coincidenza’ incontrava la ragazza, se un giorno non si faceva vedere in giro Kikilia subito piombava a casa sua per vedere se stava bene e così via, per fortuna non frequentavano la stessa scuola! Risultato? Francois alla fine non poté fare a meno di Kikilia e finiva per preoccuparsi quando non la vedeva mettendosi pure a cercarla con velata disperazione.
“Ecco il mio problema: dipendenza da cose abitudinarie” pensò Francois, in effetti il suo problema consisteva nell’essere un abitudinario incallito e andava su tutte le furie, diventando nervoso, quando qualche cosa nella sua agenda quotidiana saltava, anche se quelli erano momenti felici, come la nascita di suo figlio.
Quando dovette correre all’ospedale militare per andare da sua moglie che partoriva lanciò tante di quelle imprecazioni blasfeme che avrebbero messo a disagio pure un ateo convinto e ciò non per una reazione di preoccupazione o simile, ma perché dovette lasciare a metà il suo lavoro! Poi la felicità per la nascita di suo figlio ebbe la meglio, per fortuna, ma abitudinario incallito e comprovato era e rimaneva.
Francois osservava in lontananza il Colosseo, imponenti lavori di restauro erano stati apportati ai monumenti antichi di Roma ed erano più splendenti che mai.
“Ma si via! Un giro ai Fori non me lo toglie nessuno” pensò guardando ancora una volta quel mobile suit e quell’altare.
I fori di notte erano un bellissimo spettacolo, non era raro che Arno ci facesse un giretto di sera, anzi era quasi una sua abitudine (ovviamente, se no sarebbe stato un inutile stress).
Ci andava spesso per rischiarsi le idee e per assaporare quell’aria di passata potenza che trasudavano quelle pietre e quelle colonne.
“Qui ci fu un impero che controllava tutto il mondo conosciuto e civilizzato, messo a tacere da corrotti con l’aiuto di barbari” era un epitaffio che Francois spesso mormorava guardando quello che rimaneva di quell’impero.
Intanto, davanti a quelle meraviglie, a quegli scorci mozzafiato, Francois non pensava solo alle loro passate vestigia e alla vita che scorreva un tempo sotto quelle costruzioni un tempo maestose e ora in rovina, pensava anche a qualche cosa di più immediato.
“Cosa posso fare?” pensava, il tempo stringeva; Kikilia li aveva chiesto quel favore con tanta disperazione, non poteva far finta di niente, evidentemente la situazione era ancora più grave di quel che pensava.
Poi si ricordò che un suo amico li doveva un grosso favore, questo amico (giornalista e corrispondente per il giornale “La Stampa”) aveva avuto dei guai con il fisco e Arno con i suoi contatti l’aveva salvato, alla fine questo giornalista dovette sborsare solo una piccola somma per pagare una multa, notevole se si pensa che rischiava la prigione.
Francois prese il cellulare, era un po’ tardi: le 10.45 P.M., ma quel suo amico doveva ancora essere sveglio e poi visto il favore che li doveva rendere poteva anche permettersi di svegliarlo.
“Gianni senti un po’! Sono io Francois, sai il favore che mi dovresti rendere? Quand’è che viene inviato via Internet la prossima copia del giornale?” domandò Francois.
“Alle 2 di notte, perché?” chiese il giornalista.
“Ti interessa una intervista sui giacimenti di Kicevo? Mi sembra che siano piuttosto al centro dell’attenzione ultimamente…”.
“Direi proprio di si, in ogni caso direi che mi vedo quasi costretto. Vengo da te o la facciamo via telefono?”.
“No, lascia stare: un quarto d’ora sono da te” .
“Ok, se facciamo velocemente alle 11.30-11.45 abbiamo finito e per mezzanotte ho già inviato l’articolo. Se riusciamo viene già pubblicato nell’edizione notturna, se no verrà pubblicato nell’edizione della mezza” spiegò Gianni.
“Ottimo, ottimo. Fra poco sono da te. Ci vediamo” concluse Francois.
Francois accelerò il passo, non poteva perdere un minuto; Gianni abitava in un piccolo appartamento in una viuzzola secondaria non molto lontana.
Francois bussò la porta dell’appartamento, aprì la nonna di Gianni.
“Gianni?” chiese Francois.
“Prego onorevole entri! Gianni è arrivato il signor Arno!” urlò la signora una energica vecchietta di 100 anni.
“Francois accomodati, sete?” domandò Gianni.
Francois rispose con un cenno negativo della mano.
“Allora dimmi, come mai questa intervista?”.
“Diciamo che la regione balcanica rischia di andare sotto legge marziale, Kikilia mi ha chiesto di far qualche cosa per guadagnare tempo, se si riesce a rimandare la votazione sui giacimenti di Kicevo dovremmo riuscire a far slittare anche l’entrata in vigore della corte marziale, ma questo rimanga tra noi, intesi? Non vorrei mettere nei casini mia moglie, teoricamente non mi avrebbe dovuto proferire parola su questo” spiegò il politico.
“Uhuh, sembra interessante. Tra l’altro mi sembrava di aver visto tua moglie in TV durante quel che è successo poco fa a Pristina. Ok, cominciamo?” propose Gianni.
“Certamente” rispose Francois risoluto.
Agosto 28, ore 7.20 A.M., campo base…
“Kikilia, vai un po’ a vedere il monitor, c’è l’edizione on-line de “La Stampa” di oggi” consigliò Vairetti a Kikilia che stava facendo un po’ di stretching mattutino.
“Umh… quindi?” chiese Kikilia.
“Quindi smetti di fare stretching e vai a guardare a pagina 7 del giornale”.
“Vado, vado!” esclamò Kikilia che li venne in mente che magari suo marito si era già attivato.
Kikilia entrò nella tenda centrale dove c’era Carlo che stava leggendo il giornale sorridendo.
“Cosa c’è scritto di tanto divertente?” chiese Kikilia.
“Non è divertente, ma fa sorridere l’intervista di tuo marito” disse Carlo.
“L’intervista di mio marito? Spostati da lì!” ordinò Kikilia.
“Prego e leggi con calma, tuo marito ha tirato tanti piccoli colpi bassi. Se non rimandano la votazione dopo questa intervista…”.
“Leggo, leggo”.
“In effetti la tensione attorno ai giacimenti Kicevo è molto alta, credo che questa questione stia influendo molto negativamente nella regione” con queste parole Francois Arno, sottosegretario del ministero delle risorse produttive, introduce la nostra intervista.
Bisogna ricordare come il 31 si terranno le votazioni al ministero delle risorse produttive per decidere cosa fare dei giacimenti di uranio di Kicevo.
Francois Arno è uno di coloro che si oppongono alla cessione dei giacimenti in questione, ma cerchiamo di capire cosa c’è veramente dietro alla questione dei giacimenti.
Francois Arno mi dica qual è il motivo di fondo per cui si oppone alla cessione dei giacimenti di Kicevo?
Uno dei motivi è sicuramente il motivo economico, il ministero sta letteralmente svendendo il diritto esclusivo di sfruttamento di tali giacimenti ai Ronah, non posso rivelarle il valore esatto dei giacimenti, anche perché i nostri esperti li stanno ancora analizzando, ma le posso assicurare che il diritto esclusivo di sfruttamento vale il quadruplo di quello offertoci.
Quindi non si parla di cessione…
Esattamente, ma deve considerare che il diritto di sfruttamento vale per i canonici 99 anni e da diritti di prelazione in caso di cessione totale e parziale.
E a basso prezzo…
In genere è così.
Lei ha detto: ‘Uno dei motivi’, gli altri?
Non deve dimenticare l’attuale situazione di tensione nella regione e non parlo solo della comparsa del gruppo terroristico dei ‘Discepoli’.
Prego?
Ultimamente tra le etnie della regione stanno sorgendo contrasti di tipo economico, infatti molte richiedono risarcimenti per quel che è avvenuto negli A.D.
Questa ovviamente è solo una mossa di facciata, se avrà letto gli ultimi report dei servizi di sicurezza avrà notato come i Balcani stiano ridiventando uno snodo cruciale per i commerci illegali e non solo di droga, questi commerci fanno gola a molti e dietro le frizioni fra le varie etnie in realtà c’è l’interesse a controllare questi traffici.
Ma cosa c’entra con i giacimenti di Kicevo?
Semplice, non escluderei che quei terroristi cercano, in cambio della pace, di avere qualche tornaconto sui profitti di quei giacimenti o cose del genere, come il controllo a chi vendere quell’uranio.
In pratica non esclude connivenze tra terroristi e…
Credo che ci siamo intesi.
Quindi la sua formula per stroncare questi interessi economici illegali quale sarebbe?
La Federazione deve mantenere un controllo assoluto delle risorse nelle varie regioni, controllo che solo una forte struttura statale può avere, i Ronah nonostante i controlli che possono promuovere non potranno mai garantire standard qualitativi e quantitativi nel campo della sicurezza come può fare la Federazione.
Il controllo assoluto non può esistere…
Vero, ma come ente statale ci si può accorgere se qualche cosa non va, meglio di un ente privato il cui scopo è il profitto e quindi può essere invogliato a chiudere un occhio alle volte.
La sua è una pesante accusa ai Ronah.
Non accuso nessuno, ma le mele marce ci sono dappertutto e vanno controllate adeguatamente e senza remore di sorta, solo una struttura statale non può avere remore come il profitto, prima viene il rispetto delle leggi e il cittadino.
Perché il vostro ministero sta svendendo, come dice lei, quei giacimenti?
Il motivo principale è che sono pochi coloro che vogliono gestire le cosiddette ‘patate bollenti’, bisognerebbe riconoscere che fa parte del nostro mestiere, ma molti preferiscono pensare solo ai voti delle prossime votazioni politiche.
Ci tengo a precisare che non sto accusando nessuno in particolare, però ritengo che svendere quei giacimenti sia un vero e proprio delitto nei confronti dei cittadini: è inutile dire che si vogliono abbassare le tasse se poi le possibilità che ci consentirebbero di avere i soldi per farlo le gettiamo a mare.
Rimanendo nei Balcani. Cosa pensa di quel che sta avvenendo in questi giorni?
È la chiara dimostrazione di come gli enti politici preposti abbiano mal gestito la regione, vuole un esempio? Perché in una regione tranquilla e oggigiorno poco strategica come la Svezia manteniamo ben tre divisioni di cui una di MS e poi sommando tutte le unità nei Balcani si arriva si e no a tre quarti di divisione? Senza considerare il fatto che di quelle forze già un battaglione non si può usare perché bloccato nella difesa dei laboratori R-4. Faccia i conti…
Un minimo di pianificazione e strategia andrebbe usata, non ci si può piegare ai soli motivi di propaganda politica: per far vedere che tutto andava bene abbiamo perso ogni capacità di deterrenza nei Balcani.
Sua moglie è una ufficiale pilota di MS e fa parte dell’unità di cui facevano parte gli ostaggi liberati oggi (ieri per chi legge, Ndr), come si sente sapendo che sua moglie rischia ogni giorno la vita?
A guidare MS si rischia sempre la vita ed essendo che mia moglie pilota da tanto credevo di non riuscire più a preoccuparmi, ci avevo fatto l’abitudine a vederla su quei giganti. Invece è da quando è stata inviata nei Balcani che  sono preoccupato per lei, spero che questa situazione si risolva presto nel miglior modo possibile.
Questa situazione può influire sulle sue decisioni di voto a proposito dei giacimenti?
No, fa parte del mio mestiere. Se facessi influire la mia vita personale su quella politica avrei votato si senza esitazioni.
Sono così importanti questi giacimenti?
Molto, il ministero presto renderà di pubblico dominio la loro grandezza e la qualità dell’uranio che ci si può trovare; coloro che sapranno leggere quei dati non potranno che meravigliarsene e comprenderanno che non hanno solo una importante valenza economica.
La ringrazio del tempo concessomi.
Di niente, i cittadini dovevano sapere.

“Allora che ne pensi? Non è male, certo mancano alcune finezze dei politici anziani, ma direi che non è per niente male. Tuo marito andrà lontano, vista la sua età…” commentò Carlo sorridendo soddisfatto.
“Credi che ciò basterà a rimandare la votazione?” domandò Kikilia.
“Per rispondere a ciò dovremo aspettare l’edizione pomeridiana dei vari giornali e le reazioni alla TV”.
“Esatto Carlo, ma per quel che pensò questa intervista basterà già a far venire fastidiosi pruriti a qualche d’uno e per dire ciò non ho bisogno di ascoltare le reazioni dei politici e dei Ronah” si intromise Vairetti, “Senti Kikilia ho bisogno di MS in ricognizione, vorrei che controllassero dei paesi abbandonati nell’arco di 50-60 Km”.
“Certo non c’è problema, direi che la sezione di Masinov va più che bene per la ricognizione, col suo EW non ha problemi, inoltre, se per lei non c’è problemam ci aggrego anche Jessica. Così magari scarica un po’ di tensione” propose Kikilia.
“Ottimo, tu va a vedere la TV per vedere se ci sono novità, ci penso io ad avvertirli, inoltre fra poco arriveranno i rinforzi che ho fatto venire dal mio battaglione: devo accoglierli adeguatamente e darli istruzioni” disse Vairetti.
“Li rimandiamo già indietro?” domandò Carlo riferendosi ai soldati liberati la notte prima.
“Li invidi?” chiese Vairetti.
“Un pochino…”.
“Almeno lo ammetti” esclamò Vairetti sospirando, “Giovani! Se non li si fa combattere pensano solo a poltrire o a divertirsi” pensò l’anziano ufficiale.
“Ehi! Guardate chi è venuta a trovarci!” fece notare Carlo indicando l’entrata.
“La pecora! Tra l’altro bisognerebbe trovarli un nome!” esclamò Kikilia vedendo la pecora che stava entrando nella tenda.
“Sciò, sciò, via” incitò Vairetti all’animale, non gradiva la presenza della pecora nella tenda centrale.
“sciò, sciò…Scià! La chiameremo Scià, è deciso” annunciò Kikilia.
“Bah… strano nome per una pecora” mormorò Carlo.
Dopo pranzo, mentre Masinov, Sven, Jessica e Moammed erano ancora in ricognizione, Vairetti e Kikilia si diressero di corsa a vedere gli ultimi titoli dei giornali (Carlo doveva occuparsi di fare manutenzione al suo Jegan).
Le reazioni in TV all’intervista erano state interessanti:
1° il portavoce dei Ronah diceva che loro avevano offerto quanto richiesto dal ministero e di non sapere nulla del valore preciso dei giacimenti, in pratica affermavano che se di svendita si trattava non era di certo a causa di loro pressioni.
2° il ministro delle risorse produttive, Graziani, diceva che anche lui non era propenso a vendere i giacimenti in quel momento e che, anche lui, condivideva le preoccupazioni di Arno, fino al giorno prima diceva il contrario.
3° il politici delle varie etnie balcaniche si erano assai arrabbiati, ma non c’era stata nessuna minaccia di denuncia nei confronti di Arno, segno che Arno aveva colpito dove non si voleva che si ‘scavasse’, ma si erano detti contro la cessione dei giacimenti, cambiando posizione; avevano capito che per un po’ avrebbero dovuto far buon viso ad un gioco che a loro non dava frutti, anzi!
4° il primo ministro aveva chiesto al ministro Graziani di prendere maggior tempo e per eventuali votazioni aspettare almeno la liberazione degli ostaggi, inoltre chiedeva che fosse fatta luce sui reali interessi dei terroristi nei riguardi del giacimento, la dichiarazione era la solita di facciata, ma proprio perché di facciata era bene seguirla.
Mancava ancora l’annuncio del ministro Graziani del rinvio della seduta (probabilmente con la formula: visti i recenti avvenimenti…); di solito il ministro Graziani si esprimeva attraverso le colonne dei giornali, non essendo uno di quelli che ‘forava’ lo schermo, quindi i due ufficiali aspettavano le edizioni pomeridiane dei giornali, la risposta arrivò su un altro giornale italiano: “Il Corriere della Sera”.
L’intervista era piuttosto scarsa, Graziani rispose alle domande del giornalista in modo ovvio e quando non era possibile in modo elusivo e con frasi banali, alla domanda se sarebbero state rinviate le votazioni la risposta fu: Visti i recenti fatti di cronaca, dopo un colloquio con i miei collaboratori ho deciso di spostare le votazioni avanti di una settimana in modo che la situazione si chiarisca.
Kikilia e Vairetti non poterono che esclamare il loro apprezzamento per quella frase, Kusabake ora avrebbe dovuto spostare in avanti la data per l’entrata in vigore della legge marziale, tanto più che molti ostaggi erano stati liberati.
Ostaggi liberati in modo eclatante ed in mondovisione: la Federazione aveva dato la sua prova di forza e Kusabake poteva essere solamente soddisfatto, infatti verso le 3.00 P.M. comunicò a Vairetti che la data dell’entrata in vigore della legge marziale era stata spostata al 4 settembre, salvo cambiamenti.
“Le devo dire che un po’ me l’aspettavo, sapevo che lei era un uomo intelligente e scaltro; le dirò che non mi era sfuggito il fatto che nella sua unità ci fosse la moglie di Francois Arno” disse Kusabake a Vairetti.
“In ogni caso il problema dei quattro ostaggi rimasti, mi permetta il gioco di parole, rimane. Come lei ben saprà dagli interrogatori dei terroristi catturati sembra che non siano in Pristina” fece notare Vairetti.
“Lei veda di trovarli prima di allora, inoltre l’avverto, se quei terroristi compissero altri attentati sarò costretto ad introdurre la legge marziale”.
“Perché non hanno rivendicato l’abbattimento di quel liner?”.
“Ho già posto la stessa domanda ai servizi d’intelligence, ma non hanno uno straccio di risposta sensata, poi ho guardato la lista dei passeggeri dell’aereo abbattuto e dell’altro che era loro obbiettivo…”.
“Cos’ha scoperto, se posso saperlo?” domandò Vairetti con una certa curiosità.
“Nei due aerei c’erano diversi funzionari di secondaria importanza, ma in posizione chiave nell’amministrazione di alcune grosse industrie in ritorno da un convegno, in particolare su quello di Roma, su quello diretto a Praga c’erano solo alcuni amministratori di piccole controllate: chi finanzia i terroristi ha voluto qualche cosa in cambio dei soldi. In ogni caso si ricordi che il grosso delle loro forze, da quel che sappiamo, è ancora intatto” ricordò Kusabake a Vairetti.
“Non me ne dimenticherò! Saluti” e dicendo ciò Vairetti fece il saluto militare e chiuse la chiamata; “È un coglione, ma un coglione intelligente e furbo, gliene devo dare atto” mormorò uscendo dalla tenda.
“Torna qui! SCIà!!!” strillò Carlo all’indirizzo della pecora.
“Una volta si prendevano le cose più seriamente!” esclamò divertito Vairetti mentre osservava Carlo che inseguiva la pecora rea di avere tentato di mangiare e rubato alcuni cavi (tenendoli stretti in bocca) che servivano al ragazzo, “Avremmo preso direttamente il fucile e poi: BAM, carne a cena per tutti” sogghignò divertito l’ufficiale.
Intanto il gruppo di Masinov era partito per la ricognizione, sarebbero tornati verso le 4.30-5.00 P.M., sarebbe stata una lunga ricognizione, ogni rudere andava controllato, ogni bosco andava analizzato. Di ruderi e di boschi in quella regione ce ne erano a bizzeffe.


Intermezzo: L’ultima richiesta

“Porca di quella miseria! È finito il vino!” esclamò l’anziano Sven.
“Cameriere! Cameriere!” chiamò l’anziano Carlo.
“Posso servirla?” domandò il cameriere.
“Altre due bottiglie di vino, rosso se possibile” ordinò Carlo.
“Il vino rosso, come le ho già detto, è finito, le porto del bianco” rispose il cameriere stizzito, “Che teste dure quei due!” mormorò poco distante venendo sentito da Carlo e Sven.
“Vedi? Ecco cos’è il mondo! Se non hai una carica vieni trattato peggio di una ed è per questo che è andato a rotoli” disse Sven sospirando.
“Analisi corretta, in ogni modo mi fa piacere sapere che la gente non dipenda ancora del tutto dai media, tutto sommato sta storia della mancanza di vino nero, che poi ce l’ha, mi sta’ mettendo di buon umore” aggiunse Carlo.
“La gente non è così stupida come sembra, lo sa benissimo che, oggigiorno, i media sono controllati e pilotati. Non per vantarmi ma nei nostri territori di censura manco l’ombra!” esclamò orgoglioso Sven, nei territori dei Garren/Orkaf c’era ancora la libertà.
“Evvai! Ora che hai detto questo scommetto che arriva una volante della polizia politica dei Ronah nell’intento di arrestarci, non dimenticarmi che siamo nel loro territorio. Secondo te che facce faranno vedendoci? Di certo crederanno che questa conversazione sia fatta da due turisti degli anti-rivoluzionari territori dei Garren” disse Carlo.
“Ecco le vostre bottiglie di vino”, il cameriere pose senza tanti complimenti le due bottiglie di vino sul tavolo.
“Povera Kikilia, poteva venire a vivere nei nostri territori…” sussurrò Sven diventando improvvisamente triste.
“Non voleva, preferiva rimanere qua a cercare gli assassini di suo marito e poi credo che sua volontà fosse morire dov’era nata” spiego Carlo divenendo anche lui triste.
“Almeno è rimasta in contatto con noi, le sue lettere ci hanno aiutato a tirare avanti e ci ha passato diverse utili informazioni” disse Sven.
“Già… quelle lettere, erano piene di significati che solo noi due potevamo capire, neanche Jessica mi sembra che abbia compreso alcuni passaggi…”.
“Eh già… gran belle lettere, non immagino quanto avesse rischiato nel scriverle e inviarcele”.
“Più di quanto immaginiamo” commentò Carlo riempiendo il bicchiere “almeno fossimo riusciti a capire chi erano i mandanti dell’assassinio di suo marito…”.
“Non siamo mai riusciti a scoprirli” mormorò Sven, sul suo volto era dipinta una velata rabbia, non riuscivano a collegare l’assassinio a nessun casato, avevano pensato ai Ronah, ma si era rivelata una pista sballata.
“Probabilmente i sicari erano stati inviati da qualche capo politico di una delle etnie dei Balcani, ebbe sempre molto a cuore i Balcani e per questo si fece molti nemici tra i politici del posto…” considerò Carlo.
“Si, ma guarda a caso due giorni prima…”ma Sven venne interrotto da Carlo.
“Alle volte avvengono le coincidenza più impensate”, per diversi secondi il ministro per la colonizzazione spaziale non proferì parola, “Almeno la siamo riusciti a venire a trovarla un’ultima volta”.
“Già e ho impedito anche a Jessica di incontrarla, Kikilia sarebbe stata felice di rivederla” aggiunse Sven scuotendo la testa tristemente.
“Non prendertela, non si poteva rischiare che voi due vi ritrovaste contemporaneamente in territorio Ronah e non dimentichiamoci che abbiamo già sventato un attentato di Jacob Ronah ai danni di Jessica”.
“Non dimentico, non dimentico. Se lo pesco li faccio passare le pene dell’inferno”.
“Dai, dov’eravamo rimasti? Ti ricordo che dobbiamo a passare al cimitero ad eseguire l’ultima richiesta di Kikilia” disse Carlo a bassa voce.
“Eravamo arrivati a parlare di te che inseguivi Scià”.
“Quella pecora, grande pecora, mi ricordo che corse per un’ora prima di fermarsi e come correva…”
“Com’è che la soprannominò Moammed?” domandò Sven.
“Scià, la cometa bianca; ora mi ricordo di nuovo di tutto, vecchiaia: un minuto prima non ricordi, il minuto dopo…”.
“La cometa bianca: sembra una via di mezzo tra il soprannome di Kaswal von Deikun e Anavel Gato”.
“Avrebbe messo in crisi pure loro, fidati…” assicurò l’anziano Carlo accennando un sorriso.
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« Risposta #24 il: 31 Agosto 2007, 20:22:05 »

Capitolo 20: Vairetti racconta

Agosto 28, ore 5.00 P.M…
Vairetti stava utilizzando il telefono che era stato montato nella tenda centrale del campo, ora i suoi uomini avrebbero potuto telefonare a casa senza dover percorrere chilometri, ma la prima telefonata spettò proprio a Vairetti.
“Carl, ti vedo in forma come al solito” esclamò Vairetti, la sua prima telefonata andò proprio in direzione del suo amico, in fondo sua figlia aveva rischiato grosso e la moglie di Vairetti era abituata a non sentire suo marito per settimane, se non mesi, li avrebbe telefonato poi dopo.
“Diciamo che non c’è male, la giornata di ieri, ammetto, che è stata emozionante. Mia moglie è arrivata a casa e l’ho trovata un po’ più ragionevole del solito; in quanto a mia figlia mi ha fatto prendere uno spavento che metà bastava” esclamò Carl Garren ridendo.
“E già!”.
“Piuttosto ora dov’è?”.
“È andata in ricognizione, come saprai stiamo ancora cercando i quattro ostaggi in mano ai ‘Discepoli’; in ogni caso dovrebbe arrivare a breve”.
“Bene, ne sono molto orgoglioso!” esclamò Carl Garren soddisfatto.
“La Borsa non la pensa come te” fece notare Vairetti trattenendo una risata, si riferiva alla forte flessione che avevano avuto i titoli Garren in borsa a seguito dell’azione di Jessica.
“Quei luridi figli di… guarda eh! Non farmi dire cosa penso di quelli lì! Anzi te lo dico: potrebbero andare tutti al rogo!”.
“Tutto sommato concordo: devo dire che se la Borsa bruciasse non piangerei fiumi di lacrime” rincarò Vairetti.
“Dimmi un po’, quell’Orkaf come la sta’ trattando mia figlia?” domandò Carl con voce minacciosa.
“Meglio di quanto tu possa immaginare, in pochi giorni l’ho trovato molto cambiato, molto più responsabile e maturo, inoltre dovevi vedere il colloquio che ha avuto col signor Ronah!”.
“Avevo sentito qualche cosa, racconta.”
“Ma niente di che, riconosco alcune attenuanti al signor Ronah, ma ciò non toglie che sia stato battuto da Sven; certo la missione del signor Ronah era quasi impossibile, ma non conoscendo bene tua figlia e Sven non poteva saperlo” raccontò Vairetti sinteticamente.
“Bene, bene. Quel ragazzo da come me lo dipingi è un elemento interessante…”
“Ha anche buoni amici…”
“Ottimo, quello è un elemento indispensabile” commentò Carl.
“Un ultimo appunto su tua figlia prima di passare ad argomenti seri: la Strati ha fatto un corso accelerato di calci nelle zone basse a tua figlia, ti consiglio di non farla arrabbiare. Da quel che ho visto d’ora in avanti Jacob Ronah avrà seri problemi” concluse Vairetti.
“Ahi, ahi. D’altronde questo mi rende felice, dei Ronah in meno nell’universo per il futuro”.
“Ma arriviamo alle noti dolenti, sicuramente avrai letto i giornali e saprai già tutto. Cosa ne pensi? Dalla tua posizione sicuramente hai capito meglio di noi”.
“Cosa ne penso? Che Arno pur facendovi guadagnare tempo, l’ho saputo anch’io la faccenda della legge marziale, non ha cambiato assolutamente la situazione, l’ha solo rimandata. Vedi i Ronah ora dovranno, forse e sottolineo forse, pagare di più, ma i giacimenti alla fine li avranno, il gruppo capeggiato da Arno dopo questo attacco cesserà di esistere per via delle pressioni che faranno sui componenti, quindi anche l’ultimo baluardo contro la cessione di quei giacimenti cadrà.
Inoltre c’è un altro fatto che dobbiamo tenere in considerazione: i ‘Discepoli’. A loro questo rinvio importa o no? Coloro che li finanziano saranno felici di questa situazione o meno? Questo credo che sarà un fattore importante”.
“Sta di fatto che sembra che stiano spostando gli interessi a nord, prima erano molto più incentrati nella zona di Kicevo” rilevò Vairetti.
“Alessandro, lo sai meglio di me che non importa dove si compie l’attacco, ma dove avrà effetto… Prendi Kusabake, a lui non interessa che la legge marziale sia imposta nei Balcani o a New York, a lui importa che sia imposta da qualche parte perché ciò va a rafforzare la sua posizione e i suoi interessi, tra parentesi: alla fine riuscirà a far applicare la legge marziale e sai perché? Perché lui lo vuole e questo appurato, ma ormai mi sono convinto che la vogliono pure i ‘Discepoli’, li servirebbe per rafforzarsi. Alla fine, tutti: Kusabake ed i ‘Discepoli’ ci guadagnerebbero da quella situazione” concluse Carl.
“Tutti a parte noi ed i cittadini…” mormorò l’ufficiale.
“Siete delle pedine nelle loro mani” considerò Carl.
“Fortunato te che invece puoi dirigere” sogghignò Vairetti.
“Lo sai che non mi piace questa posizione, ero molto più tranquillo e felice quando ero sotto il tuo comando. Bei tempi quelli…”.
In quel momento nella tenda entrò Jessica, dimenticandosi di chiedere il permesso per entrare: “Caporale Jessica Garren a rapporto, il tenente Masinov mi manda a dire che la ricognizione è com…” e la ragazza si interruppe vedendo suo padre al videotelefono.
“Porca Dio!” mormorò in italiano Vairetti
“Merda!” mormorò in inglese Carl.
Jessica guardò sorridendo suo padre ed il suo comandante.
“Ecco vedi…” provò a giustificarsi Vairetti.
“Avevo telefonato per sapere come stavi” mentì Carl senza riuscire ad essere convincente.
“Guardate che lo so già che vi conoscete o per lo meno ne ero quasi sicura, me l’ha detto qualche giorno fa Sven, il giorno che abbiamo assaltato il primo bunker. Si ricordava che in una delle storie che lei li raccontava era nominato un certo Carl Garren, ma non ne era sicuro, perché non aveva mai ascoltato le sue storie con attenzione” spiegò Jessica a Vairetti, “No, scusi volevo dire che Sven l’aveva ascoltata con tantissima attenzione, ma che ora non si ricordava bene” aggiunse cercando di coprire la gaffe che aveva fatto fare a Sven.
“Non c’è bisogno, lo sapevo che Sven non mi ascoltava, ha sempre considerato le mie storie come quelle di un vecchio che rimpiangeva il passato” assicurò tristemente Vairetti; in effetti, se ci pensava bene, nessuno, forse, l’aveva ascoltato mai con attenzione a parte il solo Carlo; difficilmente Vairetti riusciva a catturare l’attenzione col suo modo di raccontare.
“Ecco vedi, non te l’ho mai detto…” tentò di giustificarsi Carl, ma fu interrotto da Jessica
“Lascia stare, va bene così” rispose Jessica sorridendo, “Piuttosto come stai? E la mamma?”.
“Io sto bene e anche la mamma, sembra che abbia accettato il fatto che tu ti sposi con quel Sven” disse Carl.
“Vabbè, io vi lascio parlare. Senti Carl mi permetti di raccontare a tua figlia di Tabriz?” domandò Vairetti.
“Immagino che tu nonostante il segreto di stato tu abbia raccontato quella storia a mezzo mondo quindi non vedo come ti potrei negare questa soddisfazione”.
“Grazie Carl. Jessica! Ti aspetto nella mia tenda così ti racconto quella storia e chiama anche Sven, che così, magari, questa volta mi ascolta, Kikilia e Carlo. Già che ci sei chiama anche Miguel e Moammed che questa storia ancora non la conoscono” sogghignò Vairetti; a sua moglie avrebbe poi telefonato dopo cena, almeno non l’avrebbe disturbata mentre era al lavoro.
“Certamente!” assicurò Jessica.
Una mezz’oretta dopo, nella tenda di Vairetti si radunarono i quattro fatti chiamare da Jessica.
“Allora, da dove comincio?” mormorò pensieroso il comandante.
“Dall’inizio” suggerì Kikilia in modo lapalissiano.
“Giusto, allora sedetevi ed ascoltate”
“Che noia” pensò Sven.
“Lo so cosa stai pensando Sven! Ma oggi ascolti” esclamò Vairetti, “La tua futura moglie non ha mai ascoltato questa storia e da quel che so tu non mi hai mai ascoltato, quindi mettiti comodo…”

11 gennaio 208 N.C., ore 11.00 A.M., Tiblisi, piazza centrale…
“Presto riprendi! Riprendi! Chiedete la linea alla sede centrale!” urlò l’anziana giornalista, dietro di lei si alzava un grosso fumo nero, un hotel di lusso della città stava andando a fuoco e la gente al suo interno si era radunata sul tetto in attesa di essere salvata; in quei giorni su Tiblisi imperversava una delle più forti nevicate degli ultimi sessant’anni.
“Ci stiamo provando!” rispose la cameraman, una giovane ragazza appena assunta, dopo alcuni anni di lavoro precario.
“Spostatevi da li! Intralciate i soccorsi!” urlò un giovane soldato con accento italiano che aveva fatto entrare la sua unità (che aveva base vicino alla città e che in quel momento si trovava in licenza) in azione per salvare le persone, era Vairetti.
La giornalista riuscì infine a prendere la linea:
Qui è Jezinka Pikalsy, attualmente mi trovo davanti al Grand Hotel Liberty di Tiblisi, l’hotel è stato attaccato da un’autobomba che è esplosa nella reception, al momento non si hanno notizie di morti. Come potete vedere un grosso incendio è divampato ai primi piani, molte persone sono fuggite sul tetto nel tentativo di essere salvate, ma non si vedono ancora elicotteri di salvataggio, probabilmente la bufera di neve che imperversa sulla regione impedisce ai mezzi di decollare.
Come potete vedere i pompieri e volontari accorsi sul posto stanno tentando di domare le fiamme, purtroppo solo un’autopompa ha potuto farsi largo tra le strade piene di neve, il tempo stringe e se non giungono presto rinforzi per quelle persone la sorte è spacciata.
Vairetti stava chiamando (o meglio: obbligando, cosa che il suo fisico robusto ed il metro e novanta d’altezza favoriva) tutte le persone della zona a spegnere l’incendio e se ne fregò che la giornalista fosse in diretta…
…lei al posto di parlare vada ad aiutare i miei uomini! Mi sembra che un secchio d’acqua dovrebbe riuscirlo a sollevarlo!
Ma io…
Niente ma, la ci sono delle persone! E mi sto rivolgendo anche alla sua cameraman! Sono più importanti le vite di quei poveretti che una stupida diretta!
Non è il mio mestiere spegnere gli incendi
(urlò la cameraman con tono fermo).
Vairetti mollò uno schiaffo alla cameraman, urlandole contro di stare zitta e fare quello che aveva ordinato.
Alla fine l’incendio grazie all’autopompa e all’intervento del plotone di Vairetti (senza contare tutti i ‘volontari’) riuscì ad essere spento, per fortuna non ci furono vittime, solo un paio di feriti gravi ed una ventina di persone intossicate.
La reazione del comando federale fu durissima, dopo circa un mese fu individuato il posto dove si nascondeva il comando della cellula terroristica: si trovava a Tabriz in Iran e le alte sfere appoggiarono il piano di un giovane comandante: Hiroito Kusabake.
“Quei terroristi, credevano che colpendo lontano non li avremmo identificati. Poveri schiocchi” esclamò Kusabake, comandante della compagnia di cui faceva parte Vairetti, cui stava spiegando la situazione; i due erano nella sala di raccolta informazioni della 31a brigata forze speciali, davanti ad un grande schermo orizzontale che mostrava la mappa della città di Tabriz.
“Si, ma noi che c’entriamo? Tabriz è una grande città e la loro polizia dispone di un gruppo di pronto intervento” fece notare Vairetti.
“E allora?”.
“Allora direi che noi non serviamo” obbiettò Vairetti, “Inoltre quelli del gruppo di pronto intervento della città la conoscono molto meglio di noi, di sicuro hanno un’efficienza maggiore di noi nel combattimento in quel posto!”.
“Ma si! Facciamo come dice lei! Lasciamo i terroristi in mano di quegli stupidi della polizia!”.
“Prego?”: Vairetti non comprendeva la reazione del suo superiore.
“Ce ne occuperemo noi Vairetti! L’esercito federale darà una splendida prova di efficienza e utilità annientando quei terroristi”.
“Mi scusi, ma per far quello che dice lei ci vorrebbe il consenso del generale Hersad” replicò Vairetti; per tutta risposta Kusabake li mostrò un documento del generale Hersad che dava pieno consenso a qualsiasi iniziativa antiterrorismo nel raggio massimo consentito dai mezzi della 31a brigata.
“Ha autorizzato noi e solo noi: la nostra compagnia. Non crede anche lei che sarebbe un bel modo per dar lustro a questa compagnia?”.
“Io credo che sarà un modo per finire nella merda, se mi permette” ribatté Vairetti.
“La pensi come vuole, tra mezz’ora decolliamo per Tabriz, in questo file ci sono tutte le informazioni che servono” disse Kusabake porgendo una memoria esterna ultracompatta.
“Come così? Senza preparazione, senza studio della situazione?”, Vairetti era sempre più stupito.
“Certo, intanto come potrà vedere sarà una prova di forza, a noi basterà atterrare in massa davanti alle loro posizioni che si arrenderanno a noi”.
“Una prova di forza in una popolosa città? E i rischi per i civili dove li mette?”.
“Ve l’ho detto non ci sarà neanche bisogno di combattere, si renderanno conto di essere in inferiorità numerica e si arrenderanno. Guardi, sembra che si nascondano in questo quartiere, faremo un paio di passaggi a bassa quota e poi ci caleremo a tutta velocità scendendo dai tilt-rotor veloci come non mai, capiranno che non hanno possibilità di vittoria” spiegò soddisfatto Kusabake, “Inoltre con voi sarà aggregata una troupe della TV, riprenderà il tutto, quelle immagini dovranno servire da monito”, detto ciò fece uscire Vairetti dall’ufficio.
“Per me neanche se Cristo in persona ci mette una mano sopra riusciremo a fare un’azione pulita” pensò Vairetti dirigendosi verso il dormitorio del suo plotone, doveva far preparare gli uomini.
Vairetti stava percorrendo un lungo corridoio quando incontrò uno dei suoi uomini, “Ehi Carl! Lascia stare quella ragazza e vieni con me, partiamo in missione!” urlò Vairetti all’indirizzo di Carl Garren che ci stava provando con una della logistica.
“Ma…” provò a ribattere Carl.
“Niente ma, è un ordine. Intanto non te la dà” concluse Vairetti accennando una risata facendo arrabbiare Carl.
Alle ore 9.30 P.M., del 17 febbraio 208 N.C., dalla base di Tiblisi decollarono i tilt-rotor UV-92 con a bordo la 3a compagnia della 31a brigata forze speciali.
“Alessandro ti vedo teso” era la cameraman a cui Vairetti aveva tirato uno schiaffo: Ayumi Shigemisu, originaria dell’Hokkaido, i due si erano già chiariti, non valeva la pena di mettersi a litigare durante una missione di guerra.
“Ce l’hai l’elmetto?” domandò l’allora sergente Vairetti.
“Si, perché?”.
“Perché, Kusabake è un coglione intelligente e quindi pericoloso: in intelligenza e opportunità politica li do 10, dal punto di vista militare li do 2. Ci metterà tutti nei guai”.
“Speriamo in bene allora” augurò la cameraman.
“Ma la tua superiore, quella Piskalky, Pisaly…” domandò Vairetti.
“Pikalsy”.
“Come mai non è venuta?”.
“Non se la sentiva, credo che avesse troppo paura”.
“Ahah, tipico. Sei mai stata in mezzo ad un combattimento?” chiese Vairetti con una certa premura.
“No, non ancora per lo meno” rispose Ayumi sbiancando leggermente, non aveva ancora pensato a quella eventualità.
“Morti? Mai visti?”.
“Nessuno e spero di non vederne”.
“Lo speriamo tutti, ma alla fine nel nostro mestiere siamo costretti a vederne e a farne, ovviamente” spiegò Vairetti con sincerità.
“In pratica sei un assassino” lo definì freddamente Ayumi.
“No, quello mai, noi non siamo assassini. Io ho tre regole a cui costringo il rispetto me e i miei uomini, regole che credo che siano quelle che ci distinguono dagli assassini e che ci garantiscono la sopravvivenza”.
“Posso saperle?” domandò Ayumi.
“Prima: agire, bisogna agire, chi si ferma troppo a pensare è perduto; per spiegare ciò spesso uso il concetto dell’asino di Buridano.
Seconda: credere, credere in quel che si fa, nei propri ideali, chi smette di credere è perduto.
Terza: i civili prima di tutto, piuttosto far fallire la missione ma non sparare se si rischia di colpire dei civili, se non facessimo ciò saremmo assassini; c’è solo un caso in cui questa regola può saltare: quando i nemici stiano per fare uso di armi NBC o in ogni modo veramente distruttive, allora in quel caso posso accettare che si metta in pericolo, notare mettere in pericolo, non uccidere, i civili; l’eventuale morte di due o tre civili potrebbe in quel caso salvarne due o tre milioni.”
“Regole semplici…”
“Ma proprio per questo facili da comprendere e applicabili” aggiunse Vairetti anticipando la cameraman.
I tilt-rotor arrivarono velocemente presso Tabriz, il clima non era dei migliori, forti venti, pioggia e neve, visibilità ridottissima (non oltre i duecento-trecento metri) e di notte per di più: i velivoli procedevano faticosamente e solo grazie ai loro strumenti.
“Comandante Vairetti! Tra cinque minuti siamo in zona di operazione!” comunicò il copilota del UV-92.
“Ok! Uomini controllate l’equipaggiamento e settate la mimetica in tipo 6!” urlò Vairetti al suo plotone composto da nove uomini, lui compreso.
Tutti i suoi uomini risposero di sì e indossarono l’elmetto e settarono la mimetica per il combattimento urbano in luoghi aridi.
“Ehi! Alessandro! Di un po’! Perché dobbiamo entrare noi in azione?” domandò Carl Garren.
“Chiedilo a Kusabake”.
“Kusabake potrebbe andare a farsi infilare un palo dove non batte mai il sole, ecco cosa penso! Per una volta che riuscivo a fare colpo su una ragazza” esclamò Carl aprendo le braccia e sbuffando in segno di insoddisfazione.
“Non prendertela, però ti posso fare un appunto?” chiese Vairetti con un fare divertito.
“Certamente”.
“Perché non pubblicizzi un po’ che sei il figlio di Herald Garren? Se lo facessi sapere in giro le donne cascherebbero ai tuoi piedi molto più facilmente…”.
“Perché ora non cascano ai miei piedi?”.
“Si quando li fai lo sgambetto” sogghignò Vairetti.
“Ridi ridi” ribatté Carl contrariato.
“Ehi Ayumi, ricordati di non allontanarti mai da me e fai sempre quel che ti dico, inoltre cerca di non essere di intralcio” si raccomandò Vairetti alla ragazza.
“Se no cosa fai? Li dai un altro schiaffo?” domandò divertito Carl, tutto il plotone trattenne le risate.
Vairetti fece finta di non sentire e si voltò dall’altra parte.
Intanto i mezzi erano giunti sopra al quartiere dove sembravano essersi nascosti i terroristi, il plotone di Vairetti avrebbe dovuto, in particolare, arrestare un imam che risiedeva li, a due passi dalla moschea.
I velivoli dopo i due passaggi sul quartiere sbarcarono gli operatori speciali nei punti designati, questi completarono velocemente l'operazione arrestando tutti i loro obiettivi, la missione sembrava completata con successo.
“Per fortuna è filato tutto liscio” mormorò Vairetti vedendo il suo velivolo che si apprestava ad imbarcarli.
Ma mentre i velivoli stavano rallentando per recuperare gli operatori un missile partì da un palazzo e colpì uno dei velivoli.
“Interrompere il recupero degli operatori, guadagnate quota! Qui è Archangel (nome in codice di Kusabake, NdR)! A tutti gli uomini disponibili dirigersi verso il luogo dell’abbattimento, creare una cintura di sicurezza attorno al velivolo e recuperare eventuali superstiti. Plotone Golf il velivolo è stato abbattuto vicino alla vostra posizione, prendete il controllo del palazzo 253 e del suo tetto per coprire le operazioni di evacuazione”.
“Qui Golf 1 (Vairetti, NdR) cosa dobbiamo fare con i prigionieri?”.
“Portateli con voi, presto arriverà la polizia, li consegneremo a loro”.
“Roger!”.
I plotoni eseguirono gli ordini di Kusabake, una cintura di sicurezza fu approntata attorno al velivolo abbattuto in mezzo ad un viale e i corpi dei tre membri dell’equipaggio furono estratti dal velivolo, ma quello era solo l’inizio.
Nel frattempo arrivò anche la polizia e delle ambulanze per portare via i feriti, ma appena arrivarono una grossa folla si assiepò sulla strada reclamando la liberazione delle persone arrestate, i due lati della strada erano bloccati, da un lato la folla avanzava, dall’altro aveva eretto delle improvvisate barricate con auto e copertoni in fiamme.
“Ora siamo nella merda” affermò Vairetti con enfasi.
“Ci sono gli elicotteri, possono usare quelli per portarci via da qui. No?” domandò Ayumi ingenuamente.
“No, non abbiamo individuato ancora chi ha lanciato il missile, potrebbero esserci altre persone pronte a sparare alla volta buona. Non si può rischiare” spiegò Carl mentre con il suo fucile di precisione controllava i tetti di alcuni palazzi li vicino.
“Individuato niente?” domandò Vairetti.
“Niente, direi che hanno messo alcuni civili di guardia, ma di armi manco l’ombra…” disse Carl.
Intanto sulla strada la situazione si faceva tesa, la polizia aveva tentato si sfondare il muro umano di persone, ma per tutta risposta dei colpi erano partiti dalla folla e ad un auto della polizia, mediante l’uso di molotov, fu dato fuoco.
Kusabake non era contento e osservava la scena dai sistemi di visione infrarosso a lungo raggio.
“Qui e Archangel se i civili si avvicinano ancora fate fuoco, comunicateglielo, qualsiasi azione compieranno d’ora in poi sarà solo a loro rischio e pericolo” ordinò via radio.
Intanto i rivoltosi avevano tirato fuori anche un vecchio WS-5 che si era messo alla testa della folla.
“Sta scherzando Kusabake, vero? Voi non farete fuoco su dei civili!” urlò Ayumi sgomenta sentendo la comunicazione radio.
“Noi no, ma non so quelli la sotto…” mormorò Vairetti, “Ok, qua bisogna tentare di spaventare i civili. Carl credi di riuscire a colpire in tutta sicurezza la centralina di controllo del WS?” .
“Un gioco da ragazzi, anche un principiante con una pistola mitragliatrice per il combattimento ravvicinato non sbaglierebbe il colpo: 150 metri, una scatola di un metro per un metro, c’è giusto un po’ di vento, ma vista la distanza non influisce più di tanto”.
“Sei sicuro al 101% di far centro?” domandò Vairetti.
“Certamente, com’è vero che mi chiamo Carl Garren. Ti posso assicurare che visto da dove sparo anche se il colpo mancasse il bersaglio non colpirebbe nessuno”.
“Ok, fai fuoco tra venti secondi”.
“Venti secondi? Me ne bastano due”.
“Si, ma così lasciamo il tempo a quelli di cambiare idea, se si può evitiamo di sparare”, la folla era a circa 200 metri.
“Roger!”.
La cameraman si piazzo con la sua telecamera per riprendere la scena, Vairetti al suo fianco impugnò il suo fedele binocolo; la folla accelerò il passo, ormai tra il relitto del velivolo abbattuto e i manifestanti c’erano poco più di 100 metri.
“Carl, ancora cinque secondi!” gridò Vairetti: sperava che la folla cambiasse idea.
Ma dopo due-tre secondi che Vairetti disse ciò Kusabake ordinò via radio di sparare, nello stesso momento dalla folla partirono alcuni colpi in direzione della polizia e dei soldati federali sulla strada, in un attimo si accese un violentissimo conflitto a fuoco.
Carl fece fuoco rendendo inutilizzabile il WS-5, ma ciò non bastò a fermare il conflitto a fuoco che proseguì per circa un minuto, sulla strada rimasero i corpi di due soldati federali e di circa una ventina di civili.
Dopo circa dieci minuti gli MV-92 portarono via gli operatori speciali.
“Qui Archangel a Golf 1. Sai cosa devi fare!” ordinò Kusabake con tono carico di ira, il suo piano, il suo splendido piano era miseramente fallito.
“No, non lo so” rispose Vairetti, in realtà sapeva cosa voleva Kusabake: nessun video sull’accaduto sarebbe dovuto trapelare.
“Golf 1, sai benissimo cosa voglio!” sbraitò adirato.
“Mi dispiace credo che ci sia qualche interferenza, me lo comunicherà successivamente”.
“Vair…” ma Vairetti spense la radio, la sua carriera nelle forze speciali poteva dirsi conclusa, conoscendo Kusabake.
“Ora cosa farai?” domandò Carl, aveva capito benissimo qual era il destino di Vairetti: un promettente ufficiale che fino a quel momento sarebbe potuto arrivare al grado di generale senza troppi intoppi.
“Un mio amico all’accademia di Roma mi aveva detto che stavano cercando un esperto per la materia di ‘Tattica e Navigazione militare’, mi aveva chiesto se ero disponibile. Sai ero uscito con il massimo in quella materia…” spiegò Vairetti accennando un sorriso.
“Non si butti giù così, lo sa benissimo che Kusabake ha torto! Basterà una commissione di inchiesta…” disse Carl con tono deciso.
“E tu credi che basterà una commissione di inchiesta?” ribatté Vairetti guardando negli occhi il suo amico.
“No, con Kusabake no” rispose Carl laconicamente, tutta la sua determinazione scomparve di fronte all’evidenza del reale potere ed influenza di Kusabake.
“Mi dispiace” disse Ayumi, aveva capito anche lei che per Vairetti era la fine della sua esperienza nelle forze speciali.
“Non dispiacerti, piuttosto per il video non cercare di opporre resistenza quando vorranno togliertelo, è inutile” raccomandò Vairetti.
“Perché non me l’hai tolto tu? Intanto se dovevano togliermelo tanto valeva che lo facessi tu, ti saresti risparmiato…” ma Ayumi venne interrotta da Vairetti.
“Non mi piace macchiarmi di certe cose. Guarda questo coltello! Con questo ho sgozzato tante di quelle persone che neanche immagini, però non ho mai tradito ciò in cui credo, se capisci cosa intendo… non vedo perché dovrei farlo ora”.
“Capisco” rispose la cameraman.

28 Agosto 240 N.C., ore 6.30 P.M., campo base nei dintorni di Pristina…
“Arrivati alla base, Ayumi fu costretta a consegnare il video, ne aveva anche fatto una copia e l'aveva nascosta in una tasca a doppio fondo, ma fu scoperta con accurati controlli.
In quanto a me ebbi un faccia a faccia con Kusabake, mi riempì di lodi, ma mi obbligò ad una scelta: abbandonare l’esercito federale o passare a ruoli secondari.
Mi ricordo sempre quel che mi disse: ‘Lei è un uomo intelligente, ma non sa scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è meglio. Questo può essere di ostacolo’, in quelle parole era rinchiuso tutto il suo modo di agire” spiegò Vairetti.
“Quindi dopo questo fatto divenne professore all’accademia?” domandò Jessica.
“Esatto”.
“Come mai è ritornato in prima linea?” chiese ancora la ragazza.
“Diciamo che nel tempo mi sono costruito i giusti contatti e poi mi ero stancato delle polverose aule, quindi misi i miei superiori davanti ad una scelta: o mi mandavano via dall’esercito federale o mi mandavano in prima linea, ero troppo prezioso per essere mandato via, non per vantarmi ma…”.
“Il fatto che mio padre facesse il tiratore scelto mi ha lasciato di stucco, appena deve sforzare la vista si mette degli occhiali spessissimi! Lo dovrebbe vedere a caccia!”.
“Lo visto, lo visto! Un paio di battute di caccia con Carl le ho fatte, con lui le battute di caccia sono uno spettacolo, se non lo si vedesse con quale precisione spara non li darei un cent bucato sulla sua mira. Sai al tempo aveva una vista degna di un’aquila, poi con la vita d’ufficio cosa vuoi…”.
“Un’ultima domanda che c’entra poco con il resto: come mai questa operazione si chiama Athena?”.
“I nomi delle operazioni militari spesso non hanno significato o ne hanno poco, se proprio vuoi darli un senso diciamo che ho dato questo nome in onore di quella dea dell’antica Grecia, mi è sempre andata a genio” spiegò Vairetti accennando un sorriso.
“Ora ricordo perché questa storia non l’ho mai ascoltata con attenzione! C’è solo un WS!” esclamò Sven ridestandosi dal torpore in cui era caduto ascoltando (si fa per dire) per l’ennesima volta la storia di Vairetti.
“Non ti va mai bene niente, sei insopportabile quando fai così!” asserì Vairetti scuotendo la testa sconsolato, “Si può sapere perché sei tanto fissato con i mobile suit?”.
“Da piccolo vidi ‘Top Beam’…” rispose Sven serissimo.
“Quel film è una enorme…”.
Ore 8.30 P.M., dopo cena, tenda centrale…
“Finalmente ti fai sentire! L’unico modo per vederti è stato in TV”.
“Dai cara, lo sai che non mi piacciono molto i telefoni!” era Vairetti che stava rispondendo a sua moglie, al videotelefono.
“Ciò non toglie che tu possa farti sentire un po’ più spesso!”.
“Va bene Ayumi d’ora in poi mi farò sentire un po’ più spesso”.
“Ci conto, quand’è che ritorni a casa? Nostro figlio presto si laureerà, non puoi mancare alla sua laurea!”.
“Appena avrò finito con questa dannata operazione antiterrorismo volerò da voi; piuttosto, non mi hai ancora detto come stai!…”
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« Risposta #25 il: 31 Agosto 2007, 20:24:18 »

Capitolo 21: Informazioni

Agosto 29, ore 2.00 A.M., campo base…
Kikilia non riusciva ad addormentarsi: Jessica si era rimessa a parlare nel sonno.
“Il vestito deve essere più lungo e le tartine così non mi piacciono…” “I fiori mi piacciono disposti così…” “Sven, Sven, Sven…” “Si, lo voglio” questo continuava a ripetere nel sonno Jessica.
“Questa pensa già al matrimonio” pensò Kikilia coprendosi la testa con il cuscino, per via del brusio di Jessica non riusciva a prendere il sonno e come se non bastasse c’era anche una fastidiosa mosca che continuava a girare.
“Jessica? Jessica?”, ma la ragazza non si svegliava, “JESSICA!” sbraitò Kikilia e vedendo che la ragazza non dava segno di svegliarsi la afferrò scuotendola fortemente.
“Che c’è? Che succede!” bisbigliò la ragazza sbadigliando vistosamente.
“Smettila! Parli nel sonno!”.
“Scusa non lo faccio più” promise Jessica riaddormentandosi.
“Speriamo in bene” mormorò Kikilia, ma dopo neanche un minuto Jessica si rimise a parlare: come se non si fosse mai svegliata.
“Il vestito deve essere semplice, ma bello… bello” “Sven è molto gentile” e via così riprendendo a parlare ininterrottamente.
Kikilia allora decise di uscire dalla tenda ed andare a dormire nel suo MS: “Va bene che volevo fare l’unità dei pazzi, ma a tutto c’è un limite” esclamò a bassa voce salendo nel MS.
Intanto sulle alture li vicino…
“Cosa vedi?”.
“Sembra che tutti i mezzi siano nel campo, hanno ricevuto rinforzi”.
“Merda!”.
“Inoltre un pilota sta salendo su un MS!”
Due persone stavano osservando il campo di Vairetti per scoprire novità, ma non erano gli unici sulle alture: un plotone guidato da von Kettel stava, a poche centinaia di metri di distanza, compiendo un pattugliamento alla ricerca di eventuali sentinelle nemiche.
“Comandante! Comandante! Due tracce di calore a ore 8 a circa trecento metri!” bisbigliò Marcel.
“Uomini?” domandò von Kettel.
“Uomini” affermò Marcel.
“Ok, Suichi, Pierluigi, Paul con me, dobbiamo circondare e catturare quei due. Tutti gli altri continuate il pattugliamento alla ricerca di eventuali altri sospetti”.
I soldati fecero un gesto affermativo e continuarono la loro missione, Suichi, Pierluigi, Paul e von Kettel si avvicinarono ai due di soppiatto, ma quando erano ormai a pochi metri dai due uomini Suichi calpestò un ramo spezzandolo: i due si accorsero subito che qualche d’uno si avvicinava.
“Via! Via!” urlò uno dei due.
Uno dei due uomini fu catturato, ma uno, tirando un potente pugno in faccia Suichi riuscì a sfuggire; von Kettel non perse un attimo e chiamò via radio tutte le unità disponibili per ricorrere il fuggitivo, anche la radio di Kikilia era accesa.
“Qui è Condor 1, sono pronta all’inseguimento, in che direzione è fuggito?”.
“Sembra che si stia dirigendo a sud-est. Lo voglio vivo!” gridò von Kettel mentre veniva trattenuto dai suoi uomini: sembrava che volesse riempire di botte il povero Suichi, il ragazzo aveva già un occhio nero grazie all’uomo in fuga, intenzione di von Kettel era renderglieli neri tutte e due.
Il Jegan III K modificato di Kikilia subito si mise alla ricerca, ricerca che fu semplice grazie all’uso della potente camera termica del mezzo, in meno di tre minuti il fuggitivo fu individuato e in altri trenta secondi il fuggiasco fu messo di fronte alla scelta: pallottole del gatling da 105 o sedersi tranquillo sulla mano del Jegan sotto la minaccia del fucile d’assalto di Kikilia.
L’uomo scelse intelligentemente: sedersi sotto minaccia sulla mano del Jegan.
Vairetti, svegliato da una sentinella che l’aveva avvertito di quel che era successo, aveva fatto suonare l’allarme e tutti i militari si svegliarono di soprassalto scendendo giù dalle loro brandine e imbracciando i fucili.
“Non ci lasciano neanche dormire!” esclamò Miguel contrariato.
“Concordo” aggiunse Sven immergendo velocemente la faccia in una bacinella d’acqua fredda.
“Quante storie, in Cina Settentrionale sono stato giorni senza chiudere occhio!” sbraitò Masinov.
Ma i militari non fecero in tempo a entrare nei loro mezzi o a radunarsi per contrastare eventuali attacchi che l’allarme rientrò, il Jegan di Kikilia e von Kettel rientrarono alla base con i loro prigionieri, gli unici che Vairetti tenne svegli furono proprio Kikilia, von Kettel e in più Masinov, dovevano presenziare all’interrogatorio dei due, Vairetti chiese anche a Carlo se voleva rimanere a presenziare agli interrogatori, ma Carlo sbadigliò vistosamente e rispose che sarebbe stato per un’altra volta.
Vairetti fece uscire un altro plotone in ricognizione attorno alla base e mandò due carri a pattugliare le principali strade della zona.
I quattro entrarono nella tenda, Vairetti decise di interrogare per primo il più anziano dei due prigionieri, quest’ultimo venne accompagnato nella tenda da un fante e venne fatto sedere su una sedia.
“Nome, cognome, data di nascita e generalità varie” interrogò Vairetti prendendo in mano uno schermo e cominciando a compilare un documento.
Il prigioniero non proferì parola.
“Parla!” ordinò con Kettel con il suo marcato accento tedesco coloniale che incuteva un leggero timore.
“Hermann Fischer, 3 aprile 198 N.C. side 1, vedovo” rispose il prigioniero con un accento ancora più spiccato di quello di von Kettel.
“Per chi lavori? Helmut?” domandò Vairetti.
Il prigioniero di nuovo non proferì parola.
“Lo prendo come un si” sibilò l’ufficiale di origini italiane, “Qual’era la vostra missione? Raccogliere informazioni su di noi?”.
“Voi non avete niente contro di me, non avevo armi, stavo solo osservando tranquillamente la zona. Poi i vostri uomini ci hanno spaventato e siamo scappati” si giustificò il terrorista.
“Devo andare a prendere la pecora?” domandò Kikilia al suo superiore.
“No, niente metodi medioevali” rispose perentorio Vairetti, “Comunque direi che abbiamo già due capi di imputazione: atteggiamenti sospetti attorno a basi militari e spionaggio. Dovrebbero fare…  dovrebbero fare…”
“Direi che 2 anni di carcere non glieli toglie nessuno, ovviamente dopo rimarrà sorvegliato vita natural durante” delucidò Kikilia.
“Si dimentica che lui e il suo amico hanno aggredito uno dei miei uomini e hanno tentato la fuga” si intromise von Kettel.
“Giusto!” esclamò Vairetti, “Caro Hermann la situazione si mette male per te… perché non ci dici subito tutto e facciamo prima?”.
“A voi non dico proprio nulla…”.
“Allora ammetti di avere qualche cosa da dire!” obiettò Vairetti.
“Io non dico nulla…” proseguì il prigioniero, “E voglio un avvocato!”.
“Von Kettel ma questo tizio non l’avevamo invitato a prendere un tè con noi? Non mi sembra che sia nostro prigioniero!” esclamò Vairetti sogghignando.
“Infatti, lo stavo per dire anch’io!” affermò von Kettel beffardo.
“Senta su! Qua siamo delle bravi persone, lei ci dica quel che sa e vedremo di non farla sbattere in carcere troppo a lungo. Che ne dice?” propose Vairetti.
“Non dico niente” rispose il prigioniero.
“Von Kettel? Se vuole pensarci lei…”.
“Molto volentieri…” rispose von Kettel.
Von Kettel si avvicinò a Hermann con fare minaccioso, ma allo stesso tempo con un atteggiamento più vicino a quello di uno scienziato che di un brutale assassino “Deve sapere che dopo attente ricerche ho scoperto che un mio avo era in servizio nelle SS reparto interrogatori, dopo altre ricerche ho trovato alcuni documenti da lui scritti su come far parlare i prigionieri. Sa? Sono molto interessanti, vuole sapere cosa dicevano di bello?”: von Kettel mentiva, ma sapeva essere piuttosto convincente ed in effetti la divisa delle SS sarebbe donata molto all’anziano ufficiale…
“Voi federali non potete usare torture contro prigionieri, lo sapete meglio di me…” affermò Hermann sicuro, sicurezza che svanì nel giro di pochi secondi quando vide von Kettel afferrare una borraccia e alcune pinzette.
“Uno dei metodi era derivato da quello famoso della goccia d’acqua, solo che la goccia d’acqua al posto di cadere sulla testa cadeva sugli occhi, a volte pare che venisse usata anche dell’acqua con sostanze irritanti di vario tipo, purtroppo non avendo con me le sostanze irritanti suddette ve lo dovrò mostrare solo con l’acqua con del detersivo, lo so che non è ricostruzione storica accurata, ma cosa vuole…”, dicendo ciò von Kettel costrinse il prigioniero ad allargare le palpebre fissandogliele in modo che stessero aperte, l’ufficiale eseguiva il lavoro con fredda e meticolosa precisione, faceva rabbrividire.
“Aspetti, in fondo siamo uomini no? Discutiamone…”: il prigioniero credette che von Kettel stesse per fare davvero (in effetti bisogna però ammettere che anche Vairetti, Kikilia e Masinov avevano avuto la stessa impressione e nella loro testa balenò un’idea: forse la storia di quell’avo aveva un fondo di verità?).
“Volentieri, sei uno degli uomini di Helmut von Deikun?” domandò Masinov, era giunto il suo turno.
“Si, si, ma vi prego allontanatemi quella borraccia e toglietemi quelle pinzette!”: von Kettel aveva continuato il suo lavoro come se niente fosse.
“Dai Klaus, smonta quell’affare prima che cominci a scendere l’acqua, credo che non ce ne sia bisogno” ordinò Vairetti.
In una tenda vicina alcuni altri militari stavano intanto interrogando il membro più giovane che però non crollava, ma come intuissero gli interroganti: non sapeva niente, sapeva solo chi era Helmut von Deikun (personaggio al quale tesseva lodi, intercalandole con insulti ai federali).
Hermann lentamente cominciò a parlare, Masinov li mollò anche un paio di schiaffi per “Sgranchirti la bocca” come ebbe modo di urlare il caucasico.
“Dov’è la tua base! Diccelo! È l’ultima volta che te lo chiedo!” sbraitò Masinov; ma il terrorista su quel punto non crollava, “Mi stia a sentire bene! O mi dice dov’è la base o per lei sono guai! Chiaro?” sbraitò ancora con la poca voce che li rimaneva.
“Senta Vasily, lascia provare me” chiese Kikilia.
“Fa pure, se continuo ancora un minuto lo riempio di botte quel cretino!” borbottò Masinov contrariato dal fatto che non fosse riuscito a far parlare il terrorista.
“Senta Hermann ho appena controllato i suoi dati, lei era sposato e aveva due figli. Sua moglie e i suoi figli sono scomparsi recentemente, ma non ci sono dati su dove e come sono morti. Me lo vuol dire lei?” chiese Kikilia delicatamente.
Ma il terrorista guardò male la donna.
“La prego me lo dica” pregò Kikilia.
“Che diamine di metodo di interrogatorio è questo? Facciamo ridere i polli!” mormorò Masinov a  Vairetti.
“No, stia a vedere, potrebbe funzionare” rispose Vairetti a braccia conserte.
“Perché vi interessa?” domandò il terrorista a Kikilia.
“Mi interessa, ho letto che i suoi figli avevano uno 5 e l’altro 8 anni, come mio figlio. Voglio sapere come sono morti”.
“L’avete uccisa voi federali e con lei i miei figli. Luridi bastardi che non siete altro. E ora mi venite anche a chiedere come sono morti” sibilò a denti stretti Hermann.
“Me lo dica! Io non so come è morta vostra moglie e i vostri figli!” domandò Kikilia sempre molto delicatamente.
“Voi apriste il fuoco contro la folla, mia moglie e i miei figli stavano solo tornando a casa li vicino” il terrorista stava trattenendo le lacrime.
Queste parole fecero sussultare Vairetti, da quel che sapeva era dal triste giorno di Tabriz che soldati federali non aprivano il fuoco contro dei civili: “Scusi, ma dove e quando? Sulla loro scheda non c’è scritto niente e da quel che mi risulta è da trent’anni che non avvengono incidenti simili e vista la sua età…”.
“Il 12 gennaio di quest’anno a Haomen nella Cina Settentrionale, sapete, io sono un tecnico minerario ed ero li già da diversi anni per lavoro… quando sono arrivato stavano portando via i morti, riempivano le carriole tanti ce ne erano, tra quelli c’erano…” il terrorista si interruppe cominciando a piangere.
“Kusabake, capisco…” mormorò Vairetti, in quel periodo Kusabake era al comando delle truppe in Cina Settentrionale, era stato inviato per via di alcune milizie terroristiche che si erano formate nella regione; Vairetti improvvisamente alzò la voce, quello era il momento buono “Mi stia bene a sentire, se non mi indica dove si trova la base del vostro gruppo ci saranno altre morti. Il generale che dirigeva le operazioni la in Cina ora è venuto qua a dirigere le operazioni anti-guerriglia. Se noi non riusciamo a liberare i nostri commilitoni e ad annientare il vostro gruppo entro pochi giorni quel generale proclamerà la legge marziale e avrà pieni poteri! Se non vuole che muoiano altri innocenti la prego di dirci dove si trova quella base!”.
“Io non posso…” mormorò il terrorista continuando a piangere.
“Apra quelle orecchie e quegli occhi! Lei piange la morte dei suoi figli e di sua moglie, però non ha esitato ad entrare in gruppo che ha ordito la distruzione di un liner pieno di gente innocente. Su quel liner ci poteva essere la vostra famiglia se fosse stata  ancora viva! Se ne rende conto o no? Se ne rende conto o no che c’erano dei bambini come i suoi su quell’aereo? Cos’è? Vuole annientare il mondo per vendicarsi?”
“Io, io…”.
“Lei non è altro che un poco di buono, che ha preso la prima motivazione che le è capitata per unirsi a Helmut! Dico bene? A lei non importava niente della sua famiglia, vero?”.
“Stia zitto…” urlò il terrorista in risposta a Vairetti.
“Allora se vuole dimostrarmi che ho torto mi indichi dov’è la vostra base su questa cartina” ordinò Vairetti.
Il terrorista esitò un attimo, poi indicò un punto sulla mappa 30 Km a nord di Kicevo, in una zona montagnosa, lontana dalle strade principali.
“In quella zona c’è una piccola serie di fortificazioni della 1a Guerra Coloniale, avvolte dalla vegetazione, ma ancora integre e utilizzabili. Inoltre da quel che so ci sono un paio di hangar interrati costruiti in gran segreto di recente, ma io in quella base ci sono entrato tre mesi fa una volta sola per incontrare Helmut al momento della mia entrata nel gruppo. Voleva incontrarmi per chiedermi delucidazioni sui migliori metodi di estrazione dell’uranio situato a grandi profondità e per farmi analizzare alcuni dati. In quella base ci stetti per non più di due giorni e molte zone mi erano interdette, in realtà io ho visto ben poco” racconto il terrorista.
Il terrorista venne accompagnato in una tenda dove sarebbe stato tenuto sotto sorveglianza in attesa del velivolo che sarebbe venuto a prelevarlo.
“Cosa facciamo?” chiese Masinov al comandante.
“Ci muoveremo stanotte col favore delle tenebre, ormai sono le quattro di mattina. Niente deve trapelare, Kikilia, von Kettel lasciate andare a turno i  vostri soldati in licenza a Pristina o comunque lasciateli tranquilli, sono quelli che si sono stancati di più in questi giorni, ho bisogno che siano perfettamente in forma per stanotte” ordinò Vairetti.
“Le informazioni del terrorista risalgono però a tre mesi fa, potrebbero non essere più esatte” fece notare von Kettel.
“Hai ragione, ma sono le uniche informazioni di cui disponiamo, se solo capissi qual è il loro obiettivo!”.
“Già il poveretto non lo sapeva” fece notare Kikilia.
“Se solo capissimo cosa ne pensano della legge marziale, per me la vogliono” continuò a dire ad alta voce Vairetti sovrappensiero.
“Sarà…” rispose Masinov.
Intanto nell’ufficio dell’intelligence di Roma per il settore balcanico arrivano strani segnali.
“Ehi Xavier! Guarda un po’ qua! Ci sono le ultime immagini  da satellite”.
“Ebbene?”.
“Guarda qui! Com’è vero che mi chiamo Diego quella è una formazione di tre MS-10 guidata da un MS-11! E ci sono anche cinque WS di vari modelli!”.
“Non ci vedo niente di strano! Non lo sai che domani a Belgrado si tiene la rievocazione per una battaglia che si è svolta li durante la 2a Guerra Coloniale? Guarda! Il loro piano di movimento è anche stato approvato!”..
“Si ma quelli sono armati! Guarda hanno dei beam rifle!”.
“Ma no, sono simulacri che emettono luce. Quei MS sono stati demilitarizzati per il mercato civile e hanno prestazioni di poco superiori a quelle di un WS! Guarda c’è scritto qua nel piano di movimento”.
“Se lo dici tu”.
“Lo dico io”.
“Però dovremmo in ogni caso avvertire i laboratori R-4 sono a soli 140 Km a ovest da Belgrado, un buon pilota di MS in un ora li raggiunge…”.
“Ma lascia in pace quei ragazzi!” esclamò Xavier innervosito: Diego non li lasciava bere neanche la sua tazza di caffè per dei futili motivi! Per Diego un appassionato non poteva neanche più partecipare alle rievocazioni con il suo MS d’epoca: “Che modi!” pensò Xavier a proposito di Diego.
“Piuttosto, è vero che i laboratori R-4 sono costruiti all’interno del cratere generato da quel frammento di Aphofis?” domandò Xavier.
“Esatto, credo che fosse per via di una scelta simbolica, sai com’è…”.
“Politica, mi immagino il discorso d’apertura al tempo: ‘Qui dov’è caduta la morte si darà all’uomo, bla, bla, bla…’.”
Agosto 29, mattina…
Verso le 8.00 A.M. i membri della compagnia di Kikilia si svegliarono, Masinov aveva delle vistose occhiaie e chiese di poter tornare a dormire (cosa che li fu concessa).
Sven, Carlo, Miguel e Moammed avevano anche loro delle belle occhiaie, ma furono felici di avere la mattina libera; l’unica a non avere occhiaie per il sonno era Jessica.
“Ma l’allarme?” domandò Miguel alla ragazza.
“Quale allarme?”.
“Come? Non hai sentito?” domandò stupito Carlo.
“Cosa non ho sentito?” richiese Jessica perplessa.
“Lascia stare, meglio per te” conclusero all’unisono Moammed e Sven.
“Alla faccia del sonno pesante!” pensò Sven..
Questo pensava Sven ricordandosi di come, il giorno prima di partire per Ohrid, la ragazza si fosse addormentata sulla sua spalla e nonostante i suoi tentativi di svegliarla ella continuasse a dormire, alla fine, non avendo voglia di passare per mezza base con la ragazza sulle spalle dormì su quell’hangar fino all’alba (anche se il povero Sven ci mise diverso tempo ad addormentarsi visto che la ragazza si mise a parlare nel sonno).
La compagnia, eccetto Masinov e Kikilia che tornarono a dormire, si diresse a Pristina a bordo dell’HM-8 di Jessica.
“Ragazzi, io ve lo dico! A pranzo il primo posto decente dove mangiare vi saluto tutti!” esclamò Miguel.
“E io ti seguo…” aggiunse Carlo.
“Vabbè, ho capito andiamo tutti a mangiare qualche cosa di caldo e di decente, imposto i sistemi dell’HM-8 per la ricerca di un buon posto dove mangiare…” decise Jessica.
“E usare una guida? Troppo difficile?” domandò Sven con una certa ironia.
“Caro, la ricerca di un posto dove mangiare è una questione che può essere condotta in modo scientifico” e detto ciò fermo l’HM-8.
“Moammed! Estrai quello schermo e passalo qui” ordinò Jessica.
Jessica afferrò lo schermo che li passò Moammed e cominciò a digitare velocemente su di esso.
“Ecco, come vedete ora ho impostato la mappa su Pristina e ho fatto segnalare con un simbolino rosso tutti i luoghi di ristoro. Ok?” “Ora ho qui con me una guida elettronica di quelli consigliati, con il tipo di cibo che ci si può mangiare, attraverso quella faccio una scrematura ed elimino quelli considerati insufficienti o che a noi non ci interessano, fin qui tutto chiaro?” “Ora sovrappongo la mappa con i dati riguardanti il traffico di Pristina, i movimenti commerciali e il flusso di denaro; ora possiamo, con una probabilità del 90%, stabilire il costo medio e la clientela che frequenta il luogo di ristorazione” spiegò Jessica continuando ad armeggiare con lo schermo.
“Ma questo cosa ci serve?” domandò Sven perplesso.
“Vedrai, ora ad ogni ristorante è unito il costo e il tipo come prima stabilito. Fin qui nulla di particolare direte, ma ora ci basterà aggiungerci i dati sulla criminalità et voilà, questi ristoranti segnati in rosso sono poco raccomandabili per il loro scarso rapporto qualità/prezzo unito alla sicurezza, in quelli verdi si mangia bene, come dimostrato dal fatto che in quei ristoranti, bar, ect… sono stati al centro di incontri economici non del tutto legali, mafiosi o simili, comunque molto fruttuosi e come saprete un accordo importante si conclude meglio davanti a del buon cibo. Prendete questo posto! È fantastico! Ci hanno arrestato sei politici corrotti, nove mafiosi ed è stato al centro di importanti accordi di tipo illegale che sono stati scoperti, inoltre sembra che non costi neanche molto! Non deve portare molta fortuna ai traffici illegali!”, ci  fu un attimo di pausa, “Ci andiamo?” chiese Jessica speranzosa, “Ho sempre sognato di andare a mangiare in un posto di mafiosi!” pensò con una certa e giovanile incoscienza; uno dei suoi film preferiti era un vecchio film che incentrava la trama su alcune vicende mafiose: San Petroburg Road, aveva sempre sognato di assaporare, anche solo lontanamente, quelle atmosfere.
“Ehm… ecco, Carlo per te…?” Sven passò la palla a Carlo.
“Io non saprei, per me… Miguel?” e Carlo passò la questione a Miguel.
“Moammed?” questa volta era Miguel a fare lo scaricabarile.
 Moammed rimase l’ultimo della catena, “Che faccio?” si domandò: se diceva di si faceva scontenti gli altri tre membri maschili della squadra, se diceva di no sarebbero stati tutti felici, ma Jessica no.
C’era un fondato rischio che Jessica se la prendesse con Sven, Sven con Carlo, Carlo con Miguel e quest’ultimo con Moammed.
“Alla fine io rimango con i piedi nella ” pensò il ragazzo che allora prese la sua decisione: “Per me non c’è problema” affermò ad alta voce, aveva mangiato in posto peggiori…
Il posto aveva un nome che era tutto un programma: “Il paradiso di Boris” (al tempo una delle più potenti mafie era quella russa…), si mangiavano tipici (e pesantissimi) pasti etnici balcanici e russi.
“Ok, adesso facciamo un giro a Pristina, verso mezzogiorno andiamo a mangiare li” propose (meglio dire ordinò) Jessica.
I quattro ragazzi tentarono di convincere Jessica ad andare a mangiare in altri posti davanti ai quali passavano, ma la ragazza era irremovibile e alle 12.03 P.M. precise entrarono nel ristorante.
Il ristorante era molto chic, arredato con dubbio gusto, all’apparenza tranquillo (notare: all’apparenza), ma era uno dei migliori ristoranti di Pristina (questo era indubbio); il ristorante era frequentato da molti personaggi della finanza e della politica di Pristina, Jessica era ammaliata dall’atmosfera di quel luogo.
“Uao, uao, uao… questo è il posto in cui ho sempre sognato di entrare” dichiarò Jessica, la sua posizione sociale l’aveva costretta fino ad allora ad entrare in lussuosissimi ristoranti, frequentati da membri dell’alta società; ristoranti che in fondo non sopportava (come anche Carl, ma i  contratti non si possono concludere mica davanti ad una, anche se perfetta, pizza in una spartana pizzeria di periferia…): per lei quello era un sogno che si avverava.
“Sarà, sarà…” mormorò Sven.
Le loro divise non sembravano piacere molto agli avventori di quel locale e Jessica attirava avidi sguardi e pensieri degni di Paperone de Paperoni, anche se è doveroso affermare (anche solo per rendere onore a Jessica) che oltre dal punto di vista del vil danaro (le cui sue qualità sono state decantate in lungo e largo dal già citato Paperone) diversi pensieri si sprecarono anche sull’avvenenza fisica della ragazza; più di un paio di ragazzi si provarono ad avvicinare alla bella e ricca Jessica, ma vennero tenuti a debita distanza dalle occhiatacce di Sven e dalla sua lucente pistola, sempre nella fondina e più di una volta sfiorata dalla mano del ragazzo in segno di velato gesto di minaccia, che fu prontamente compreso dagli arditi ragazzi.
Mai un membro, di una di quelle che venivano definite le grandi famiglie, era entrato in quel posto.
I  piloti di MS e Jessica si strafogarono, qualsiasi cosa era meglio delle loro razioni da campo.
“Ok, paghiamo il conto e andiamocene” esclamò Carlo, non li piaceva molto quel luogo; come Moammed aveva mangiato in posti peggiori e forse anche peggiori di quelli di Moammed (in fondo non aveva abitato in zone propriamente tranquille e aveva anche assistito ad un paio di agguati di tipo mafioso nella sua vita); si sa: alla pelle si tiene più della borsa…
Esperienze più tranquille e mondane (all’insegna di interviste giornalistiche e di visite in alcuni dei bar più IN di Pristina; normalmente non sarebbero potuti entrare con le divise, ma fu fatto uno strappo alla regola: loro erano quelli che in mondovisione avevano liberato gli ostaggi, non erano divi, ma ci andavano vicino) furono fatte dal plotone di von Kettel nel pomeriggio, l’operazione sarebbe cominciata alle 10.00 P.M. e fino alle 9.00 il plotone di von Kettel era autorizzato a stare fuori dal campo: sfruttarono il tempo fino all’ultimo minuto.
La giornata passò veloce anche per Kikilia che dopo aver dormito per tutta la mattina e dopo aver pranzato fece una lunghissima telefonata a casa dove riuscì a trovare sua cognata e suo figlio di ritorno dalla recita.
Ore 9.10 P.M., campo base…
“Smontate tutto, smontate tutto!” continuava ad ordinare Vairetti, entro 50 minuti avrebbero dovuto dirigersi verso la provincia di Kicevo.
“Noi abbiamo smontato tutte le nostre tende!” comunicò Kikilia.
“Perfetto! Aiutate a smontare la tenda centrale e le sue attrezzature elettroniche”.
“Roger!”.
Per le 9.30 P.M. tutto il campo base era stato smontato ed i mezzi erano tutti pronti.
“In attesa di ordini” comunicò von Kettel sporgendosi dal suo M70.
“Ok, pronti a partire su mio ordine.” urlò Vairetti salendo sul suo M70, “A tutte le unità tenersi in stato di pre-allerta! Fra cinque minuti partiamo!”.
Nessuno, a parte la Strati, Masinov, von Kettel, Henry Mehane (uno degli ufficiali arrivati il giorno prima che aveva il compito di aiutante di von Kettel) Battipaglia e Vairetti sapevano dove erano diretti.
Carlo era a bordo del suo Jegan e osservava le foto satellitari della zona dove sembravano esserci la base dei terroristi: non si scorgeva niente, a parte qualche traccia di pneumatico, uniche rivelatrici della presenza di uomini nella zona.
La zona era assai impervia e boscosa, la base (o la posizione dove sembrava essere) poteva essere attaccata solo risalendo uno stretta vallatta, “Se sanno difendersi sarà dura” pensò il ragazzo.
Dopo alcuni minuti di attesa arrivò l’ordine di movimento, Carlo prima di uscire dal campo base fece il saluto militare con il braccio del Jegan alla fossa comune.
La Luna era alta in cielo, le nuvole che avevano coperto la regione per tutta la mattina si erano allontanate: era una magnifica notte stellata.
I mezzi si misero in movimento: due carri aprivano la formazione, altri due la chiudevano e in mezzo ci stavano i tre M-56 e l’HM-8, sul fianco destro, fuori strada, la formazione era affiancata dal plotone di Kikilia e su quello sinistro da quella di Masinov.
Non si sarebbero mossi a velocità sostenuta, dovevano essere sicuri che nessuna sentinella lungo la strada comunicasse ai ‘Discepoli’ i loro movimenti, come si era scoperto era avvenuto a Tirana.
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« Risposta #26 il: 31 Agosto 2007, 20:25:07 »

Capitolo 22: Helmut scopre le sue carte

Agosto 29, ore 9.40 PM…
Helmut stava sorseggiando un bicchierino di brandy, guardava dritto negli occhi  Gharisnikov.
“Mi dispiace di averla fatta svegliare, ma credo che a lei interessi sapere che la stanno venendo a prendere.
Inoltre ho saputo che lei è molto interessato ai miei piani, quindi credo che vorrà assistere in prima persona al proseguo di essi”.
“Cos’ha in mente?” domandò Gharisnikov.
“Guardi, la prego guardi! Mi hanno detto che lei è una persona intelligente, credo di doverla rivalutare”, Helmut sembrava stranamente gentile e felice; Gharisnikov guardava la mappa c’erano alcuni simboli e frecce.
“Comincia a capire?” chiese Helmut.
“Solo in parte. Mi sembra che voi vogliate attaccare tre dei principali ripetitori di questa regione e tentare una puntata sull’R-4, ma poi…” rispose Gharisnikov perplesso.
“È proprio come crede” aggiunse Helmut sorridendo beffardo.
“Ma…”.
“Mettere davanti al dato di fatto è il modo migliore per ottenere una cosa”.
“Sarà una carneficina” ribatté Gharisnikov.
“Ma no! Non esageri! Si è vero, annienterò il suo gruppo, a parte la Garren sottinteso, farò attaccare e conquistare R-4, Belgrado e Pristina, ma non mi sembra giusto arrivare a parlare di carneficine”.
“Mi può spiegare per quale motivo vuole la Garren? soldi?”.
“La diplomazia crea le situazioni, i soldi bloccano queste situazioni. Se lo ricordi!” ammonì Helmut von Deikun.
“Questa frase ha poco senso” controbatté Gharisnikov.
“Quando vedrà i soldi che Carl Garren sborserà per avere indietro la sua cara figliola cambierà idea e cambierà idea anche quando vedrà come la Federazione abbasserà la testa per far in modo che alla Garren ed ai civili non sia fatto alcunché, anzi mi permetta: prima la Federazione, dopo i soldi”.
“Qua finisce male, questo è pazzo come il suo piano” pensò Gharisnikov, il suo volto era nero.
“Lei si starà chiedendo perché ci teniamo tanto ai laboratori di ricerca. Dico bene?” domandò Helmut sorridendo.
“Effettivamente…”.
“Lei sa in cosa noi crediamo, ma io valuto anche un aspetto terra terra: con le nanomacchine anche l’ultimo dei miei piloti diventerebbe come il migliore della Federazione. Non dimentichiamoci che sarebbe anche un gran bel colpo mediatico”.
“E voi credete davvero di riuscire a conquistare i laboratori? Non riuscireste neanche ad avvicinarvi! E se anche fosse, ci riuscireste solo a prezzo di gravissime perdite” ribatté Gharisnikov.
“La Federazione, quindi anche lei, non immagina di quanti MS e WS disponiamo”.
“Quanti?”.
“50 MS di vario tipo, non solo della 2a Guerra Coloniale e 70 WS” rispose Helmut accennando una risata, il potenziale offensivo era teoricamente di poco inferiore a quello di una divisione di MS federali.
“Impossibile, ce ne saremmo accorti se fossero stati ammassati tali quantitativi di materiale!” controbatté Gharisnikov che non sapeva se essere perplesso o stupito.
“I Balcani sono grandi, un po’ di contatti giusti, qualche mazzetta, cosa vuole! Poi ci è bastato far passare molti dei MS in nostra dotazione come demilitarizzati per il mercato civile e il gioco è fatto; i vostri servizi di informazione inoltre fanno acqua da tutte le parti…”: se quel che Helmut diceva era vero, fino a quel momento le azioni dei ‘Discepoli’ erano state paragonabili alla fiamma di un fiammifero… prima di essere gettato in mezzo ad un bosco; “Comunque in questo momento i miei guastatori stanno intervenendo contro i ripetitori”.
“Ma la distruzione dei ripetitori non impedirebbe le comunicazione satellitari, molti mezzi dispongono di radio satellitari che non possono essere disturbate più di tanto vista la loro potenza”.
“Ha ragione, ma si da il caso che i nostri hacker riusciranno a disattivare i satelliti per il tempo che ci serve e al momento opportuno. Abbiamo già fatto la grande prova qualche settimana fa e abbiamo tenuto sotto d’occhio i lavori degli addetti informatici della Federazione hanno fatto un buon lavoro, però si sono concentrati solo sulla porta che avevamo varcato. Noi ne avevamo già individuate altre tre. Inoltre i ripetitori servono ad amplificare il segnale, ci basterà collegare dei nostri congegni per il disturbo del segnale che abbiamo sviluppato in vista di quest’occasione e addio comunicazioni.
Anche nel caso non riuscissimo ad entrare nel sistema informatico federale, come avrà capito, abbiamo delle mosse di riserva” rispose Helmut con un tono che non nascondeva una certa superbia.
Intanto il gruppo di Vairetti si stava muovendo verso Kicevo, verso le 11.00 (ancora mezz’ora di viaggio) sarebbero arrivati nei pressi della base nemica.
“Qui Papa Bear a Condor 5, rilevato nulla di strano?”.
“Qui Condor 5 sembrerebbe tutto tranquillo, troppo tranquillo”.
“Come prego?”.
“Quello che ho detto, magari è un caso, ma le emissioni di onde radio sono diminuite del 30%”.
“Puoi cercare di capire il motivo di ciò?”.
“Sicuramente, sto provando ad inviare un segnale di prova al comando centrale per vedere se mi rispondono senza problemi”.
“Fammi sapere Condor 5”.
“Sicuramente”.
Intanto presso Zagabria, ripetitore a grande portate delle forze armate federali…
“Presto Fatima! Sei sicura che tutte le sentinelle siano state eliminate?”.
“Affermativo, il gruppo n°3 sta controllando il  perimetro attorno al ripetitore”.
“Allora muoviamoci, dobbiamo trovare il pannello di controllo centrale”.
“Dovrebbe essere dietro a questa porta blindata”.
“Liu tocca a te!” ordinò uno dei terroristi e Liu piazzò una microcarica di esplosivo sul congegno di apertura.
“Tutti indietro!” urlò Liu e la carica venne attivata.
“È stato un gioco da ragazzi!”.
Il comandante del gruppo di terroristi ordinò di portare dentro alla stanza una valigia e alcuni fili elettrici.
“Presto Karim! Occupati di collegare il sistema di disturbo!”.
“Porca miseria Rud! Un attimo, un attimo! Pesa un quintale!”.
Karim ci mise circa un minuto a collegare il sistema di disturbo.
“Ottimo lavoro! Veloce e pulito!”.
“Mi occupavo di questi sistemi quando ero una tecnica federale. Li conosco come le mie tasche”.
Scene simili avvenivano presso gli altri due importanti ripetitori: quello di Belgrado e Tirana.
Masinov si accorse subito di quel che stava accadendo.
“Qui Condor 5 a Papa Bear! Quei maledetti hanno cominciato a disturbare il segnale radio!”.
“Qui Papa Bear. È una cosa solo locale?”.
“Negativo è su scala regionale. Ho provato via satellite a collegarmi al ripetitore di Tirana, ma non sembra dare segnali”.
“Condor 5 non ti sento bene”.
“Le comunicazioni radio sono disturbate, anche quelle satellitari cominciano ad avere problemi! Mi sente Papa Bear?”.
“Malissimo, ma ho capito! Può far qualche cosa per queste interferenze?”.
“Ci sto tentando, appena riesco ad analizzare il segnale di disturbo dovrei riuscire a fare qualche cosa! Mi dia tre-quattro minuti!”.
“Non la sento! Passi al data link diretto!” urlò Vairetti sporgendosi dall’M-70, il microfono direzionale del Jegan di Masinov poteva riuscire a sentirlo, ormai le comunicazioni radio erano divenute impossibili.
Masinov ‘sparò’ il filo delle comunicazioni contro l’M-70 di Vairetti.
“Mi sente ora?” chiese Masinov.
“Certamente, via data link diretto non ci sono problemi”.
“Due minuti ancora e dovrei riuscire a rendere possibili le comunicazioni via radio nell’arco di cinquecento metri dal mio Jegan, ma probabilmente rimarranno un po’ disturbate”.
“Riesce a mettersi in contatto col comando centrale?” domandò Vairetti.
“Negativo, ormai le comunicazioni satellitari sono saltate, qualcuno sta controllando i satelliti di comunicazione della fascia mediterranea, senta lei stesso!” e Masinov fece sentire ciò che riceveva dal collegamento satellitare: era l’inno di battaglia delle forze di Deikun della 2a G.C., una pomposa e solenne canzone che inneggiava al nuovo ‘Messia’ (Kaswal von Deikun per l’appunto) e alle sue vittorie.
Vairetti ascoltava ammutolito e non solo lui, tutto il suo gruppo nel tentativo di capire cosa succedeva e si era collegato ai sistemi di comunicazione satellitari. Non solo loro ascoltavano ammutoliti.
A Le Grottaglie, al ministero della difesa a Roma, al comando centrale di Tampa, ai laboratori R-4, al centro di riparazioni di Vicenza, a Ohrid, nella base di Tunisi, nella base aerea di Atene… tutti sentivano quella canzone e tutti ascoltavano ammutoliti e spaventati.
I tecnici tentavano di contrastare l’attacco degli hacker e di capire cosa fosse successo ai principali ripetitori dei Balcani.
A quell’ora il ministro della difesa era a casa ed subito li telefonarono per avvertirlo…
“Risponda! Risponda!” continuava a sibilare il generale Gregor Torsen, capo di stato maggiore dell’aviazione, l’unico generale a trovarsi in quel momento al ministero, “Nessuno qui a voglia di lavorare! Porca di quella puttana!” pensava il generale, sicuramente il ministro l’avrebbe ricoperto di insulti e quello non era neanche il suo compito, ma a quell’ora non c’erano neanche i segretari preposti a quel genere di lavoro…
“Chi è che rompe a quest’ora?” rispose, accettando la videotelefonata, il ministro della difesa: Jonathan Middlestone.
“Sono il generale Gregor Torsen, devo comunicarle alcune brutte notizie”.
“Quali brutte notizie?”.
“Ehm… sa i ‘Discepoli’?”.
“Si, ebbene? Hanno rapito altri soldati?”.
“No, ecco non so come spiegarglielo…” il generale non trovava le parole per dirli che si erano persi i contatti con i Balcani e i satelliti era come se non ci fossero.
“Me lo spieghi!” ordinò Middlestone adirato.
“Ecco… vede… in pratica…”.
“In pratica cosa?”.
“Ecco abbiamo perso tutte i contatti con i Balcani ed i ‘Discepoli’ hanno sotto il loro controllo i satelliti per le comunicazioni del Mediterraneo… attualmente stanno trasmettendo: ‘Fino alla vittoria e all’eternità’.” spiegò il capo di stato maggiore dell’aviazione.
“Chi sta trasmettendo cosa?” chiese perplesso e irato il ministro.
“Ecco i ‘Discepoli’ stanno controllando i nostri satelliti e li stanno usando per trasmettere uno degli inni delle forze di Deikun della 2a G.C.”.
“Vuol dirmi che non riusciamo a metterci in contatto con i Balcani? E i telefoni avete provato ad usarli?”.
“Si, come se non ci fossero”.
“Inutile chiedervi se avete notizie delle nostre forze in quelle zone…”.
“Non abbiamo notizie, in questo momento stanno decollando caccia e bombardieri per fare ricognizioni sulla zona e cercare di mettersi in contatto con le frequenze ultra-corte con le unità sul posto”.
“Capito, capito. Veda di fare qualche cosa. Io adesso mi riposo un attimo e ve…”.
“Signore?” “Signore?” “Signore?” continuava a domandare il generale, ma il ministro era svenuto: il ministro vedeva già la lettera di dimissioni sul tavolo del primo ministro.
“Ci siamo giocati il ministro” mormorò Torsen al suo aiutante.
“Che facciamo?” domandò l’aiutante.
“Ok, essendo il ministro andato io rimango qua dentro l’unico in grado di prendere decisioni. Chi è comanda lo scacchiere del Mediterraneo Centrale?”.
“Il generale Cho, ma è stato affiancato da Kusabake, conoscendolo…”.
“Male, molto male… comunichi a Kusabake di inviare tutti le forze di cui dispone nei Balcani. Inoltre comunichi al generale Tymolenko delle forze da pronto impiego che ho bisogno che entro domani una brigata meccanizzata e almeno un battaglione di MS siano inviate a Belgrado, dilli che so che è una impresa quasi impossibile, ma che deve fare quel miracolo.”, l’aiutante fece il saluto militare e corse a comunicare gli ordini di Torsen.
“Kusabake è sempre nei momenti e nei posti meno opportuni” pensò Torsen, Kusabake o lo si appoggiava senza remore o non li si poteva vedere: non c’era via di mezzo.
Ore 10.48 P.M., da qualche parte verso Kicevo…
“Qui Papa Bear, prepararsi al combattimento! Usciamo dalla strada principale! Obiettivo: settore HC-93, probabile presenza di base nemica”.
I militari delle varie unità al comando di Vairetti cominciarono a prepararsi al combattimento: ora si faceva sul serio.
Ore 10.50 P.M., laboratori di ricerca bio-tecnologica R-4, entrata principale, posto di controllo…
Una fila di jeep era ferma in attesa che la sbarra si alzasse…
“I documenti e le carte di autorizzazione, prego” domandò una delle sentinelle.
“Ecco a lei” rispose l’autista della jeep di testa.
“Grazie, un attimo che ve li riporto”.
La sentinella porto i documenti da un suo commilitone all’interno del gabbiotto.
“Nicolas, chi sono? Non mi è stato comunicato niente!” esclamò il soldato all’interno del gabbiotto.
“Non so che dirti, qua ci sono i loro documenti!”.
“Uhm… aspetta che chiamo il comandante della base, qualche cosa non mi torna e poi è appena stato diramato l’allarme di livel…” ma il soldato non poté finire la frase che lui ed il suo commilitone furono freddati da due precisi colpi alla testa sparati con un arma dotata di silenziatore da una delle persone che erano a bordo delle jeep.
“Presto alza la sbarra!” ordinò uno dei membri del convoglio ad un suo compagno.
La sbarra si alzò proprio nel momento in cui al centro di controllo si accorsero di quel che stava succedendo, il convoglio penetrò nella base; la sirena d’allarme cominciò a risuonare.
Alcuni carri giunsero prontamente sul posto ma non ebbero neanche il tempo di ingaggiare il combattimento che decine di MS e WS spuntarono dalla vegetazione aprendo il fuoco contro di loro.
I terroristi, travestiti da soldati federali, scesero dal convoglio e cominciarono a penetrare dentro l’edificio incontrando una accanita resistenza, all’esterno una compagnia di MS federali venne annientata mentre tentava un contrattacco.
“Bellomo! Bellomo! Abbiamo perso il settore K-3!” urlò un soldato al comandante della base.
“Bloccate tutte le porte e indossate le maschere antigas! Potrebbero tentare di avvelenarci usando il sistema di ventilazione! Inoltre voglio la 2a compagnia a difendere l’entrata al settore K-1! Non devono avvicinarsi alle nano-macchine!” ordinò il generale.
“Stanno giungendo in questo settore! Fra poco saranno qua!” urlò un ufficiale.
“Minate i corridoi! Non devono raggiungere la centrale di controllo!” ordinò Bellomo impugnando la sua pistola, ma ormai era tardi per tentare una qualsiasi difesa organizzata.
Ogni resistenza fu vana per salvare la centrale di controllo principale, il generale Bellomo e i suoi uomini morirono tutti nella sua difesa, l’ultimo settore a resistere era il K-1, ma i terroristi invertirono il funzionamento del sistema di ventilazione (avendo il controllo della centrale di controllo principale) e il blocco K-1, costruito a 50 metri di profondità, rimase presto senza ossigeno, per i soldati e i tecnici al suo interno non ci fu scampo.
In meno di dieci minuti la costruzione principale nucleo dei laboratori R-4 era perduta; diversi soldati federali continuavano a resistere nei complessi abitativi e secondari, ma non accettando la resa i MS dei ‘Discepoli’ aprirono il fuoco contro quegli edifici, quasi tutti gli occupanti morirono, pochissimi si salvarono.
Intanto a Pristina circa 300 terroristi, 10 MS e 20 WS presero il controllo di tutti gli edifici principali, la polizia tentò una difesa nei pressi del palazzo del governo provinciale, ma riuscì solo a danneggiare gravemente un WS e a eliminare 4 terroristi prima che i 40 poliziotti impegnati nella difesa dell’edificio si arrendessero consegnando le armi.
In poco più di dieci minuti i terroristi avevano raggiunto due dei tre obiettivi strategici che si erano posti, erano appena passate le 11.00 P.M.
Ma Vairetti ed i suoi uomini non sapevano di quel che stava succedendo più a nord e continuavano la loro missione, l’unico contatto esterno era stato con un caccia che aveva volato vicino a loro per un paio di minuti per sincerarsi sulle condizioni dell’unità e per informare che si stava facendo il possibile per ristabilire le comunicazioni, niente di più; entro dieci minuti l’unità di Vairetti sarebbe giunta presso la posizione dove si supponeva si trovasse la base nemica.
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« Risposta #27 il: 31 Agosto 2007, 20:26:03 »

Capitolo 23: Un metodo vecchio come l’Uomo

Agosto 29, ore 11.05, verso la base dei ‘Discepoli’…
“Qui Papa Bear a Condor 1, la sezione esplorante prosegue lungo il fondo valle. Voi proseguite lungo la cresta ovest”.
“Roger! Richiedo permesso di mantenere Condor 6 in copertura”.
“Permesso accordato”.
“Condor 6, sai cosa fare! Fuoco solo in caso di segnale luminoso rosso” comunicò Kikilia a Miguel che subito si diresse verso una posizione da cui aveva sotto tiro tutta la vallata pur senza esporsi.
La sezione esplorante cominciò quindi a scendere, mentre i sei MS e l’HM-8 continuarono a rimanere in cresta come ordinato da Vairetti, da quella posizione potevano avere sotto controllo la valle, teoricamente nulla si sarebbe potuto muovere senza essere avvistato dalla compagnia di Kikilia.
“Condor 5 novità?” domandò Kikilia.
“Negativo, niente di niente”.
“Condor 4 rilevato nulla di strano?”.
“Niente di particolare, gli strumenti a mia disposizione hanno individuato diverse impronte di WS e MS, ma sono vecchie d’alcuni giorni”.
Intanto qualche chilometro più a nord…
“Signore, stanno arrivando, è tutto come previsto” comunicò un terrorista entrando trafelato nella stanza dove si trovava Helmut.
“Sapete cosa fare, ricordate alle unità che voglio la Garren viva e integra e che pilota l’HM-8. Non voglio errori” ordinò Helmut von Deikun.
Il terrorista uscì velocemente dalla stanza ed Helmut poté riprendere il discorso che aveva intavolato con Gharisnikov.
“Cosa stavo dicendo? Ah, si! Il nostro piano non è suicida è ben studiato, in questo momento Pristina è sotto il nostro controllo e anche i laboratori ormai dovrebbero essere caduti, entro poche ore conquisteremo Belgrado. Per me è un piano che nella sua semplicità è assolutamente funzionale”.
“La mia domanda non era se il piano era suicida o meno, ma sul motivo di condurre un’azione come quella, il resto era solo un commento” fece notare Gharisnikov.
“In pratica lei mi sta domandando perché faccio tutto questo?”.
“Se vogliamo metterla su questo piano…”.
“Allora vedrò di risponderle e si ricordi che io sono l’organizzazione e colui che comanda tutta la baracca”.
“Me lo ricorderò” annuì Gharisnikov.
“Vendetta, in primo luogo…” cominciò a spiegare Helmut.
“E ti pareva” pensò Gharisnikov.
“Banale starà pensando? Si, molto banale, la mia è una vendetta contro questa società corrotta, ipocrita e succube dei soldi.”
Gharisnikov sentendo quelle parole ebbe da pensare “Bah. Prima sostiene che i soldi sono importanti e poi…”.
“Una volta avevo un onesto lavoro, poi un giorno venni licenziato perché un mio collega fece ricadere le colpe su di me. Quel collega aveva le amicizie giuste e a niente servirono le mie proteste” continuò a spiegare Helmut.
“Scusi, ma per questo lei…” esclamò Gharisnikov.
“NO! Semplicemente quel fatto mi fece aprire gli occhi, il fatto di cui ero stato vittima non era altro che un atomo d’acqua ghiacciata della punta di un iceberg! La mia è una missione: cancellare quelle ingiustizie e portare nel mondo il messaggio di Deikun e della società che voleva creare…”.
“Speravo in qualche cosa di più originale” pensò Gharisnikov.
“Ora se non le dispiace, la sua unità è ormai vicina, devo andare dirigere le operazioni. Sarò felice di continuare il discorso successivamente” e detto ciò Helmut uscì dalla stanza, ormai si cominciavano ad avvertire le vibrazioni generate dalla camminata dei Jegan.
“Che deficiente!” mormorò Gharisnikov a proposito di Helmut mentre veniva riportato in cella.
Intanto l’M-70 di Vairetti era a poco più di tre chilometri dalla base nemica.
“Individuate tracce di calore a ore 13! Sembrerebbero costruzioni abitate” comunicò uno dell’equipaggio dell’M-70 di Vairetti.
“Bingo!” mormorò il comandante.
Dopo alcuni secondi gli avvisatori di allarme dei M-56 e M-70 si attivarono e stesso avvenne per i Jegan e l’HM-8.
Fonti di calore a ore 9 in rapido avvicinamento, 10 MS e 5 WS rilevati comunicò freddamente la voce sintetica dell’HM-8 di Jessica.
“MS in avvicinamento da ore 9!” urlò Jessica via radio, ma ormai era tardi e i MS e WS cominciarono a far fuoco; scena simile avvenne più a est dalla sezione esplorante dove i carri ed i fanti vennero presi di mira dal fuoco di mitragliatrici pesanti, missili filoguidati e da un paio di WS, nell’arco di meno di un minuto saltarono in aria due carri, tutti e tre gli M-56 e persero la vita circa una decina di fanti (oltre agli equipaggi dei carri che saltarono in aria).
“Comandante! Cosa facciamo?” urlò von Kettel a Vairetti che era fuori dal carro che stava sparando con il suo fucile d’assalto.
“Ritirata verso il punto di raccolta B! Lanci i fumogeni!”.
I fumogeni coprirono la ritirata dei mezzi e degli uomini sopravvissuti e che non erano stati catturati, però una pallottola vagante colpì nel bacino Vairetti che cadde quasi dal carro, ma per sua fortuna venne trattenuto da uno dei fanti che era salito sopra al carro.
“Un medico, presto un medico! Il comandante è stato colpito!” urlò il fante visibilmente preoccupato.
Vairetti era sbiancato e perdeva molto sangue, ma non urlava ne si lamentava, l’unico segno che tradiva il dolore subito erano le smorfie che cercava invano di trattenere.
Nel frattempo anche l’unità di Kikilia, a causa dell’agguato, aveva subito, fin dai primi secondi d’attacco, una grave perdita: Masinov, il suo MS fu centrato in piena cabina di pilotaggio da due missili filoguidati lanciati dai WS; il plotone di Masinov era fuori dal raggio d’azione del gatling antimissile dell’HM-8.
Con la perdita del MS di Masinov le comunicazioni ridiventarono difficili.
“Qui Condor 3, qui Condor 3! I WS stanno tentando di aggirarci!”.
“Qui Condor 1! Non ti sento!”.
“I WS ci stanno aggirando!”.
“A tutte le unità! Formazione serrata! RIPETO FORMAZIONE SERRATA!”.
Per fortuna Sven e Moammed riuscirono a sentirlo, ma solo Sven poté metterlo in pratica, infatti, il Jegan di Moammed subì un attacco contemporaneo di due WS armati di lancia termica ed un RX-179.
Sven riuscì a distruggere, mediante l’uso del beam rifle, il RX-179 che si era esposto troppo e Moammed riuscì a far esplodere uno dei WS, ma il WS rimasto si avventò con lancia termica proprio sulle giunzioni della gamba destra del MS federale, anche questo WS fu distrutto da Sven con i gatling da 60mm, ma ormai il MS di Moammed era inutilizzabile e il pilota dovette abbandonarlo.
Uno ad uno anche i MS federali rimasti vennero distrutti; quello di Carlo fu gravemente danneggiato da un raggio sparato da un MS-11 che li fuse le gambe del Jegan, il Jegan di Kikilia perse il braccio sinistro e la testa diventando impossibile da gestire.
Kikilia, come Carlo, riuscì ad abbandonare il Jegan e insieme proprio a Carlo e Moammed cominciò a correre verso un punto di raccolta che era stato prestabilito da Vairetti in caso di problemi; a copertura di questo sparuto gruppo rimanevano Sven con il suo Jegan III K e Jessica con il suo HM-8.
Purtroppo un paio di WS riuscirono ad avvicinarsi al MS di Sven senza farsi notare (Sven stava cercando di ingaggiare un paio di MS nemici) e li tranciarono via le gambe, Jessica provò a difendere il Jegan di Sven, ma dovette desistere vedendo che i due WS avevano posizionato le lance termiche sopra la cabina del Jegan, inoltre due MS si stavano avvicinando minacciosamente, il messaggio era chiaro: nessuna mossa o il pilota del Jegan avrebbe fatto una brutta fine. Alcuni terroristi si avvicinarono a bordo di alcune jeep e presero in consegna Sven e Jessica.
“Niente mosse false!” urlò un terrorista a Jessica.
“Calma, calma!” invitò Helmut, che subito si era diretto sul posto, “La Garren è una nostra ospite, trattela bene!”.
Intanto dalla cabina del Jegan veniva estratto il corpo inanimato di Sven; il ragazzo presentava diverse ferite per via di alcune schegge: la cabina di pilotaggio del Jegan era in pessime condizioni.
Durante tutto questo trambusto Kikilia, Carlo e Moammed riuscirono ad allontanarsi senza farsi notare, al punto di ritrovo (una piccola radura distante dieci chilometri dalla base nemica) trovarono i due carri, una decina di fanti ed il MS di Miguel che non avendo visto il segnale rosso era rimasto in copertura senza sparare e poi si era ritirato.
“Dov’è Vairetti?” urlò Kikilia che non vedeva il suo superiore.
“Dietro al carro 01!” urlò uno dei fanti della sezione esplorante: Suichi.
Kikilia corse verso il carro seguita da Carlo e Moammed, ai tre le uniche armi rimaste erano i fucili d’assalto e la pistola d’ordinanza; vista la situazione era già un miracolo; Kikilia andò dietro al carro e vide Vairetti, ma non era in buone condizioni un paio di infermieri li erano attorno mentre cercavano di fermarli la fuoriuscita di sangue da una grossa ferita nel bacino.
“Kikilia!” chiamò Vairetti, con voce roca.
“Comandante!”.
“Perdite?”.
“Masinov è morto, Jessica e Sven sono stati catturati” elencò Kikilia.
“Merda!” sibilò Vairetti “Smettetela di girarmi attorno, sto benissimo” urlò all’indirizzo dei due infermieri.
“Stia fermo, se non vuole andare all’altro mondo!” rispose uno degli infermieri.
“Ma ci vai te all’altro mondo! Datemi il mio fucile, devo andare a liberare i miei uomini!” ribatté Vairetti.
Intanto Helmut stava ritornando alla base a bordo della sua jeep guidata da uno dei suoi uomini di fiducia, a fianco aveva Jessica Garren.
“Credo di non essermi ancora presentato, sono Helmut von Deikun” dicendo ciò porse la mano a Jessica, ma Jessica rifiutò di stringerla.
“Mi dispiace di non starle simpatico, ma per un po’ dovrà sopportarmi” esclamò Helmut divertito dalla reazione della ragazza “… comunque non si preoccupi, non è nostra intenzione eliminare i nostri prigionieri. I nostri medici vedranno di rimettere in sesto il suo Orkaf. Abbiamo anche recuperato la pecora che era nel suo mezzo. È sua?”.
Jessica continuava a non proferire parola.
“Loquace…” mormorò Helmut mentre aspettava una qualche risposta della ragazza.
“Io con voi non parlo” mormorò Jessica.
“Fate come volete” rispose Helmut sbuffando, contrariato dal comportamento della ragazza.
La jeep entrò in uno degli hangar contemporaneamente ad un paio di MS ed un WS quando Helmut riprese la parola: “Ci sono sfuggiti un paio di carri e diversi uomini, tra cui alcuni piloti di MS, ma se la posso tranquillizzarla non è mia intenzione catturarli. Sa? Voglio che raccontino che lei è stata rapita”.
“Le sono così utile?” domandò Jessica.
“Diciamo che averla come nostra ospite ci potrà tornare molto utile, anche se questa è un’aggiunta ai nostri piani che non avevamo previsto, anche se ci fa molto piacere”.
Nel frattempo presso la radura dove si erano radunati i soldati federali…
“Ma che…?” mormorò Carlo, erano comparsi diversi uomini armati che avevano circondato la radura.
“Giù le armi! Non vi vogliamo far del male!” urlò uno degli uomini.
“Buttate le armi” urlò Kikilia nera in faccia ai suoi uomini e a quelli della sezione esplorante e poi rivolgendosi agli uomini che li avevano circondati “Voglio essere portata davanti ad Helmut per trattare”.
“Guardi che non siamo dei ‘Discepoli’! Vorremmo solo che i comandanti di quest’unità vengano con noi, il nostro comandante vi vuole incontrare” rispose uno degli uomini: i soldati federali rimasero tutti piuttosto stupiti e si guardarono tra loro straniti.
“Va bene!” urlò Vairetti alzandosi faticosamente in piedi “Kikilia, von Kettel, Carlo con me! Andiamo ad incontrare questo tizio. Mehane, le affido il comando dell’unità durante la mia assenza! Se entro due ore non siamo di ritorno è libero di allontanarsi con l’unità, sempre che gli e lo permettano ”.
I quattro vennero fatti salire su un piccolo pick-up di quegli uomini.
“Il viaggio sarà breve, ma preparatevi a qualche scossone. Se la sente di…” chiese l’uomo a Vairetti.
“Nessun problema”.
“Allora tenetevi forte” e detto ciò la jeep accelerò di colpo sfrecciando in mezzo agli alberi ad alta velocità.
Dopo circa dieci minuti di viaggio la jeep si fermò presso un costone roccioso davanti al quale c’erano alcune vecchie costruzioni.
“Siamo arrivati potete scendere” comunicò l’uomo scendendo dalla jeep.
Carlo e Kikilia aiutarono Vairetti a scendere, mentre von Kettel si guardava intorno leggermente spaventato: ben mimetizzati c’erano diversi uomini armati che li tenevano sotto tiro.
“Seguitemi prego!” ordinò l’uomo “Ah! Scusatemi per non essermi ancora presentato: sono Mutober Tesla”.
“Strano nome…” commentò von Kettel.
“Che ci posso fare…” “Attenzione alla testa!” esclamò Mutober facendo entrare gli ufficiali nella casa in rovina.
“la vostra base?” domandò Vairetti faticosamente.
“Esattamente, io sono il comandante di questa base. Seguitemi che vi voglio mostrare una cosa!” e detto ciò Tesla fece entrare i quattro ufficiali dentro ad un tunnel scavato sotto alla casa, “Voi vi starete chiedendo chi siamo noi… dico bene?”.
“Effettivamente…” annuì Carlo.
“Ebbene siamo stati noi ad avere commissionato l’assassinio del viceministro e del signor Ronah, anzi prima del signor Ronah e poi del viceministro, ma il tiratore scelto si è fatto prendere dalla paura e non ha aspettato il momento giusto.
Vedete noi siamo un gruppo che combatte contro la corruzione nella Federazione…” ma Mutober venne interrotto da Kikilia.
“Servizi segreti?”.
“Ti blocco subito, non posso dire niente su come è organizzata la nostra organizzazione”: ovviamente il terrorista non aveva confermato, ma alle orecchie dei quattro ufficiali federali balzò subito il fatto che Mutober non avesse negato.
“Kusabake?” domandò Vairetti accennando un sorriso.
“Non so di chi stia parlando” rispose Mutober stizzito “Comunque ora vi spiego… attenti alla testa… stavo per dire? Ah si! Ecco! Vedete quei rompicoglioni dei ‘Discepoli’ ci stanno rovinando tutti i nostri piani e attualmente ci stiamo organizzando per allontanarci dalla regione, capite che adesso verrà su un casino gigantesco e noi non vogliamo rimanerci in mezzo… attenti alla pozzanghera… purtroppo con noi non possiamo portare i nostri armamenti pesanti che avevamo faticosamente accumulato”.
“Quindi?” domandò Kikilia, immaginava già dove Tesla volesse andare a parare.
“Diciamo che preferiamo che i nostri armamenti pesanti vengano utilizzati da voi contro i ‘Discepoli’ piuttosto che vengano utilizzati da questi ultimi, ma ora vedrete con i vostri occhi di che tipo di armamento pesante disponiamo…” e detto ciò Mutober aprì una piccola porta che chiudeva l’uscita del cunicolo.
I cinque sbucarono in una gran caverna scavata artificialmente all’interno della montagna.
“Eccoci arrivati” esclamò Mutober facendo cenno ad una sentinella di accompagnarli, “Come potete vedere non disponiamo di certo degli armamenti dei ‘Discepoli’, ma nel nostro piccolo credo che siamo ben armati” disse con una certa soddisfazione.
Carlo rimase di sasso quando si vide davanti un MS che riconobbe prontamente (nonostante la particolare mimetica grigio-verde che li era stata applicata), quello che aveva davanti non era un MS: era il MS per antonomasia, era un RX-178 aggiornamento del mitico RX-78b; l’RX-178 era stato pilotato da alcuni mitici assi del calibro di Amuro e aveva partecipato ad alcune delle più importanti operazioni durante i primi anni della Federazione.
Ma se Carlo andò in estasi a vedere quel MS (a cui anche Kikilia non risparmio occhiate di ammirazione) di cui erano rimasti pochissimi esemplari nel mondo (non più di tre conservati nei musei), anche Vairetti e von Kettel avevano di che da essere soddisfatti, i due, infatti, scorsero diversi mortai e alcuni lanciatori per missili AT e AMS, nonché un vecchio tilt-rotor da combattimento VM-34, completamente armato.
“Purtroppo per il VM-34 non abbiamo piloti, se no tornerebbe utile” esclamò Vairetti trattenendo una smorfia: il dolore generato dalla ferita stava aumentando.
“Non si preoccupi, intanto abbiamo qualche dubbio sull’affidabilità di alcune parti di ricambio che ci abbiamo montato. Io personalmente non ci volerei mai sopra” spiegò Mutober “In ogni caso tutto il resto che vedete è vostro, li ci sono un paio di camion, scegliete ciò che volete e poi caricatecelo sopra a quei camion, i miei uomini vi aiuteranno”.
“Sicuramente prenderemo il MS” assicurò Kikilia.
“È molto difficile da pilotare, era stato progettato per essere pilotato da piloti nei quali erano state iniettate le nanomacchine. Non so se ce la farete, almeno i ‘Discepoli’ sui loro MS avevano apportato delle modifiche per renderli più facilmente pilotabili, questo è bello che originale” dichiarò Mutober.
“Io di sicuro non posso farcela, non ho abbastanza esperienza” disse Carlo sinceramente, ma con una vena di tristezza, non li sarebbe mai più capitata l’occasione di pilotare un RX-178.
“Mi stai dicendo che dovrei pilotarlo io?” domandò Kikilia.
“Hai sicuramente più esperienza di me” confermò Carlo.
Intanto von Kettel si era avvicinato ai pezzi d’artiglieria per scegliere quelli in migliore condizione.
“Uhm… bene, bene…” continuava a mormorare von Kettel, stava controllando un paio di mortai rigati di grosso calibro sotto l’occhio vigile di alcune sentinelle.
“Li facciamo regolare manutenzione e come può vedere disponiamo di proiettili di vario tipo incendiari, illuminanti, elettromagnetici, dirompenti e penetranti” spiegò una delle sentinelle avvicinandosi a von Kettel.
“Vedo, vedo, niente male, complimenti…” si congratulò l’ufficiale passando ad osservare un lanciamissili ‘Rapier II’, “Incredibile! Questo è stato prodotto l’anno scorso! Come diamine…”.
“Eh eh! Non possiamo dirvelo…”.
“Giusto e neanche ci tengo a saperlo pensandoci bene, intanto immagino” commentò von Kettel scuotendo la testa con un’espressione tra il divertito e la sconforto.
Pochi minuti dopo sui due camion furono caricati tre mortai e due lanciamissili con relativo munizionamento, i camion sarebbero stati guidati da Carlo e von Kettel, il MS da Kikilia, Vairetti non poteva guidare e su uno dei camion li era stata sistemata una barella in modo che stesse più comodo.
“Credi di riuscirci?” domandò Carlo a Kikilia, vedendo la sua superiore che leggeva il manuale di pilotaggio.
“Ci dovrei riuscire, per fortuna c’è il manuale di pilotaggio”.
“Le armi funzionano?”.
“I sistemi di controllo sostengono che il beam rifle e le beam saber non hanno problemi”.
“Non farci troppo affidamento, sono di modelli vecchi, la loro potenza e autonomia è limitata” avvertì Carlo.
“Me ne ricorderò, hai dei dati precisi? Il manuale utilizza vecchi sistemi di misurazione che non conosco”.
“Precisi no, ma fai conto che il beam rifle in dotazione all’RX-178 abbia una potenza della metà e una autonomia di tre quarti inferiore in confronto al DEW-71 del Jegan III. Non so darti dati precisi per le beam saber, sui RX-178 ne furono usate vari modelli, inoltre visto gli anni che hanno la loro autonomia e la loro potenza potrebbe essersi deteriorata. Cosa che non escluderei neanche per il beam rifle” spiegò Carlo.
“Vedrò di usare le armi con parsimonia”.
“Non dimenticarti che le armi dei MS prodotti a suo tempo dalle Deikun Industries sono in grado di impugnare le stesse armi dei MS federali dell’epoca, in pratica può prendere le armi dei vari RX-179, MS-10 e 11”.
“Questa è una notizia che può tornarmi molto utile!” esclamò Kikilia, quella era una buona notizia, se avesse avuto qualche problema poteva sempre afferrare le armi d’eventuali MS nemici fuori uso.
“Ok, buona fortuna! Ci rivediamo al punto di raccolta”.
“Carlo! Ti chiami Carlo no?” gridò Mutober.
“Si perché?” chiese Carlo scendendo dall’RX-178.
“Niente, volevo solo ricordarvi di lasciare i camion ai miei uomini in modo che possano tornare indietro”.
“Non si preoccupi, non me ne dimenticherò! Una domanda! Aspetti! Per uscire da questa caverna?”.
“Guardi là! Vede? Sembrano rocce, ma sono solo teloni  e ologrammi che nascondo l’uscita agli occhi di osservatori esterni”.
“E anche a quelli interni…”.
“Noi le cose cerchiamo di farle bene” urlò Mutober.
Era circa mezzanotte quando il MS e i due camion si misero in movimento.
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« Risposta #28 il: 03 Settembre 2007, 15:59:35 »

Capitolo 24: Dilettanti allo sbaraglio

Agosto 30, ore 0.23 A.M., punto di raccolta B...
Il MS e i due camion si avvicinarono alla radura dove si trovavano i soldati federali tra gli occhi curiosi dei guerriglieri e quelli un filo spaventati dei federali, quest'ultimi si calmarono appena videro i loro comandanti scendere dai due camion.
“Cominciavo già a preoccuparmi non vedendovi tornare!” esclamò Mehane vedendo von Kettel e Carlo tirare giù da uno dei camion Vairetti in barella.
“Lasci stare quella preoccupazione, ora ne ho ben altre!” rispose Vairetti mentre tentava di scendere dalla barella “C'è della roba che dovreste far tirare giù dai camion”.
“Eseguo subito” disse Mehane.
In pochi minuti i tre mortai e i due lanciamissili vennero scaricati dai camion, anche con l'aiuto di alcuni di quei guerriglieri, che poi usarono i camion per andarsene.
“Scusate se ve lo domando... ma cosa ce ne facciamo di sta roba?” chiese Mehane vedendo quei pezzi di artiglieria ed il MS.
“Semplice andiamo a liberare i nostri commilitoni” spiegò Carlo.
“Avete già in mente un piano?”.
“Più o meno, mi aiuti a montare questo lanciamissili sul carro che vi spiego”.
Nel frattempo Helmut stava porgendo i saluti a Sven che si era ripreso.
“Dove sono?” domandò Sven, aveva ancora la mente un po' annebbiata.
“Sei mio 'ospite' per così dire” rispose Helmut divertito dall'espressione incredula di Sven nel vedere la sua faccia.
“Mi fa piacere che ti sia ripreso, comunque fra un po' cominceremo ad andarcene da questa base. C'è un camion che ti attende la fuori, tu, la tua futura moglie e Gharisnikov sarete i primi ad andarvene da qua. Sapete un alto ufficiale, una Garren ed il suo futuro sposo valgono in modo discreto nelle trattative” “Guardia! Accompagni il signor Orkaf al camion che c'è qui fuori”.
“Subito!” rispose la guardia afferrando Sven per un braccio e trascinandolo via.
“Jessica? Jessica è vostra prigioniera!?” gridò Sven mentre veniva portato fuori dalla stanza, finalmente stava tornando lucido.
“Certamente, sa? Abbiamo fatto diversi prigionieri oggi! Purtroppo solo che non sono riuscito a catturare il vostro comandante ed i piloti della tua unità” rispose Helmut contrariato; Sven divenne ancora più pallido di come era già, la guardia dovette afferrarlo con tutte le sue forze per non farlo cadere a terra.
Intanto Carlo e Mehane avevano finito di montare i due lanciamissili sul 'Revil'...
“Il piano non è male, ma se te lo posso domandare...
“Prego” rispose Carlo.
“Che esperienze hai in operazioni di quel tipo?” domandò Mehane.
“Obbiettivamente? Nessuna, a noi piloti non fanno fare i corsi per operatori speciali...”.
“Questo non va bene...” ribatté Mehane laconicamente.
“Però se la può consolare Vairetti mi ha sempre detto che avrei dovuto fare l'operatore speciale, inoltre mi ha dato il suo coltello. Da quel che so non se ne è mai separato”.
“Non so se interpretarlo come un buon o pessimo segno”.
“Personalmente cerco di interpretarlo come un buon segno” controbatté Carlo.
“Chi verrà con te?”.
“Con me verranno Jafef, lei e Marcel, sa ci può essere qualche trappola esplosiva e von Kettel ormai ha una certa età, finchè si tratta di camminare un po' nelle fogne...” spiegò Carlo.
“I... io? Ma nessuno mi ha detto niente!”, Mehane era piuttosto contrariato.
“Beh, cosa vuole? Tra noi è quello che ha più esperienza nel corpo di fanteria, è l'unico che può prendere il comando di questa parte dell'operazione...”.
“No, no e poi no? Sai quante volte ho provato ad entrare nelle forze speciali? Quattro! E tutte le volte sono state respinto! Con voi vengo, per carità, ho la qualifica di tiratore scelto e poterei essere utile e questo mi sta bene, ma il comando dell'operazione lo assumi tu! Io non sono adatto al comando di unità speciali! Me l'hanno ripetuto per quattro volte!”.
“Ma...”.
“Niente ma! Se mi hanno detto che non ero adatto c'era un motivo, no? Quindi il comando lo assumi tu!”.
“Ma... va bene, ma ne è proprio sicuro?”, Carlo aveva qualche perplessita.
“Sicuro come non lo sono mai stato durante la mia vita!” rispose Mehane, la sua voce era ferma e sicura segno che era irremovibile da quella decisione.
“Ok. Allora prenda il suo equipaggiamento che partiamo adesso. Si ricordi di controllare le batterie del sistema di visione multifunzione (infrarosso, termico, sonar e radar, era un piccolo gioiello della tecnologia, viste anche le dimensioni ultracompatte) portatile, non credo che sia una bella cosa se le batterie si scaricano proprio sul più bello”.
“Certamente, un minuto e sono da voi”.
“Ehi Carlo!” era Kikilia che era scesa dal MS per chiedere le ultime delucidazioni sulle prestazioni.
“Si, Kikilia?”.
“Ne stavo parlando con Vairetti, le prestazione dell'RX-178 sono decisamente inferiori a quelle di un RX-179 o MS-10 dico bene no?”.
“Si, perché?” domandò il ragazzo.
“é per via della tattica da adottare, quelli dispongono anche di un Jegan I. Credi che sia meglio un attacco da lontano di precisione o gettarsi in mezzo alla base nemica e colpire tutto quello che si può colpire senza lasciare al nemico possibilità di capire cosa sta succedendo?”.
“Mmm... direi la seconda scelta, le armi dell'RX-178 non sono molto potenti, perché tu riesca a fare consistenti danni devi arrivare molto vicino all'obiettivo” disse Carlo.
“Come pensavo... e nel caso riescano ad attivarli e mi trovi a fare un combattimento con le spade?”.
“Le possibilità di vittoria in quel caso sono molto basse. Inoltre ricordati che le prestazioni dell'RX-178 non ti consentirebbero una facile fuga, dovresti giocare d'astuzia”.
“Già, già. Grazie mille Carlo! Mi raccomando... in bocca al lupo!”.
“Che crepi quel lupo!” esclamò Carlo salutando Kikilia che si allontanava, il volto del ragazzo divenne improvvisamente triste: si rese conto che era un'operazione disperata.
“Riusciremo ad uscirne vivi?” pensò osservando Mehane e Moammed che si avvicinavano con il suo fucile d'assalto a cui erano stati aggiunti i silenziatori.
“Siamo pronti, quando vuole...” e dicendo ciò Moammed tolse la sicura al fucile.
“Subito. Vado a comunicare a Vairetti la nostra partenza” e detto ciò Carlo si diresse verso la barella sopra alla quale c'era Vairetti, sembrava che si stesse riprendendo e se non fosse stato per i medici si sarebbe già messo in piedi.
“Signore, noi andiamo!” esclamò Carlo.
“Ok. Carlo aspetta un attimo! Devo dirti una cosa!”.
“Cosa?”.
“Quando tagli la gola a uno mettigli una mano sulla bocca in modo che non possa gridare”.
“Ehm... si” Carlo sbiancò leggermente al pensiero che avrebbe tagliato la gola a uno.
“Non fare quella faccia, non c'è differenza tra eliminare uno con un coltello o un beam rifle e poi ricordati che loro hanno in mano Sven, tua moglie non te lo perdonerebbe se non lo portassi indietro a casa sano e salvo”.
“Si, credo che abbia ragione”.
“Certo che ho ragione! Non dimenticarti che tua moglie è sorella di Sven, quindi se non vuoi essere preso a pentole in testa...”.
“Caroline non è violenta!” protestò  Carlo.
“Si, ma c'è sempre una prima volta” ribatté Vairetti sorridendo.
Carlo si stava già allontando quando Vairetti lo richiamò: “Ah! Carlo! In bocca al lupo!”.
“Crepi anche quello!” rispose il ragazzo accennando un saluto con la mano.
I tre si misero silenziosamente in cammino, avevano i fucili pronti a far fuoco in qualsiasi momento,  il loro compito non era affatto semplice.
Essi si sarebbero dovuti avvicinare furtivamente alla base eliminando eventuali sentinelle, a quel punto avrebbero dovuto individuare una entrata in essa, intrufolarcisi, trovare e liberare i commilitoni ostaggi dei 'Discepoli' (“Vairetti da piccolo ha giocato troppo hai videogiochi” pensò Moammed mentre Carlo li esponeva il piano); utilizzando un pistola lancia proietto illuminante Carlo avrebbe potuto chiamare a supporto, in qualsiasi momento i due MS e l'M-70, i mezzi in ogni caso, anche se non fossero stati chiamati sarebbero entrati in azione entro un ora (ore 1.40 A.M.) pera attaccare e distruggere la base.
I tre soldati stavano camminando da venti minuti, ormai erano abbastanza vicini alla base quando Carlo si fermo facendo cenno altri due di abbassarsi, davanti a loro c'erano due sentinelle su un piccolo sperone di roccia che sovrastava la valle.
Carlo fece cenno a Mehane di star fermo e a Moammed di seguirlo: avrebbero preso le due sentinelle alle spalle e le avrebbero eliminate con i coltelli, infatti le armi erano si silenziate, ma comunque un certo rumore lo emettevano, non erano di certo le armi in dotazione alle forze speciali quelle!
Carlo e Moammed si avvicinarono furtivamente ai due che stavano parlando tra loro, in una frazione di seconda, con una perfetta sincronia i due si avventarono sulle due sentinelle: nello stesso momento che li tapparono la bocca con il coltello li tagliarono la gola.
Carlo poi prese due pali a cui isso i due cadaveri per far sembrare che fossero in piedi; i tre fatto ciò proseguirono verso la base.
Dopo altri dieci minuti di lenta e circospetta camminata i tre arrivarono presso quella che sembrava una entrata secondiara, non c'erano sentinelle, ma solo una telecamera. Cosa fare? Si domandarono i tre, Mehane propose di distruggerla, ma questo voleva dire rilevare la loro posizione, Carlo propose di cercare un'altra entrata quando a Moammed venne una idea.
Moammed prese la sua borraccia e la riempì con del gesso che portava con se; usava spesso il gesso sulle mani per contrastare il sudore e avere una migliore presa sui comandi, Moammed raramente usava i guanti che, a suo dire, li facevano perdere sensibilità alle mani.
“Ebbene?” domando Carlo sussurrando.
“Se un uccellino lascia un regalino non è sospetto no? Al più manderanno qualcuno a pulire, ma senza fretta e per allora noi ci saremo già intrufolati da un pezzo...” spiegò Moammed.
“Geniale” commentò Carlo.
La mistura che doveva simulare i regalini degli uccellini era pronta, andava lanciata con cura: doveva sembrare che arrivasse dall'alto per non destare sospetti, ci pensò Mehane che al secondo tentativo riuscì a colpire on l'effetto voluto la telecamera.
Carlo si mise a correre verso la porta, seguito dagli altri due, in pochi secondi la porta venne sfondata e i tre si ritrovarono dentro la base.
La base non era molto grossa secondo i dati a disposizione della sezione di Vairetti a parte i due hangar non erano state create altre parti, i prigionieri con ogni probabilità potevano essere rinchiusi in due zone: la prima zona, piuttosto vicina alla posizione del gruppo di Carlo, era una serie di stanze che si affacciavano su un piccolo corridoio e caratterizzato dalla presenza di un'anticamera la seconda zona era dall'altra parte della base (probabilmente c'erano da attraversare i due hangar) e presentava caratteristiche simili a quelle della prima zona.
“Oggi c'è la dimostrazione definitiva della legge di Murphy” pensò Carlo, era andato tutto fin troppo liscio, doveva avvenire pur qualche intoppo.
Intanto il trucco era riuscito così bene che i due addetti alla videosorveglianza...
“Ehi Dario! Guarda un po' l'uccellino che cosa ha fatto!”.
“Che schifo! Proprio sulla telecamera!”.
“Vado a pulirla?”.
“Ma no, lascia stare. Sta colando via, ormai si vede senza problemi!”
Nel frattempo i tre si avvicinarono al primo punto dove sembrava potessero essere detenuti gli ostaggi, non avevano trovato nessuna sentinella fino a quel momento, era evidente come si trovassero in una zona periferica della base.
“Per di qua!” mormorò Carlo indicando una porta.
Moammed aprì la porta e Mehane ci entrò dentro correndo, la legge di Murphy non aveva funzionato, sarà stata la fortuna dei principianti, ma i tre si trovarono davanti un paio di 'Discepoli' che stavano portando via gli ostaggi.
I due 'Discepoli' alzarono subito le mani in alto e Carlo corse ad aprire la porta che dava sul corridoio dove probabilmente stavano le celle, si trovò davanti un anziano carceriere che appena vide il ragazzo che li puntava il fucile contro rimase di sasso.
“Libera i miei compagni!” ordinò Carlo.
Il carceriere eseguì subito l'ordine e si mise ad aprire le celle da cui uscirono una dozzina di ostaggi.
“Orkaf, la Garren e Gharisnikov?” domandò Carlo non vedendoli.
“Orkaf e Garren? Li hanno catturati? Qui non li abbiamo visti!” spiegò Andrzej afferrando la pistola del carceriere.
“In quanto a Gharisnikov l'hanno portato via un po' di tempo fa, credo mezz'ora, ma non sono sicuro, ci hanno tolto gli orologi” continuò Jean interrompendo Andrzej.
“Siete proprio sicuri?” chiese Carlo.
“Sicurissimi, però i due terroristi che avete appena catturato avevano accennato ad una ragazza bionda e ad un pilota di MS che avevano catturato” aggiunse Mario.
“Dove sono?” esclamò Carlo afferrando uno dei due terroristi.
“Chi?” domandò il terrorista spaventato.
“Il pilota e la ragazza bionda!”.
“Li hanno già portati via”.
“Via? Dove? Dimmelo!”.
“Non lo sappiamo”.
Carlo rimase di sasso, era stato tutto fin troppo bello e facile per essere vero: alla fine Murphy aveva vinto.
“Dovremmo andare via. I prigionieri li portiamo con noi?” domandò Mehane.
“Sicuramente. Presto, tutti quanti! Ce ne andiamo!” ordinò Carlo.
Il gruppo si mise a correre verso l'uscita, dietro di loro si sentivano alcune grida e ordini, l'assenza dei due terroristi che avevano catturato si era fatta notare; Carlo impugnò la pistola lancia flares, avrebbe chiamato i rinforzi appena avrebbero messo i piedi fuori dalla base dei 'Discepoli.
Qualche chilometro più in la Kikilia e von Kettel guardavano l'orizzonte, al minimo bagliore si sarebbero messi in movimento, anche Vairetti (che nel frattempo si era rimesso in piedi ed era salito sul carro) era piuttosto nervoso e aveva imbracciato il suo fucile.
In quel momento un fatto strano avvenne e Miguel da bordo del suo Jegan III F ebbe modo di accorgersene immediatamente: la canzone dei 'Discepoli' che i satelliti avevano continuato ad inviare cominciava a saltare.
Anche i 'Discepoli' si accorsero immediatamente di quel che stava succedendo e Helmut ebbe di che da imprecare: Non ora, brutto bastardo! Non ora!” fu uno degli epiteti più tranquilli che lanciò.
Intanto a 40.000 metri di quota sopra i laboratori R-4 un bombardiere B-10, scortato da due F-164, stava osservando quel che avveniva a terra, grazie alla quota a cui volava e al fatto che i 'Discepoli' stessero perdendo il segnale riuscì a stabilire un precario contatto con la base di Tunisi dove il generale Kusabake stava seguendo gli avvenimenti e il decollo della 11a compagnia paracadutisti (denominazione anacronistica e usata più per motivi di tradizione che altro, in effetti l’unità era più una unità a dispiegamento rapido, l’unica particolarità era che i suoi uomini potevano lanciarsi dagli aerei e planare fino all’obiettivo, grazie ad uno speciale equipaggiamento, se ce ne fosse stato bisogno) che aveva ordinato, in tutta fretta, di ridispiegare a Belgrado.
“Qui Sierra Alfa a comando centrale, mi ricevete passo?”.
“Affermativo Sierra Alfa, cosa sta succedendo?” domandò Kusabake.
“I laboratori R-4 sono stati attaccati e conquistati da forze nemiche, sembra che dispongano di 30 MS e diverse decine di WS armati, in questo momento diversi MS e WS stanno uscendo dalla base, non sappiamo qual è il loro prossimo obiettivo”.
“Di che armamento disponete?”.
“Due bombe BLU-210, quattro bombe a grappolo BL-1455, due AGM-320 “Firestorm” e due bombe anti-bunker da 4000 Kg; i due caccia dispongono solo di armamento aria-aria e di due missili ciascuno per uso contro siti radar”.
“Lanci tutto l’armamento del suo bombardiere contro i laboratori R-4, niente deve cadere in mano nemica”.
“Negativo! Possiamo farlo solo in stato di guerra, inoltre potrebbero ancora esserci sopravvissuti…”.
“Mi passi quel documento!” sbraitò Kusabake ad un suo aiutante.
L’aiutante li passò il documento che il suo superiore li aveva richiesto, Kusabake prese il foglio  senza tanti complimenti e li appose la sua firma.
“Ho appena promulgato la legge marziale, e per le prossime 72 le forze nei Balcani saranno in stato di guerra, quindi bombardi e basta, non deve rimanere che cenere!” ordinò Kusabake.
Il bombardiere eseguì l’ordine, prima lanciò le bombe a grappolo che misero a ferro e fuoco tutto il perimetro della base, subito dopo lancio le bombe incendiarie BLU-210 e per completare l’opera lanciò le due bombe anti-bunker contro la zona dove si trovavano le strutture sotterranee del centro di ricerca, non vennero lanciati i due missili essendo inutili per quel tipo di attacco.
Della base, non rimase che cenere, ma i tre quarti dei MS e dei WS dei ‘Discepoli’ erano salvi e si stavano dirigendo, già da alcuni minuti, verso il loro prossimo obiettivo: la città di Belgrado, capoluogo della regione dei Balcani.
Il pilota di uno dei MS portava con se una valigetta: conteneva diverse dosi di nanomacchine.
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« Risposta #29 il: 04 Settembre 2007, 22:28:43 »

1a parte del cap 25

Capitolo 25: Il diavolo dei 'Discepoli'

Carlo appena mise piede fuori dal bunker sparò il razzo di segnalazione, era giunto il momento che il resto delle forze entrasse in azione.
“Presto! Correte! Correte!” urlò Mehane ai commilitoni appena liberati, per sicurezza lanciò un fumogeno dentro al corridoio d'ingresso da cui erano appena usciti.
Helmut intanto aveva smesso di inveire contro non si sa chi per la perdita del controllo dei satelliti.
“Cosa sta succedendo?” domandò Helmut sentendo urla e richiami.
“Vado a controllare” rispose la sentinella che bloccò uno dei 'Discepoli' che stava correndo verso le celle.
“Sono fuggiti! E hanno lanciato un razzo di segnalazione!” urlò il terrorista.
Il volto di Helmut divenne calmo e rilassato: “Patlikov! Andiamo, è inutile continuare a rimanere qua! Vai a far pepare il convoglio dobbiamo raggiungere l'unità di Fredin a Belgrado”.
“Subito signore!” rispose Patlikov, l'assistente di Helmut.
Intanto qualche centinaio di chilometri più in la  il gruppo che poco prima aveva assalto i laboratori R-4 era ormai a soli 20 km da Belgrado, dovevano solo attraversare il grande viadotto dell'autostrada Trento-Belgrado e il gioco era fatto, ma...
“Qui Royal Eagle a Red Wolf. Operazione 'Last Resort' confermata. Ripeto! Operazione 'Last Resort' confermata”.
“Qui Red Wolf, ricevuto! Passo e chiudo” con queste parole il comandante di un piccolo gruppo di uomini rispose ad una chiamata radio satellitare.
“Mutober vuol far le cose in grande. Eh?” domandò uno degli uomini a 'Red Wolf'.
“Le cose o si fanno bene o non si fanno. Gli esplosivi sono stati piazzati?”.
“Piazzati”.
“Perfetto ricordate di farli esplodere solo dopo che l'RX-194 ha attraversato il ponte. Voglio quegli affari integri!” ordinò Red Wolf guardando alcune informazioni sul palmare, l'RX-194 sarebbe dovuto essere il sesto MS della formazione a comando della colonna dei 'Discepoli', almeno quella era la tattica che avevano saputo da fonti ben all'interno dell'organizzazione di Helmut.
Secondo le informazioni che comparivano sul palmare Helmut sarebbe anche arrivato a breve a Belgrado: “Per farsi consegnare le nanomacchine e lanciare un discorso in mondo visione” pensò Red Wolf.
“Comandante! Stanno arrivando! ETA 5 minuti!” gridò una sentinella del piccolo gruppo.
“Perfetto tutti ai propri posti!” urlò Red Wolf.
Nel frattempo il Jegan e l'RX-178 stavano avanzando cautamente per non farsi individuare, avrebbero dovuto lanciare l'attacco dal più vicino possibile, mentre l'M-70 avrebbe garantito il fuoco di supporto diretto e dato le coordinate su cui sparare ai mortai: il ritorno delle comunicazioni era stata una vera manna dal cielo, prima del ritorno di esse von Kettel e Vairetti avevano deciso che i mortai avrebbero fatto fuoco verso le posizioni conosciute al momento stabilito, invece in questo modo sarebbero realmente serviti a qualche cosa, oltre che a generare confusione.
Intanto Carlo e i suoi compagni di sventura stavano correndo a più non posso, quando giunsero nei pressi della radura dove prima, Carlo e Moammed, avevano eliminato le sentinelle nemiche.
“Presto afferrate quei fucili!” disse Carlo indicando i due cadaveri “Chi non è armato prosegua e raggiunga il punto di raccolta, potrebbe esserci bisogno del vostro aiuto!”.
Carlo e tutti gli altri che avevano un'arma cercarono un riparo: un tronco, una roccia (come Carlo) o un piccolo fosso. Avrebbero bloccato lì i loro inseguitori; se i 'Discepoli' avessero raggiunto il punto di raccolta Kikilia e gli altri non avrebbero più avuto il fuoco di artiglieria di cui necessitavano.
“Non sprecate munizioni! Sparate solo a colpo sicuro!” ordinò il ragazzo, i loro inseguitori sarebbero arrivati a tiro entro pochi secondi.
Carlo sentì le grida dei 'Discepoli' avvicinarsi, aveva un campo di tiro di neanche 50 metri, non poteva permettersi di sbagliare.
Il ragazzo si mise in posizione per sparare, guardava attraverso il red hot dell'ottica, nella sua mente passavano le esercitazioni all'accademia e nell'esercito (i piloti di MS doveva avere una padronanza delle tecniche di guerra base della fanteria pari a quelle di ogni soldato semplice).
I nemici stavano per comparire davanti ai suoi occhi da come si muovevano sembrava che non si aspettassero una trappola.
Tre terroristi li comparvero proprio al centro dell'ottica.
Carlo si mise a fare fuoco, le sue pallottole colpirono in pieno petto i tre terroristi che caddero a terra inanimati, anche gli altri commilitoni si misero a fare fuoco contro gli altri terroristi che arrivavano.
Ne cominciò un violento, quanto breve, scontro a fuoco, alcuni terroristi si ripararono dietro un masso e cominciarono a rispondere al fuoco allora Mario lanciò una granata verso di loro: la granata esplose proprio in mezzo al gruppo, i corpi dei terroristi si alzarono per un metro due in aria, alcune mani si staccarono dai corpi di quest'ultimi volando ancora più alto.
“Via! Via! Andiamo a difendere il punto di raccolta!” ordinò Carlo appena finito il conflitto a fuoco (che non durò più di trenta secondi): Carlo sapeva che appena i mortai si fossero messi a far fuoco, la posizione da dove sparavano, sarebbe stata individuata, bisognava proteggerli.
Due chilometri più in là Kikilia, Miguel e il carro di Vairetti e von Kettel avevano osservato quel combattimento, ma erano rimasti nascosti per non farsi individuare, ora che tutti i 'Discepoli' all'inseguimento dell'unità di Carlo erano stati eliminati potevano tentare di avvicinarsi ancora un po' alla base senza farsi individuare.
“Condor 6 mi senti ora?” domandò Kikilia usando la radio, ma non sulle frequenze satellitari.
“Si! cosa è successo?”.
“Non lo so, ma ora sembra che possiamo di nuovo comunicare!”.
Era successa una cosa molto semplice, con il ritorno delle comunicazioni satellitari le forze federali avevano potuto raccogliere maggiori informazioni e ci misero relativamente poco a capire cosa stava succedendo (ovvero che i 'Discepoli' stavano controllando i tre ripetitori basilari della regione) e Kusabake in persona ordinò ai caccia e ai bombardieri in volo di distruggere i ripetitori: proprio in quei momenti anche il ripetitore di Tirana, infatti, veniva distrutto.
“Qui India 1, ripetitore distrutto, rimango in stand-by” comunicò uno' dei piloti dei caccia, Kostantino.
Il pilota, un affermato comandante di Wing, in quei momenti pensava alle parole più frequenti della sorella minore: “E poi dici che perdo solo del tempo dietro alle ragazze... Guarda e impara signora MS!”, stava pensando a sua sorella, Kikilia Strati.
Kostantino però non immaginava in quali condizioni critiche si trovasse sua sorella.
“Condor 6 sai cosa devi fare! Distruggi i portoni corazzati e poi vieni a darmi una mano!” ordinò Kikilia.
Il gruppo ora era ad un punto di svolta, ancora qualche metro e sicuramente sarebbero stati individuati; Kikilia respirò profondamente, avrebbe dovuto fare il chilometro e mezzo che la separava dalla base nemica alla massima velocità e mentre correva Miguel avrebbe fatto fuoco con il beam rifle ad alta potenza del Jegan per sfondare i portoni: era una questione di coordinazione e di velocità di esecuzione.
A dare manforte ci avrebbe pensato anche il carro 01 che oltre all'arma principale e alle mitragliatrici per l'autodifesa per l'occasione disponeva anche di un paio di lanciamissili.
“VADO!” gridò Kikilia.
L'RX-178 si mise allo scoperto cominciando a muoversi alla massima velocità, fu subito notato da alcune sentinelle dei 'Discepoli: sui loro volti si dipinse una vena di terrore, non tanto per l'apparire di un MS presumibilmente nemico, ma per un altro fatto.
“Gund... GUNDAM!” urlò una delle sentinelle vedendo in lontananza il MS, proprio in quel momento Miguel fece fuoco e distrusse il portone del primo hangar selezionato come obiettivo, ma le sentinelle continuavano a guardare l'RX-178 che entro poche frazioni di secondo sarebbe passato loro davanti.
“Deikun salvaci dal diavolo, Deikun salvaci, abbi pietà dei nostri corpi...” cominciò a supplicare un'altra sentinella vedendo il MS passarli davanti: il Gundam per loro era il diavolo.
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Traduzione Italiana a cura di SMItalia
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