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Autore Topic: AotW: Amuro & Seyra... una storia d'amore (bozza)  (Letto 2679 volte)
matte
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« il: 11 Aprile 2008, 20:44:12 »

Amuro si svegliò cullato dal rumore del mare, dall'abbattersi delle onde e dei flutti, e dalla loro risacca. Gli occhi cisposi, sospesi fra il sonno e la veglia, allargò il braccio destro cercando il corpo di Artesia, e la sua mano ricadde sulle lenzuola, incapace di trovarla. Tanto bastò a risvegliarlo, quasi del tutto.
Era notte, notte fonda, e le stelle splendevano nel cielo belle e perfette come non le ricordava da tempo, e su quel cielo si stagliava l'algida figura di Artesia, in piedi sul finestrone aperto sulla spiaggia, avvolta nell'azzurro fine e pallido delle loro lenzuola, che il contrasto con la sua schiena, completamente nuda, rendeva improvvisamente più scuro ed acceso. I bei capelli biondi sembravano carezzati dall'aria notturna, più fresca e pietosa del giorno che li aveva accolti, e pur dissolta la regolare, accurata messa in piega, quell'imperfezione sembrava renderla più bella... no, non più bella. Più affascinante di quanto mai non fosse stata.
Le mani congiunte sul ventre, le dita intrecciate in ciò che sembrava una preghiera, Artesia fissava le stelle ... o forse no. Guardava verso il disco argenteo della Luna, ed alle tremule luci che la coronavano – che ormai aveva imparato a conoscere come le Colonie.
“Cosa stai guardando, Seyra?” la chiamò, sfiorandole la schiena nuda, e carezzandole la colonna vertebrale che, nella sua eterea magrezza, emergeva dalla sottile carne del suo corpo, quasi volesse tradire l'inganno e ricordare che quell'angelo bello, bianco e biondo fosse comunque composto di carne e di sangue.
“Niente...” mentì, ma Amuro conosceva benissimo la verità. Per quanto sapesse anche che Seyra non l'avrebbe mai ammesso. Perché il suo tesserino e la sua piastrina militare la identificavano come Seyra Mass, ma il spirito ed il suo orgoglio restavano quello di Artesia von Deikun. La sorella della Cometa Rossa. Ma, soprattutto, l'erede di una schiatta il cui sangue era tanto nobile, quanto altero.
Seyra si voltò, ed Amuro riconobbe nei suoi occhi azzurri quel velo di malinconica tristezza che tanto l'aveva colpito, il primo giorno in cui essi s'erano conosciuti, e che lei – tanto abilmente, sapeva celare sotto la coltre di freddo acciaio temprato dal suo carattere.
“Amuro...” sussurrò. Sembra temere le sue stesse parole.
“Amuro,” riprese, “io ti ringrazio...”
Gli disse in quel suo tedesco dallo strano accento.
Il giovane le carezzò i capelli, ed intrecciò le sue dita in quella massa improvvisamente ribelle di grano e d'oro prezioso.
“E di cosa, mein Schatz?”
Seyra non rispose. Voltò il capo, come se i suoi occhi inseguissero la linea dell'orizzonte.
Le onde s'abbattevano sulle scogliere, e risaccavano. L'acqua spumosa si fiaccò sulla pietra tre, quattro volte, prima che Seyra trovasse la forza di eruttare quei pensieri che, in realtà, la tormentavano da alcuni giorni – prima di raggiungere le Hawaii.
“Peet, io vorrei un figlio da te.”
Amuro ebbe un sussulto, e soffocò la prima, stupida risposta che d'istinto avrebbe voluto darle. Arretrò di un paio di passi, e si sedette sul bordo del loro letto.
Seyra lo seguì, e s'accostò al suo fianco, vulnerabile e fragile come mai l'aveva vista. Come mai entrambi s'erano visti, da che si conoscevano.
“Ascoltami, Artesia... io ti amo, e voglio stare con te. Vorrei restare con te, invecchiare con te... ma, Seyra... io non ho nemmeno vent'anni. Tu sei appena più grande di me... e questa guerra... io non so se...”
Seyra sfiorò le sue labbra con due dita, e ne afferrò il polso sinistro con l'altra mano. Si alzò, e si fece sguire dal ragazzo. Davanti all'ingresso del bagno, liberò il nodo che stringeva sul suo corpo il lenzuolo azzurro, svelandone la piena ed eburnea nudità. Entrarono nella doccia, e subito aprì il flusso dell'acqua che, calda e piacevole, ne investì i corpi. Amuro, ingenuamente, si chinò e cercò di baciarla. Seiyra ne sfuggì le labbra, ed avvicinò la bocca all'orecchio del ragazzo. Rapida, in due frasi che colpirono violente come due raffiche in svelta successione, Artesia disse all'amante ciò che il suo cuore avrebbe voluto rivelargli molto tempo prima.
Il fragore dell'acqua, ed il suo ticchettio sulle pareti vetrate e sulla porcellana assordavano ogni altro rumore: eppure Amuro sentì il battere violento ed improvviso del suo cuore, quando quella rivelazione si fu completata.
Gli sembrò che la gambe perdessero ogni forza, ed allargò le braccia per aggrapparsi alle pareti. Rallentò la caduta, finché la sua schiena si fu appoggiata alle piastrelle bianche ed azzurre della doccia, e lentamente ricadde a terra, in ginocchio.
Seyra lo guardava, di nuovo fredda, di nuovo lontana, di nuovo irraggiungibile come la stupenda ed implacabile Luna dei tropici.

Per quella notte, non si dissero nient'altro. Tornarono a dormire, e si diedero la schiena l'un l'altro. Nemmeno si guardarono, né in viso, né negli occhi – fino al giorno seguente.
Dopo le undici, Amuro scomparve. Riapparve poco prima di pranzo, in mano le chiavi di una macchina e gli occhi celati da due grossi occhiali da sole.
“Per favore,” disse alla compagna, “mettiti qualcosa, e vieni con me...”
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matte
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« Risposta #1 il: 14 Aprile 2008, 23:02:26 »

Seyra non obiettò.
“Dammi solo un paio di minuti...” gli rispose, freddamente, senza emozione.
Amuro scese all'ingresso dell'albergo, senz'aspettarla. Artesia ricomparve – puntuale come sempre,  avvolta in uno di quei suoi abiti fin troppo larghi, e fin troppo mascolini. Che sembravano disegnati e portati con un solo scopo: celare al resto del mondo la grazia e la bellezza che con troppo largheggiante mano Iddio aveva concesso alla schiatta dei Von Deikun, ed alla ragazza in particolare. Unica concessione al suo essere femminile, le belle scarpe – del resto, un regalo della signora Revil.
“Metterti una gonna, mai?” domandò Amuro, aprendole la portiera dell'automobile che aveva recuperato. Una spider scoperta, rossa scarlatta – ma dove l'aveva trovata?
Seyra non se la prese: c'era dell'ironia nel suo tono di voce, e per un attimo si illuse che la notte precedente, o per meglio dire la sua cosa, si fossero perse insieme alla nebbia del mattino... ma non era così.
Messo in moto, ed imboccata la strada del lungomare, Amuro non le rivolse una parola. Ed il silenzio cotinuò per venti, lunghissimi minuti.
“Peet... io...”
Amuro le fece segno di tacere – qualcosa che di solito Seyra, o meglio: Artesia von Deikun, non avrebbe tollerato. Nemmeno se l'ordine fosse venuto da suo fratello in persona... Prima che potesse protestare, Amuro poggiò un cubo completamente nero sul cruscotto, e ne premette con forza due facciate opposte. Il cubo da nero diventò azzurrognolo, mentre un fischio alto e fastidioso colmò l'aria ed assordò entrambi, per spegnersi un istante dopo.
“Ecco fatto, Artesia... scusami, ma non volevo che orecchie indiscrete potessero sentirci...”
“Uh? Quello cosa sarebbe?”
“Un regalo del mio patrigno,” rispose Amuro, decelerando: “ quando ha saputo che passavo... beh, che stavamo insieme ha pensato che prima o poi avremmo avuto bisogno di un po' di privacy... finché quello è acceso, i signori dell'NSA e dell'Homeland Security non sentiranno che fruscii – un po' più comodo della doccia...”
Seyra sorrise – senza nemmeno sforzarsi.
“Adesso però,” riprese Amuro, “dobbiamo parlare...”
“Da dove vuoi cominciare, Peet...?”
Amuro strinse gli occhi marroni, fissi sulla strada.
“Artesia – non frainterdermi”, le disse in tedesco, quasi a sincerarsi che un errore di traduzione non complicasse ulteriormente la situazione, “ma tu sai quel che voglio dire...”
La ragazza non disse nulla, e continuò a fissare la strada davanti a lei, e le ombre che le grandi palme disegnavano sul nero dell'asfalto ad ogni curva, ad ogni piega imposta dal perimetro dell'isola.
“Immagino di capire...”
“Come ti ho detto, non fraintendere... tutto ciò che ti riguarda, mi interessa. Tutta la tua storia, mi interessa. E, proprio per questo, io DEVO saperlo. Seyra, ti prego, parlami di tuo figlio.”
Non aveva mai creduto, Artesia von Deikun, che qualcosa potesse provocarle un simile sussulto. Né aveva mai pensato che il proprio cuore potesse provare qualcosa di simile... eppure, eppure era emozione quella che percepiva nelle sue labbra balbettanti.
“C'è poco da dire, Peet... sì, ho un figlio. Ora dovrebbe avere... sette anni, più o meno.”
Amuro ebbe un silenzioso sussulto, che soltanto un rapido movimento delle sue sopracciglia tradì, di sfuggita:
“Artesia... ma tu non hai ventidue anni?”
La ragazza si scurì, e la sua risposta non fu che un rapido cenno del capo. Il silenzio tornò, fra di loro: Seyra guardava il panorama, e le verdi foreste abbarbicate come una coltre di smeraldo sulle pendici vulcaniche dell'isola. Passò qualche istante, freddo e teso, in cui Artesia dubitò se davvero lui avrebbe potuto capire... ma se quello era l'uomo con il quale avrebbe voluto concepire una nuova vita, come avrebbe potuto tenerlo lontano ed estraneo a ciò che della sua vita effettivamente faceva ancora parte, ed avrebbe continuato ad esser tale per chissà quanto?
Ma come avrebbe potuto capirla? Come avrebbe potuto capire, chiunque non avesse fatto parte di quel mondo folle e mostruoso da cui era infine sfuggita? Forse, non le avrebbe creduto... forse...
O forse meritava, quel ragazzo, Amuro, la sua piena fiducia. Di sapere – tutto. E di saperlo per le sue labbra. Quel giorno, in quel momento.
E le parole, lentamente, massicce come pietre, poi più rapide, sgorgarono dalla sua bocca.
“Nel Reich,” spiegò Artesia, “è stabilito per legge che ogni donna debba concepire un figlio non appena il suo corpo ne diventa capace... Nel mio caso, a quattordici anni. Ci eravamo appena trasferiti nella grande villa con giardino che gli Zabi avevano concesso a mio padre: un premio per i suoi servigi, e per quelli che la mia famiglia avrebbe prestato alla Causa negli anni a venire... Nonostante da anni sapessi ciò che quell'evento significasse, viverlo era un'altra cosa... tremavo di paura, e non fosse stato per Silwia, la mia matrigna...”
“Non mi hai mai parlato di lei... è la madre di ... Heinrich, giusto?”
“Sì, Amuro...”
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