matte
Visitatore
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« il: 12 Aprile 2008, 23:52:40 » |
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“Ovviamente, tutto quanto sta per vedere ricade sotto il vincolo del segreto di stato...” Norbert Shepard annuì, distrattamente. Le macchinazioni dei militari non l'interessavano – per niente. C'era una cosa – ed una soltanto, che gli rodeva i pensieri, come un tarlo: perché avevano avuto bisogno di cercare proprio lui, e con tanta segretezza? Un archeologo, un archeolinguista... che interesse poteva rivestire per l'EFA? “Siamo quasi arrivati...” mormorò il suo angelo custode, un giovane tenente le cui mostrine indicavano l'appartenenza al 101° MS. Del resto, quella che stavano sorvolando era proprio Bajkonur. La “casa” del 101° da oltre cinquant'anni. Chissà se almeno gli avrebbero lasciato visitare il museo della base – benché non fosse celebre come quello di Bad Bramstedt, sulle Colonie, si diceva che nessuna raccolta, in qualsiasi angolo della Terra, potesse vantare una tanto ricca collezione di Mobile Suit. L'elicottero atterrò in un angolo remoto della base, vicino ad una delle antiche rampe di lancio sovietiche. Il cui relitto, ormai avvolto da una massa verde di rampicanti, giaceva – immenso e malinconico, quasi dimenticato. Del resto, apparteneva ad un mondo che aveva cessato di esistere, drammaticamente, quasi un secolo prima. Un mondo del quale, del resto, ormai più a nessuno nulla realmente interessava. “Prego, professore...” Lo fecero salire su una macchina coperta, con i vetri oscurati. In altre parole, nessuno avrebbe dovuto sapere della sua presenza. Qualunque fosse la causa della sua consulenza, le famose “alte sfere” non volevano diventasse di pubblico dominio. Traversarono un lungo viale alberato, dopo il quale la macchina si fermò, al centro di uno spiazzo anonimo e solitario. Shepard non fece in tempo a chiedersi cosa stesse succedendo. Prima, una breve vibrazione – e poi la stessa inconfondibile sensazione di un ascensore: la piazzola celava una rampa mobile, aperta sul sottosuolo. Per l'esattezza, come scoprì pochi istanti dopo, l'unico accesso ad un colossale bunker sotterraneo, scavato decine e decine di metri nel compatto e roccioso suolo del Kazakistan. “Non si preoccupi, signore...” commentò il tenente che lì l'aveva condotto. Ancora pochi minuti di pazienza, soggiunse. E mantenne la parola. Terminata la discesa, la macchina riprese a muoversi, sotto le volte di pietra di grandi e lunghe gallerie. “E' stato scavato dai sovietici, più di un secolo e mezzo fa...noi abbiamo solo trovato un altro modo di utilizzarlo...” commentò il tenente. In realtà, quell'accenno - “altro modo”, non rassicurava affatto l'archeologo. Che di buche e di scavi aveva una certa esperienza – ma non di quel genere, e non di quelle proporzioni. “E' impressionante...” commentò, per smorzare la tensione che rapidamente stava crescendo dentro di lui. “Uh uh...” rispose il tenente. Frattanto, erano arrivati. Smontati dalla macchina, attraversarono una serie infinita di porte di acciaio che, da sole, sarebbero bastate a trattenere una divisione di mobile suit, ciascuna delle quali guardate a vista da cinque o sei militari armati fino ai denti, e minacciosi come la morte. Alla fine di una di queste porte, il paesaggio cambiò completamente. Le luci, giallognole, della base militare furono rimpiazzate da quelle candide ed asettiche dei neon. Le pareti, ruvide e rocciose, vennero celate alla vista da raffinati pannelli bianchi – per farla breve, sembrava di essere in un laboratorio, od in una struttura scientifica. Non certo in un bunker sotterraneo. “Ma dove...” stava ancora facendosi quella domanda, quando l'ultima porta si aprì, e l'impressione di trovarsi in un laboratorio venne suffragato da ciò che vide. Uomini in camice bianco che correvano, indaffarati, da una parte all'altra... computer accesi in ogni angolo, e quella strana, inconfondibile atmosfera che sembra avvolgere i luoghi assegnati alla ricerca. “Professor Shepard, giusto?” gli chiese un uomo corpulento, in camice anch'egli, porgendogli la destra. “Sì...” rispose Norbert, cercando di decifrare il nome del nuovo interlocutore dalla targhetta identificativa. Era un colonnello, ed anch'eli apparteneva al 101°, almeno in apparenza. Colonnello M. Ross, come lui stesso ebbe a chiarire, pochi istanti dopo. “La ringrazio di essere accorso immediatamente...” commentò. In realtà, ma questo Norbert lo tenne per sé, non gli avevano lasciato molta scelta... poche ore prima, lo avevano letteralmente sequestrato all'Aeroporto di Atene. Invece di partire per una campagna di scavi in Siria, eccolo lì... e probabilmente i suoi studenti stavano iniziando a preoccuparsi – o forse no. Visto che, difficilmente, l'avrebbero fatto sparire nel nulla senza preoccuparsi di inventare una scusa credibile. “Spero solo,” pensò con una punta di sarcasmo, “che non abbiano tirato fuori la storia del pacchetto di sigarette... visto che non ho mai fumato una paglia in vita mia...” “E comunque sia,” riprese il colonnello Ross, “non voglio farle perdere ulteriore tempo... prego, mi segua.” L'intrico di laboratori, di corridoi uno uguale all'altro, di stanze identiche fra loro, non era l'ambiente ideale per il pessimo senso dell'orientamento del giovane archeologo – la cui capacità di perdersi persino fra i bancali del museo archeologico di Berlino era diventata proverbiale. “L'abbiamo trovato... sì, sei settimana fa. E, da allora, lo stiamo studiando...” “L'abbiamo trovato? Cosa, signore?” e poi, perché parlarne PROPRIO a lui? “Questo...” Per quanto Shepard non capisse nulla di elettronica o di meccanica, ciò che vide bastò a lasciarlo a bocca aperta. Al centro di una stanza ottagonale, sovrastata da un colossale lampadario scialogeno – e quanta energia costasse illuminare quell'ambiente, meglio non pensarci, giaceva un cono argentato alto cinque-sei metri, intorno al quale s'indaffaravano decine di persone. “E' meraviglioso, signore... Ma sinceramente non capisco in modo potrei esservi utile – a meno che questo ... questo coso non l'abbiano costruito Aristotele o Talete...” “Aristotele o Talete? Decisamente fuori strada, signore. Questo coso lo abbiamo trovato in Antartide, in prossimità delle basi della Zweite Heimat...” “Ancora una volta, devo ripeterle la mia obiezione... dubito di potervi...” “Forse non ci siamo spiegati, professore... questo coso era in prossimità della base nazista... sotto uno strato di ghiaccio e di terra di oltre cento metri. Stando alla datazione stratigrafica, questo coso risale a circa 255 milioni di anni fa...”
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