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Autore Topic: ASHES OF THE WAR: special II - VAIRETTI  (Letto 2848 volte)
matte
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« il: 06 Aprile 2008, 15:12:17 »

prima parte

La torre solare svettava verso il cielo dell'Andalusia, come sempre scintillante come uno zaffiro. Dagli specchi che giacevano ai suoi piedi, distesi sul suolo grigiastro e brullo di quell'Europa che già sembra Africa, infiniti raggi risalivano verso il collimatore centrale. L'Oberst Anavel Gato pensò di non aver mai visto qualcosa di così simile all'abbagliante aura divina che gli antichi credevano avvolgere il capo degli Dèi.
“Certo che quegli invertiti di Europei, quando vogliono, sanno costruire delle meraviglie...” commentò l'Hauptmann Axel van Mark, il suo attendente particolare nonché suo immancabile compagno d'ala, dai tempi del'Accademia.
Lo sguardo di Gato lo sferzò, acre e bruciante, come una di quelle fruste di cuoio che i suoi antenati avevano tanto spesso, e tanto volentieri, agitato contro i loro campesiños.
“Non sapevano cosa farsene, di una struttura del genere. Questa è la verità...”
Non era vero, e van Mark lo sapeva – ma come protestare contro le monolitiche certezze dell'Oberst Anavel Gato, l'Incubo di Salomon? Soprattutto, figlio ed erede designato del primo Gran Maestro dell'Ordine di Thule. E comandante della 113. SPAbteilung “Hermann von Salza”...
Prima che il Reich scatenasse l'offensiva del 15. Aprile 2015, l'ormai leggendaria “operazione Klausewitz”, l'Europa era attanagliata da una delle peggiori crisi della sua storia, la cosiddetta “Crisi dell'Energia”, e tutti i Paesi avevano disperatamente cercato di supplire alla propria fame di energia. La Germania aveva eretto sterminate schiere di mulini a vento, disseminate sulle coste del nord e sul mare. La Francia aveva potenziato la propria tecnologia nucleare. L'Italia eretto poderose centrali geotermiche, che ora nutrivano i cantieri industriali del Reich. E la Spagna popolato le sue assolate ed aride terre meridionali di centrali solari, che in tempo di pace erano state più che sufficienti ai bisogni della popolazione civile.
Era quello il problema: per Gato esistevano solo l'Esercito e la Guerra. Tutto il resto era inutile. Sembrava provenire da un tempo più remoto, ancestrale, primitivo – quando il popolo era suddiviso nelle leggendarie tre funzioni di Dumèzil: oratores, bellatores, agricolae, ed il primitivo contratto sociale prevedeva che ogni energia dello Stato fosse dedicato a nutrire “i biondi conquistatori del nord”, affinché potessero “proteggere” i loro servi/compagni/schiavi, e così procurar loro nuove terre...
“Cosa prevede il nostro programma odierno, Axel?” gli chiese, scendendo dall'elicottero, sormontando con la propria voce baritonale il rumore delle eliche.
Tenendosi il berretto con la mano destra, il giovanissimo Hauptmann porse al suo superiore un ordine di servizio firmato dal Gauleiter Mahkuwe, il comandante generale del Reich per l'Abendlandmark, l'Europa Occidentale. Tutta la giornata era  dedicata alla visita della nuova accademia militare di Alcera, poco distante dalla centrale ad energia solare.
Gato soffocò la propria contrarietà in una smorfia delle rosse e carnose labbra: rientrato dall'Africa, i suoi superiori, tutti – ivi compreso il Generalfeldmarschall Dozul Zabi e la Reichsführerin Cecilia Zabi, gli avevano intimato l'allontanamento dalla prima linea, fino a nuovo ordine. Se l'era aspettato, dopo che quei macellai dei medici del Reich non erano stati capaci di curargli, rapidamente e decentemente, la forma di malaria che l'aveva colpito durante la sfortunata avventura africana.
Era un pensiero ossessivo, che lo tormentò anche nel trasferimento in automobile. Per quanto il Tuareg d'ordinanza fosse comodo e confortevole, non riusciva a trovare una posizione che soddisfacesse il suo corpo – letteralmente consumato dalla febbre dell'azione. Era tutto cominciato nel modo più stupido: s'era avventurato, a piedi, nel bel mezzo della savana. Una stupida, apparentemente innocua, puntura di zanzara... Il cavallo di Troia per una brutta forma di malaria maligna, che quasi l'aveva ucciso. Nonostante le cure ricevute in un sanatorio – episodio che avrebbe preferito dimenticare, e in fretta, non solo per la malaria, e nonostante queste cure gli fossero state erogate da veri medici, la sua salute non si era ripresa – non ancora. Per quanti farmaci assumesse, giorno dopo giorno, ogni tre giorni le febbri tornavano a colpirlo. In quelle condizioni non era pensabile tornasse in servizio attivo – non a breve termine, quantomeno. Mahkuwe, per parte sua, non aveva perso tempo, proponendo che il famosissimo Oberst svolgesse attività di “pubbliche relazioni” nelle basi di sua competenza territoriale. Cosa che Cecilia Zabi aveva approvato, immediatamente, sostanzialmente obbligando il fratello Dozul a confermare quella destinazione.
Fortunatamente, pensò non senza malizia, anche quell'intrigante di von Deikun stava sperimentando le mirabilie degli ospedali militari del Reich...

L'Oberstleutnant von Kleist accolse l'Oberst Gato con tutto il formale calore dovuto ad suo tanto riverito superiore. Si conoscevano da tempo, e nonostante von Kleist avesse circa dieci anni più del suo superiore, l'ammirava senza provare la minima ombra d'invidia.
“Allora, von Kleist... ci faccia un riassunto della situazione”, fece Gato, seccamente interropendo tutti i salamelecchi imposti dal rito.
L'Oberst fu ben contento di condurre Gato all'interno della base.
“Si tratta di un vecchio aeroporto dell'esercito spagnolo,” spiegò, “che abbiamo rapidamente riadattato.”
Tutte cose che Gato già sapeva: che gli hangar fossero stati riadattati per ospitare i mobile suit, che l'erogazione di energia della Centrale solare fosse stata deviata per i fabbisogni del centro, e così via. Ma a Gato, da sempre, le faccende meccaniche interessavano fino ad un certo punto. Esigentissimo relativamente alle prestazioni del suo mobile suit, non aveva tuttavia mai provato la libido tecnica di KvD o di quell'avventuriero di Ridden: non aveva la minima idea di come il suo MS funzionasse, né aveva il minimo interesse di scoprirlo. E ciò si poteva trasferire a qualsiasi cosa avesse delle ricadute analoghe.
“Mi parli degli uomini, per cortesia, Oberstleutnant... come sono le nuove reclute?”
La risposta fu un invito a nozze: è in corso un'esercitazione. Sarebbe interessato ad assistere?”

Il campo d'allenamento era composto da uno spazio di diversi chilometri quadrati, brullo e butterato dalle esplosioni delle bombe e delle armi beam impiegate anche nelle esercitazioni. Ai suoi confini, ad una certa distanza di sicurezza, era stata eretta una torre di osservazione – poco più bassa dell'immensa torre solare che pure si stagliava all'orizzonte, poderosa ed in qualche modo inquietante.
“Purtroppo,” commentò il von Kleist, “non abbiamo altro modo di osservare le esercitazioni, con tutte quelle particelle Minowsky in giro...”
“Lo so benissimo...” tagliò secco Gato, scrutando l'orizzonte con il suo binocolo personale. Poco lontani, gli echi di una battaglia fra due Lohengrin attirarono il suo sguardo verso la regione nord-occidentale del campo di allenamento, dove la piana grigiastra e polverosa era solcata dallo spettro di un arido torrente, che non doveva conoscere nemmeno il ricordo dell'acqua corrente da mesi e mesi. Forse da anni...
“Chi sono, quei due?” domandò Gato.
L'Oberstleutnant, allargandosi il colletto della divisa – ma come faceva Gato a tollerare quel caldo afoso ed opprimente, nonostante la divisa ed il mantello? - controllò rapidamente il ruolino giornaliero.
“I sottotenenti Koontz e Vairetti.”
“Vairetti?” domandò Gato abbassando il binocolo.
“Sì,” rispose l'Oberstleutant: “si tratta di un Hiwi . Si è arruolato spontaneamente nella Wehrmacht subito dopo la conquista dell'Itali... volevo dire, della Lombardsland. I suoi dati psicofisiologici lo hanno qualificato come idoneo alla conduzione di SP – ed è stato quindi trasferito al programma di addestramento.”
“Ce ne sono molti, come lui?”
“Sì, mein Herr: il Generalfeldmarschall Dozul Zabi ha stabilito che gli Hiwi siano prevalentemente addestrati in questa base.”
“Capisco...”
Una delle classiche idiozie di Dozul Zabi. Come poteva fidarsi, quell'idiota, di uomini che avevano cambiato bandiera all'ultimo istante? Basi come quelle dovevano essere dedicate all'addestramento in condizioni atmosferiche dei valorosi giovani del Reich. Ora che anche i cani della Federazione potevano contare su propri SP, non potevano più permettersi la minima improvvisazione.
Possibile che quello lo capisse soltanto lui?
“E' finita...” annunciò l'addetto di controllo delle operazioni, liberandosi il capo della cuffia di comunicazione. “Il Leutnant Vairetti ha massacrato il Leutnant Koontz – anche questa volta.”
“Uhm?” domandò Gato, piuttosto incuriosito da quell'annuncio.
“Il Leutnant Vairetti,” spiegò von Kleist, “ha combattuto ottantaquattro volte in simulazione – vincendo ottantatré volte, e ritirandosi una.”
“Ah sì?” fece Gato, cercando la sagoma del Lohengrin di Vairetti, che lentamente stava rientrando verso la base.
“Sissignore,” commentò il comandante della base, “se non fosse un Hiwi, sarebbe già stato assegnato ad una divisione di combattimento.”
“Però, Oberst Gato... stando così le cose, ancora un'uscita e batterà il vostro record...!”
La principale dote di Van Mark non era mai stata la scelta del momento migliore per parlare e di quello per tacere – e quella circostanza lo confermò, una volta per tutte.
Lo sguardo di Gato lo folgorò: l'avrebbe ridotto in cenere, avesse potuto. Tutti sapevano, tutti conoscevano l'imbattibile record di Anavel Gato e di Kaswal von Deikun: ottantaquattro vittorie consecutive, senza sconfitte. Era stato lì, durante gli anni preparatori alla trionfale operazione Klausewitz, che i due avevano costruito la propria leggenda. Senza nemmeno rendersene conto, Van Mark aveva toccato il tasto più debole e vulnerabile di Anavel Gato: il suo sterminato orgoglio.
“Ah sì...?” fece Gato. “Oberstleutnant, c'è un Lohengrin da addestramento disponibile?”
Von Kleist si guardò intorno, come se cercasse una scappatoia – che ovviamente non c'era. Aveva perfettamente intuito le intenzioni di Gato, il cui pessimo carattere e la cui arroganza erano del resto celebri quanto la sua abilità di pilota – e, tuttosommato, la sua inconsueta onestà.
“Signore, voi...”
“Beh... se questo Hiwi è realmente l'asso che dite, voglio sperimentarlo di persona. Oppure, significa che l'atmosfera spagnola vi sta rammollendo... Van Mark, il mio PDSL!”
Il Personlischedateistickladen conteneva i dati ed i settaggi predefiniti di ogni pilota di SP. Gato, letteralmente, non faceva un passo senza. Oggetto all'apparenza modesto ed innocuo, senza di esso il colossale e mostruoso SP rischiava di essere innocuo ed inutile, risultando goffo ed impacciato anche nei movimenti più semplici ed elementari.
Salendo nell'abitacolo, mentre gli ingegneri di macchina – stupiti, sorpresi da quell'imprevisto, avviavano il propulsore a fusione nucleare dello SP, Van Mark non riuscì a trattenersi: le mani occupate dal berretto e dal mantello del suo superiore, gli chiese, faticosamente, se fosse realmente convinto che quella fosse la cosa corretta da farsi.
Gato non gli rispose nemmeno. Chiuse l'abitacolo corazzato, e se Van Mark non fosse stato svelto a tirarsi indietro, il portellone l'avrebbe preso in mezzo, fracassandogli la testa.
L'SP uscì dall'Hangar, ed Axel van Mark pensò che, forse, la differenza fra Gato e KvD risiedeva proprio in quello. La Cometa Rossa non avrebbe mai combattuto quell'inutile battaglia: ma per Gato non l'onore, bensì l'orgoglio, era l'unica ragione di vita...
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matte
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« Risposta #1 il: 06 Aprile 2008, 23:12:41 »

seconda ed ultima parte

“Sì Carlo... l'Incubo di Salomon vuole sfidarsi a duello, e sta già dirigendosi verso la tua posizione. L'inizio del combattimento è previsto fra cinque minuti. Come stai a batteria e munizioni?”
“Alles OK...” rispose il sottotenente, controllando rapidamente gli indicatori che tappezzavano l'abitacolo. Il duello precedente, con Koontz, era stato una vera e propria passeggiata. Non aveva consumato nemmeno il 10% della carica energetica, e nemmeno una granata.
Cinque minuti: Vairetti esaminò rapidamente la planimetria del campo di addestramento. Aspettare lì Gato sarebbe stato un suicidio. “Meglio cambiare aria...” pensò, e si diresse verso l'area a nord-est, in cui il genio aveva costruito un simulacro di città, nel quale allenare i piloti al combattimento in area urbana.
Anavel Gato: per Vairetti, quello sembrava un sogno od un miraggio. Qualcosa che, tuttavia, rischiava di concludersi in un doloroso risveglio – molto doloroso.
Fece rapidamente il punto della situazione: aveva letto tutti i rapporti riguardanti l'Incubo di Salomon e poteva dire di conoscerne ogni vizio ed ogni virtù – benché, ironicamente, non l'avesse mai visto, né di persona né in fotografia. Anavel Gato amava impiegare strategie simili a quelle di Kaswal von Deikun: attacchi rapidi, veloci – anzi, velocissimi. Tuttavia, mentre la Cometa Rossa preferire eludere l'avversario, e prenderlo di sorpresa, con un unico e decisivo attacco, Gato era l'uomo della “toccata e fuga”. Colpiva e spariva, rapido com'era comparso, esasperando il nemico fino alla sua sconfitta finale. Nel corso del leggendario duello che aveva segnato la fine della sua imbattibilità – lo scontro sulle piane di Marte contro proprio KvD, la Cometa Rossa aveva avuto la meglio danneggiando la gamba destra dello SP di Gato, ed impedendogli di continuare nella sua classica strategia. Difficilmente sarebbe riuscito nello stesso giochetto. Tuttavia, in un ambiente urbano, fra le strade ed i palazzi, la proverbiale velocità di Gato non sarebbe servita a molto. Almeno: in teoria.
A quel punto, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa. Ma cosa?
Il tempo era scaduto, e quando il fuoco di segnalazione esplose sulla verticale del campo, Vairetti già si trovava fra le spettrali rovine di quella città fasulla, l'SP04 ben nascosto nell'ombra di un grande palazzo. Non si fossero esercitati proprio lì, meno di 10 giorni prima, avrebbe potuto provare a nascondersi in quella stessa costruzione – ma Shylock, infuriato per non riuscire a trovarlo, aveva scaricato addosso ai palazzi di quel quartiere un caricatore intero del suo cannone da 180''. Purtroppo, non c'erano – almeno, non facilmente raggiungibili, altre costruzioni abbastanza alte per celare un Null Vier. E, soprattutto, per dargli adeguata copertura termica.
Nel silenzio del suo abitacolo, Vairetti decise di ricorrere alla sua carta preferita, ed attivò il sistema sonar passivo. Un dispositivo assai più primitivo, di quello installato sui sommergibili – ma questo passava il convento: con il suo SP fermo, immobile, dei sensori nascosti nelle gambe rilevavano ogni vibrazione del terreno, codificando l'informazione al computer da combattimento il quale, sulla base dei tracciati conservati in memoria, era in grado di identificare la distanza lineare del segnale e, con una certa approssimazione, la sua fonte. In realtà, più che di un sonar si trattava di un sismografo – ma a conti fatti, non faceva poi molta differenza. Non in quel caso, quantomeno.
Con sua grande sorpresa, non c'era un solo segnale in movimento. Nemmeno uno. Dove si era nascosto, quel maledetto bastardo di Gato?
Una fredda sensazione gli attraversò la colonna vertebrale, da parte a parte.
“Dannazione!” pensò, uscendo dal suo nascondiglio più rapidamente che gli riuscì. Proprio mentre Gato crivellava l'edificio di colpi con il suo cannone da demolizione. Oltre ad averlo trovato con ridicola facilità, Gato non stava impiegando armi da addestramento – e non era quella la notizia peggiore.

“Dite all'Oberst Gato di interrompere subito! Sta usando armi da combattimento!”
Van Mark scosse la testa: nonostante l'impaurito ed improvviso pallore del comandante del campo, non c'era nulla che potesse fare. Non c'era nulla che NESSUNO di loro potesse fare. Anavel Gato aveva deciso di scendere in campo, ed il comandante della 113. SP-Division non conosceva che un solo modo di combattere – quello. Accettando, o quantomeno: non impedendogli di salire su quel Lohengrin, aveva indirettamente autorizzato l'Incubo di Salomon.
“Non si preoccupi, Oberstleutnant...” sorrise freddamente Van Mark: “in fin dei conti è un vostro superiore. Potrete sempre dire di avere obbedito ai suoi ordini...”

Vairetti stava scappando: e già quella era una notizia. I suoi compagni lo osservavano sul maxi-schermo installato in prossimità dell'hangar centrale. Alcuni non ci volevano credere. Altri sorridevano, perché finalmente “il tuono azzurro” stava subendo – ed imparando cosa significasse l'umiliazione della sconfitta. Ma in molti, moltissimi, speravano che il loro compagno riuscisse ad invertire le sorti di quel combattimento.
“Ma come ha fatto ad avvicinarsi a Carlo...?” sibilò Oleg Rubinov, nel suo pesantissimo accento ucraino.
“E' semplice...” gli rispose Mario Sperlari, il compagno di stanza di Vairetti e, probabilmente, il suo migliore amico, quantomeno nell'accademia. “Ha capito che Carlo si sarebbe rifugiato nell'area cittadina – l'unico posto dove la maggiore velocità di Gato sarebbe stata inutile. E quindi ha rapidamente analizzato le principali costruzioni, identificando quelle abbastanza grandi per ospitare e nascondere uno SP. Ce ne sono tre o quattro al massimo... una sola, tuttavia, direttamente raggiungibile dalla sua precedente posizione... diamine! Quel Gato è un mostro! In pochi minuti ha capito che Carlo cerca sempre di economizzare le scorte energetiche del suo veicolo... ma come ha fatto?”
“Deve avere intravisto la telemetria... avrà notato che Carlo aveva consumato solo il 10% delle sue scorte. E da lì ha fatto due più due... quello che mi aspettavo da un genio come Anavel Gato.”
“Secondo te, Oleg, può farcela?”
Il grosso ucraino allargò le braccia: “io lo spero, ma Anavel Gato è uno dei cinque migliori piloti di tutto il Reich: Kaswal von Deikun, Johan Ridden, Shinn Matsunaga ed Heinrich von Deikun... Carlo è bravo – anzi: bravissimo. Ma pensare che possa farcela contro un mostro come Gato...”

Vairetti continuava a fuggire, inseguito da Gato che, intanto, cercava di spingerlo verso il fiume in secca. L'Incubo di Salomon giocava come il gatto con il topo: ogni venti/trenta secondi rallentava la sua corsa, ed esplodeva due colpi in rapida successione, che bloccavano la fuga di Carlo verso qualsiasi altra direzione.
“Perché mi sta spingendo verso il fiume? Perché... ma certo!”
Sulla sponda destra del fiume, la piana era più liscia di un biliardo. Ed il terreno era solido e compatto, senza nessuna irregolarità o rovine nelle quali nascondersi. Lì avrebbe potuto scatenare la sua classica strategia, e non gli avrebbe lasciato scampo.
“Pensa Carlo, pensa in fretta o quello ti ammazza!”
Difficilmente l'Incubo di Salomon si sarebbe accontentato di una bandiera bianca o di una resa. Non si trattava di vittoria o di sconfitta, non più. Era improvvisamente diventata una questione di vita o di morte. Una sensazione nuova per Carlo, qualcosa di opprimente e minaccioso: il suo cuore che correva sempre più veloce, ed i suoi pensieri che cercavano di sfuggir via. E l'obbligavano ad un doppio sforzo, per mantenere il controllo di sé stesso.
“Devo ragionare. Devo ragionare...” pensò, ricordandosi quello che gli aveva insegnato suo padre, anni prima, la prima volta che gli aveva messo in mano una pistola: chi non pensa, chi s'abbandona al solo istinto, è destinato alla sconfitta, e prima o poi alla morte.
“Devo trovare un modo per rallentarlo... il suo settaggio software del Lohengrin lo rende più veloce di me, dal 10 al 15% più veloce di me.”
Correndo, intravide un delle torri dell'acquedotto della base. Un'intuizione lo folgorò.
Era nella stessa direzione del fiume. Con qualche piccola modifica del tracciato... Sì, avrebbe potuto funzionare. Ma Gato non avrebbe dovuto intuire la sua vera intenzione, e nemmeno sospettarla – o gli avrebbe bloccato la corsa.
Cinquanta secondi: Vairetti rallentò, e lanciò le sue due granate fumogene. Mentre il grigio mantello di copertura avvolgeva il campo, e Gato – come da manuale, prese a sparare in ogni direzione, il giovane pilota continuava a correre verso la cisterna dell'acquedotto.
“Dove sta scappando, quel maledetto Welsch!” pensò Gato, che si accorse di lui solo quando, diradatasi la cortina fumogena, sollevata dall'improvviso sollevarsi del vento, la telecamera del Lohengrin scintillò illuminata dal violento sole dell'Andalusia. Si trovava ai piedi di una cisterna, bella e facile preda. Veloce ed implacabile, l'Incubo di Salomon punò il suo cannone e ...
“No, è troppo facile!”
Ma prima che potesse realizzare la trappola nella quale era sprofondato, fu Vairetti ad usare il cannone da 180 mm: puntato proprio sopra la sua testa. Contro la cisterna. Che esplose, riversando una violenta marea su tutta l'area circostante. Troppo scarsa per travolgere il Lohengrin di Gato, questi sentì un inconsueto nervosismo crescergli dentro. Ed i secondi successivi trasformarono il nervosismo in rabbia. Perché, non appena gli arti inferiori del Lohengrin sprofondarono nella fanghiglia generata dall'acqua e dalla terra porosa e riarsa, Gato capì che Vairetti l'aveva giocato. Nel suo PDSL non aveva dati per il combattimento su terreni del genere. Non aveva mai combattuto in condizioni del genere.
Mentre Vairetti sì: mesi prima, le piogge autunnali avevano trasformato il campo d'allenamento in una fanghiglia maleodorante e traditrice. Un addestramento rivelatosi utile. Perché ora il suo Lohengrin riusciva a muoversi, pur con qualche difficoltà, ma senza impacci.
Era il suo momento.

“Grandissimo Carlo!” gridò Oleg, dimenando le braccia tanto grandi e forti, che se avessero soltanto sfiorato uno qualsiasi dei meccanici l'avrebbero ridotto a mal partito.
“E' il suo momento!” pensò Sperlari. E, infatti, Carlo aveva deciso di passare al contrattacco.
Vairetti aveva imbracciato entrambe le machine gun del Lohengrin, nel suo tipico, inconfondibile, modo di lanciarsi all'assalto. Per Vairetti, completamente ambidestro, non solo passare da un'arma all'altra ma anche impiegarle allo stesso tempo e con la medesima precisione era uno scherzetto.
La pioggia di fuoco spinse Gato ad arretrare, rannicchiandosi dietro lo scudo dell'SP: una situazione che il suo orgoglio gli impediva di tollerare. E non soltanto per il rischio connesso a quell'attacco rabbioso – morire o meno, per lui non aveva importanza. Non l'aveva mai avuta: per Anavel Gato, la vita, la sua vita per prima, non aveva mai contato più del sogno di un'ombra. Era il suo orgoglio che non poteva tollerare l'umiliazione d'esser sconfitto da un moccioso alla prima nomina – anzi: da un principiante, da un vero e proprio novellino.
“Devo trovare un modo...”
Fango o meno, terreno stabile o meno, Gato provò a muoversi, cercando di aggirare con un largo movimento a falce Vairetti. Che, invece, restava più in alto, forte di quella sua posizione di vantaggio.
“A mali estremi...”
Abbandonando la machine gun a terra, Gato scagliò una granata anti-corazzata contro Vairetti. Questi la vide arrivare, e fece appena in tempo a ritrarsi, quando la potentissima carica esplosiva brillò a mezz'aria, investendo il campo di combattimento con la sua onda d'urto.
Carlo ne fu centrato in pieno, e prima che potesse reagire, il suo veicolo fu trascinato a terra. Nella caduta, aveva perso i cannoni a braccio - entrambi, che ora giacevano a diversi metri di distanza.
Gato, che un istante prima aveva intravisto l'ombra dell'ingloriosa sconfitta, sentiva di poter cantar vittoria: veloce come un lampo, balzò sull'avversario, e scalciò via le sue armi.
“E' finita...” sorrise, mentre il mirino del suo cannone da 180 era puntato sull'abitacolo del Lohengrin di Vairetti: a quella distanza, nemmeno un modello K completamente blindato avrebbe potuto resistere.
“TU sei finito...” aggiunse, soddisfatto per quella comunque difficile vittoria.

“E ora che faccio?” pensò Vairetti, mentre l'arma nemica era puntata contro di lui.
Gli venne una sola idea: e non era nemmeno certo che funzionasse. Ma non poteva rischiare che Gato decidesse di farla finita lì. E di riversargli addosso il caricatore del suo cannone da demolizione. Non poteva rischiare di diventare l'ennesima vittima dell'Incubo di Salomone.
“Che Dio me la mandi buona!” pensò, spingendo a tutta forza su entrambi gli attuatori dei reattori installati sul suo backpack. L'impulso, violento, improvviso, spinse il Lohengrin a tutta forza contro l'unità di Gato: preso alla sprovvista, l'asso nazista fu sbilanciato all'indietro. Complice l'ingannevole tenuta del terreno, rischiò di scivolare e ricadere nel fango – salvato soltanto dall'incredibile prontezza dei suoi riflessi. Si riportò in posizione... ma prima che potesse ripuntargli  il cannone addosso, le due braccia del suo Lohengrin furono tranciate di netto dalle heat saber di Vairetti.
I due arti metallici ricaddero a terra, ed il loro rumore appena soffocò il grido di rabbia di uno sconfitto Gato, e le urla gioiose dei cadetti, che avevano appena assistito a ciò che tutti consideravano incredibile

Cinque giorni dopo, Berlino

Gato odiava aspettare nell'anticamera dei suoi superiori, chiunque essi fossero. Cecilia Zabi compresa. Questa lo sapeva, e lo fece pazientare il meno possibile – il che, tuttavia, significò un'anticamera di circa mezz'ora. Complice l'attesa, l'Anavel Gato che la Feldherrin si trovò di fronte era il più cupo e contrariato che mai avesse visto. Per dirla tutta, in lui c'era qualcosa di spaventoso – e la Zabi conosceva le cause di quell'umor nero.
“Non avete ancora metabolizzato la vostra sconfitta, Oberst Gato?”
“Signora, preferirei non rispondere a questa vostra domanda...” ribadì, secco e deciso, come sempre. Ma la sua voce tradiva la ferita lontana dal rimarginarsi.
“Capisco... comunque sia, ho un paio di notizie da comunicarvi. Per prima cosa, accolgo la vostra richiesta di rientrare nel servizio attivo. Come saprete, tra poche settimane inizierà l'attacco alle piattaforme petrolifere sudamericane. Mio fratello Dozul vi vorrebbe in prima linea – e non è il solo. Anche a mezzo servizio, voi ci servite – Oberst Anavel Gato. Anzi: Oberführer Anavel Gato.”
Gato non tradì la minima sorpresa alla notizia della sua promozione. Ne sembrò quasi scocciato, come se quelle cose non lo riguardassero, ovvero lo riguardassero solo di sfuggita, e solo controvoglia.
“Come? Non dite nulla, Gato? Vi conoscevo come uomo di poche parole – ma il vostro silenzio è davvero sorprendente.”
“Non ho nulla da aggiungere, Signora. Accolgo l'incarico, e vi assicuro che darò il meglio di me stesso.”
L'amor proprio di Cecilia Zabi si sentì profondamente ferito – ma la Feldherrin sospettò che tanta freddezza fosse stata motivata proprio dal desiderio di recarle un freddo oltraggio. Non le aveva perdonato di essere la protettrice di von Deikun, né di averlo allontanato dal fronte con la scusa delle sue condizioni di salute... Era quello il suo modo di vendicarsi? Beh, non aveva importanza. Nemmeno a Cecilia Zabi Gato piaceva realmente. Quell'uomo freddo come un ghiacciolo, duro e violento, non avrebbe fatto parte dell'ordine che LEI avrebbe costituito, a guerra finita.
“Ah, dimenticavo... ho letto il suo rapporto e ne sono rimasta positivamente impressionata. Le posso annunciare che quel... ah, sì, Carlo Vairetti non resterà molto a lungo fra i banchi di scuola. Ho fatto in modo che sia trasferito il prima possibile in servizio attivo.”
Anche quella notizia sembrò soltanto sfiorare la remota impassabilità dell'asso nazista. Il quale, sbrigativamente, chiese se ci fossero altre consegne di suo interesse. Poiché non ve n'erano, sbatté i tacchi dei lucissimi stivali e sollevò il braccio destro con foga e decisione, esplodendo in un vigoroso Hitlersgrüss, che Cecilia Zabi ricambiò sbrigativamente e con poca convinzione.
Appena Gato fu scomparso alla sua vista, Cecilia si alzò. Premette un pulsante nascosto sulla sua scrivania, ed un pannello alle sue spalle scrollò, liberando una porta nascosta.
Ne emerse un uomo alto e biondo, gli occhi nascosti dietro grandi e spessi occhiali da sole, ed il braccio destro appeso al collo ed avvolto da una spessa fasciatura.
“Dovresti conoscere Anavel Gato, l'uomo che non si può uccidere a meno di sparargli un metro dopo l testa... all'altezza del suo amor proprio... non poteva aspettarti che ti coprisse di ringraziamenti.”
“Non è certo questo che mi aspettavo, Kaswal... comunque, quell'uomo non mi piace. Mi serve – ci serve, ma non mi piace.”
Von Deikun aprì un mobiletto dello studiolo, e ne prese una bottiglia di cognac: lo versò in due bicchieri, e ne porse uno alla Feldherrin, che lo prese e lo trangugiò, avidamente.
“Non piace nemmeno a me... ma non è questo il punto. E' uno dei nostri migliori piloti, e se ha dato quel giudizio di Vairetti, possiamo essere certi che il ragazzo sia quantomeno un elemento molto valido. Sei decisa ad assegnarlo alle Waffen-SS?”
“Non esattamente... ho un'altra idea in proposito.”
Lo stesso giorno, sul tavolo di Gihren Zabi veniva depositata la richiesta ufficiale della Reichsführerin Cecilia Zabi di istituire un nuovo corpo speciale sotto il suo diretto comando. Un corpo aperto agli Hiwi dell'Europa Meridionale: per quel nuovo corpo, il nome era già stato scelto – un nome antico ed in qualche modo glorioso. Si sarebbe chiamata Decima Divisione Mezzi d'Assalto. La Decima MAS. Il suo primo comandante sarebbe stato un giovane ufficiale di nuova nomina. Il suo nome: Carlo Vairetti.
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