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Autore Topic: ASHES OF THE WAR: special I - VATERLAND  (Letto 2569 volte)
matte
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« il: 27 Marzo 2008, 22:58:57 »

Episodio Speciale 1 : VATERLAND

(PRIMA PARTE)

Della strada non restava nient'altro che fango: il resto avrebbero dovuto farlo a piedi, fra gli stretti sentieri che separavano canneti ed acquitrini. Heinrich von Deikun si levò il berretto e l'appoggiò sul cruscotto della Tuareg.
“Che si fa, Char?”
Il colonnello Kaswal von Deikun era già smontato dalla macchina: gli stivali immersi nell'acqua densa e fangosa fin quasi al ginocchio, il braccio destro ingessato e legato al collo, si guardava intorno, incuriosito da quel panorama. Così diverso da qualsiasi angolo di mondo e di spazio avesse visto nella sua vita, pure gli sembrava che quella terra, quell'aria, persino quel cielo grigio ed ammantato di nuvole dense di pioggia, lo chiamassero – sì, lo chiamassero.
Era questa l'Heimwehe di cui tanto cantavano gli antichi poeti del popolo tedesco? Era quello l'Heimsehnsucht faticosamente confessato dal Viandante di Goethe al vertice della montagna ammantata di pioggia e di vento?
“Ehi Char, che facciamo?”
“Che domande, Hanni... non siamo venuti qui per caso...”
Heinrich sospirò: con suo fratello era inutile discutere. L'aveva imparato parecchio tempo prima. Cosa diceva suo padre? Ah sì: che se avesse scoperto il segreto dell'acciaio nel quale il carattere di Kaswal era stato forgiato, avrebbe potuto costruire dei mobile suit semplicemente invincibili. Non aveva mai capito, Heinrich, perché dicendo quelle parole il viso di suo padre sempre s'ammantasse di un'ombra funesta...
“E va bene... ma te la senti di camminare in quest'acquitrino, con quella tua gamba malmessa?”
Kaswal non rispose: nonostante tutto, gli faceva male. Le ferite erano profonde, e al di là delle sue rassicurazioni di circostanza, ben lontane dal richiudersi del tutto. Ogni passo gli durava fatica e dolore – in condizioni normali: figurarsi su quel terreno. I piedi affondavano in quella fanghiglia appiccicosa, e quanto più s'allontanava dalla macchina, quanto più difficile e faticoso diventava sollevarli di nuovo, e fare un altro passo, ed un altro ancora.
“Pech!” esclamò Hanni, caricandosi sulle spalle il suo zainetto, per l'occasione svuotato di tutta l'attrezzatura d'ordinanza, rimpiazzato da due reflex digitali ultimo modello – un gentile Geschenk di Cecilia Zabi, consegnato ai due von Deikun poco prima di partire per quel viaggio nel passato della propria famiglia.
“Siamo sicuri che questa sia Salzenburg?” mormorò Kaswal a labbra socchiuse. In realtà, non dubitava del fratello e della sua accuratezza – ma pure gli sembrava incredibile che la sua famiglia si fosse tanto tenacemente aggrappata a quel mondo sospeso fra l'acqua ed il cielo, né terra né pietra, inospitale agli uomini come alle bestie più primitive.
Hanni gli fece cenno di aspettare, e con l'altra mano estrasse il suo iPhone dalla tasca della divisa – anche quello, un regalo della munifica Reichsführerin delle SS a tutti i suoi fedeli servitori all'indomani della conquista dell'Europa.
Armeggiò rapidamente con i dati contenuti in memoria, e caricò la pagina dell'Enciclopedia Humboldt relativa a Salzenburg.
“Salzenburg, odierna Sazlny, Polonia ... ovverosia, Prussia Orientale... 415 abitanti, eccetera eccetera. Ah, ecco... 'fondata nell'anno 1256 dai cavalieri dell'Ordine Teutonico... sede della famiglia von Deikun – cioè, della nostra famiglia – fino al 1945 quando, a seguito degli accordi di Yalta, il suo territorio fu assegnato alla Repubblica Socialista di Polonia, bla bla bla...' A proposito, non dice niente del castello di cui parlava il papà... tu che dici?”
Kaswal continuava a guardarsi intorno, lasciando che ogni sguardo, ogni profumo, incidesse quei ricordi nella sua mente: se anche quel viaggio non li avesse portati a nulla, chissà quando sarebbero potuti tornare...
“Mah! Stando a papà, da queste parti i Bolscevichi hanno messo tutto a ferro e fuoco... può darsi che sia stato tutto distrutto alla fine della Guerra... del resto, non mi aspetto certo un'altra Marienburg.”
Quel nome venerando risuonò nell'aria, sacro e terribile. Marienburg! Il caposaldo dell'Ordine Teutonico, la culla della Prussia! Là dove tutto aveva avuto inizio, e dove ancora si respirava il tempo severo degli antichi Cavalieri Teutonici. L'avevano lasciata soltanto poche ore prima – ma già Hanni sentiva nostalgia per quel colosso di torri e mura erette dal fango in rossi mattoni cotti, faticosamente, pezzo dopo pezzo, nel corso di cinquecento anni e più. Se il castello di Norimberga era e restava il luogo più sacro del Reich, non s'era stupito – Hanni, che al tempo del Reich la HJ celebrasse i suoi rituali in quella poderosa ed antica fortezza. Né riusciva a comprendere come i suoi compatrioti, tanto tempo prima, avessero accettato che quel pezzo della propria storia – un pezzo del corpo! un braccio... no: il proprio cuore – potesse essere ceduto alla Polonia!
“Da questa parte, Hanni...”
Un posto valeva l'altro, ed Hanni non fece storie. Eppoi delle intuizioni di Kaswal tutti si fidavano ciecamente: lo storico “sesto senso” dei Von Deikun, che – stando al vecchio Christian, aveva fruttato alla loro famiglia un'assai dubbia fama sin dall'epoca delle Crociate del Nord.
Camminarono per alcuni minuti, nel silenzio assoluto di quella palude. Procedevano sempre più avanti, a passo spedito, diretti chissà dove – alla caccia di quel leggendario maniero. Ancor più leggendario perché, in fin dei conti, l'uomo che aveva trasmesso il suo ricordo giammai l'aveva visto con i propri occhi – almeno, per quel che ne sapevano. Era la prima volta, dopotutto, che qualcuno del loro sangue e della loro razza rimetteva piede nelle LORO terre da oltre settant'anni.
“Ehi Char... ti spiace se ti faccio una domanda?”
Kaswal annuì: “Fai pure...”
“Ma è vero quello che si dice sulla morte di Garma?”
Hanni capì subito che il fratello avrebbe evitato volentieri quella domanda. Il suo viso, regolare e bellissimo – che la recente cicatrice sulla fronte, con quel suo accenno di umana imperfezione, contribuiva a rendere più affascinante, si contrasse in qualcosa di molto simile ad una smorfia.
“Garma era un debole... e più ancora che un debole, un imbecille. Sì, un imbecille...”
Era la prima volta che Char si esprimeva con tanta decisione a proposito del vecchio compagno d'Accademia. Sorprendente, pensò Hanni, ma soffocò quei suoi pensieri prima che una parola di troppo spingesse il fratello a trattenersi.
“Avevamo il Medio Oriente in pugno... e comunque sia, a noi il petrolio non serve – almeno, non ci serve quanto agli Americani ed ai Bolscevichi. In ogni caso: in questo momento, un terzo – UN TERZO! - dei nostri effettivi si trova dislocato fra Damasco e Teheran, impegnato in un'inutile guerra di logoramento, per tenere sotto controllo uno sterminato scatolone di sabbia... che, invece, si sarebbe piegato obbediente, se li avessimo lasciati pregare il loro dio in santa pace, ed avessimo fatto loro un paio di promesse che avremmo potuto tranquillamente non mantenere...”
“Quell'idiota,” riprese, mentre la sua rabbia, lentamente, sbolliva: “quell'idiota non ha letto – non aveva letto Mommsen o Von Klausewiz... anzi, probabilmente non aveva letto nient'altro che la versione per bambini del Mein Kampf! L'avesse fatto, si sarebbe reso conto...”
Non aggiunse altro. Lasciò che quella frase morisse così, in sospeso. Ma Hanni aveva già capito dove il fratello volesse andare a parare. Fratello che, comunque, non s'era smentito. La morte di Garma restava misteriosa, e l'unico uomo che forse avrebbe potuto chiarirgli le idee restava rinchiuso nel suo riserbo. Indirettamente, però, le parole di Char gli confermavano l'odio cieco e rabbioso che l'armata d'Asia si diceva nutrisse nei confronti del proprio Feldherr... che poi realmente, fosse stato tradito, a quel punto assai poco importava.
“Guarda, Hanni!”
Kaswal indicò qualcosa, sopra gli alberi che delimitavano l'acquitrino nel quale ancora si muovevano – un centinaio di metri oltre, o forse ancora più in là. Un pennacchio – il vertice di una torre, che sembrava sfiorare le foglie più alte.
“L'abbiamo trovato?” sospirò Hanni, ancor meno avvezzo del fratello a quel clima inclemente.
“Lo scopriremo tra pochi minuti...”
E pochi minuti dopo, essi si trovavano sotto quegli stessi alberi: fu in quell'attimo, sul confine fra il mondo della natura e dell'acquitrino e quello degli uomini, che apparve.
Non così massiccio e grande come i castelli che disseminavano il resto della Prussia, o quei monumentali orpelli bavaresi... eppure... eppure poderoso, in qualche modo identico ai racconti del padre... anzi no, semidiroccato com'era, le torri e le mura avvolte dalle dita verdi e marroni di grandi piante rampicanti, i tetti sfondati dagli anni e dalle intemperie, una parte della cinta muraria crollata a terra...
Però non c'erano dubbi: era quello, il castello degli avi. Era quella Salzenburg.
Hanni era profondamente emozionato, e nonostante il viso di Kaswal non tradisse nemmeno il più flebile brivido, egli era certo che pure il fratello fosse commosso da quella visione. E che ad altri quelle rovine parlassero pure di decadenza e di morte, come tante volte si diceva dei castelli cadenti ed consunti dall'inclemente trascorrere dei secoli!
Quant'altri uomini, nel Reich come nel resto del mondo, potevano dire: “Ecco! Qui è dove la mia famiglia ha vissuto per cinquecento anni! Ecco, questa è la NOSTRA storia!”
Sì: loro, i Von Deikun, erano fortunati – dei privilegiati. In qualche modo, degli Eletti – altro che quegli stupidi arricchiti degli Zabi! Ma questo Hanni si guardò bene dal dirlo, ed anche nel pensarlo ebbe quasi terrore di sé stesso.
“Ce la fai a reggermi lo zainetto? Per un attimo...”
“Sì Hanni, fai pure...”
Recuperò entrambe le reflex. Maniacale nella fotografia quanto il fratello maggiore nel tuning del proprio mobile suit, sempre alla caccia della perfezione, aveva pre-impostato due regolazioni opposte – ma ormai persino Kaswal si era abituato a quella strana abitudine, che pure continuava a considerare piuttosto buffa. Una volta ne avevano parlato a fondo, parecchi anni prima – ed Hanni, il biondo ed ingenuo Hanni, l'aveva sorpreso lasciandolo senza parole...
“Perché mi ostino a scattare tante foto della stessa immagine? Perché non esiste una foto perfetta, Char. Esiste la perfezione – ma nessuna foto può essere perfetta. La luce illumina il nostro mondo – migliaia, miliardi di miliardi di miliardi di fotoni – ogni istante, dall'inizio dei tempi. Ognuno dei quali con la sua energia, la sua lunghezza d'onda – la sua assoluta specificità. Ed ogni singolo fotone, rimbalzando sulle superfici e catturato dal nostro occhio, crea le luci e le ombre, crea i colori e l'oscurità... tutto cambia, muta radicalmente da un istante all'altro – da una frazione di secondo all'altra. Per avere una foto perfetta, tu dovresti essere in grado di scattare una singola immagine capace di racchiudere in sé stessa tutte le infinite varianti di sé stessa... il che è semplicemente impossibile. Per questo motivo io scatto quante più foto possibile... sì, sono un predatore in caccia, un predatore affamato che cerca di catturare ogni diffuso frammento della realtà che lo circonda, e che cerca di ricomporre i frammenti di ciò che cattura cercando di catturare insieme a quelli un simulacro dell'assoluto...”
Contorto, confuso... forse. Ma Kaswal era rimasto impressionato dalla profondità di quelle riflessioni, e da quel momento aveva deciso di rispettare ogni decisione di Heinrich – almeno, in ambito fotografico.
“Ecco fatto, Char... stasera stessa la spedisco a papà...”
“Sempre se la censura la lascerà passare...”
“Vuoi che intercettino che questa roba?”
Kaswal allargò le braccia: “Conosci anche tu Jürgen Kessler, dell'Ufficio Censura... i suoi colleghi non sono molto più elastici...”
Heinrich conosceva quell'uomo – lo conosceva benissimo, visto che erano stati compagni di classe per parecchio tempo. E non poteva che concordare col fratello: se erano uomini come quello a decidere cosa si potesse e non si potesse trasmettere – beh, allora anche quell'innocente panorama sarebbe sparito nell'insaziabile voragine della censura di guerra.
Raggiunto il perimetro esterno delle mura, là dove il tratto più ampio era caduto, collassando su stesso e sotto il proprio peso, Kaswal cercò di ricostruire la pianta di quel maniero, immaginandosi quale aspetto dovesse avere al tempo della Grande Guerra, prima che la decadenza lo riducesse in quello stato.
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matte
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« Risposta #1 il: 29 Marzo 2008, 17:45:51 »

Episodio Speciale 1 : VATERLAND

(SECONDA PARTE)

Raggiunto il perimetro esterno delle mura, là dove il tratto più ampio era caduto, collassando su stesso e sotto il proprio peso, Kaswal cercò di ricostruire la pianta di quel maniero, immaginandosi quale aspetto dovesse avere al tempo della Grande Guerra, prima che la decadenza lo riducesse in quello stato.
La sua pianta irregolare, i possenti bastioni, le torri di guardia di sezione cilindrica, gli ricordavano le fortificazioni che i Cavalieri dell'Ordine Teutonico avevano imparato a costruire nelle desolate terre asiatiche, e che lui stesso aveva ammirato – ad Acri e Cipro,  pochi mesi prima.
Kaswal fissò il relitto del grande maschio, che spettrale troneggiava sulle rovine, e dal quale ancora s'ammiravano foreste e pianure per chilometri e chilometri, fin dove gli occhi riuscivano a fuggire, nucleo originario sorto là dove i suoi padri avevano eretto il loro primo altare, intorno al quale erano sorte fragili mura di legno e terra battuta, ed infine colossali bastioni di mattoni.
“Chissà perché i nostri antenati scelsero questo posto disgraziato...” si chiese Hanni, puntando la reflex sul vertice del maschio, il cui apice pareva in quell'attimo sfiorare una pennellata grigia di nuvole, che correvano rapide verso le sponde del Baltico.
Che domande! Se l'Ordine Teutonico aveva deciso di erigere proprio lì un fortilizio, ragioni precise, stringenti, irrevocabili, avevano motivato scelta. E che loro non riuscissero a coglierla, in quel momento, non significava semplicemente che non esistessero – per quanto remote ed inaccessibili sembrassero. O forse...
Uno spettro sfiorò i pensieri di Kaswal von Deikun – una mano gelida e fredda che incrinò per un istante le sue incrollabili certezze. Il silenzio assoluto di quelle terre, e di quel cielo lontano e minaccioso, sospeso fra il regno degli uomini e quello degli antichi dèi... gli acquitrini stessi, che gli antichi credevano porte spalancate sul mondo dei morti e sugli Inferi... ed un pensiero: perché, prima che fossero le pietre, c'erano gli uomini. Uomini che avevano abbandonato ogni cosa, ogni altra propria missione, per indossare la croce nera e l'abito candido dell'Ordine, eligendo QUELLA terra a propria terra. Soltanto allora erano arrivati i progetti, e le strategie dell'Ordine. Prima erano giunti gli uomini... e cosa aveva spinto gli uomini a quel luogo povero e mesto, sul quale nulla si poteva erigere, se non a spese d'infinita fatica?
E quello spettro compose un pensiero: un luogo ai confini del mondo, per uomini che dal mondo avevano scelto di fuggire.
“A che stai pensando, Char?”
“Uhm? A niente, Hanni... Facciamo un giro delle mura?”
Il fratello annuì: era curioso, forse più di Kaswal, d'imbattersi nel portone monumentale. E varcarlo, superare il confine sacro di quel luogo, e penetrare realmente nel cuore dell'avito possesso dei suoi avi. Gli sembrava, che sciocchezza a ripensarci!, che una parte del proprio essere giacesse nascosta nella corte, o da qualche altra parte, in quel castello, e che solo ponendo il proprio piede sulla stessa terra battuta da chi il suo sangue aveva plasmato nell'acciaio e nell'onore – solo allora, sarebbe potuto diventare un uomo completo.
“Hanni... c'era una cosa che volevo dirti... riguardo al Führer.”
Quella notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno – tanto sorprendente che Hanni quasi rallentò il suo passo.
“Dimmi Char: cosa c'è?”
Kaswal aspettava quell'occasione dall'inizio del loro viaggio. Dispersi in mezzo al nulla, non c'era rischio – non troppo almeno, che qualche troppo zelante ministeriale svelasse a certe orecchie quelle sue parole.
“Mi preoccupa. Preferirei che chiedessi il trasferimento ad un altro reparto.”
Heinrich von Deikun si morse il bel labbro rosso e carnoso. Sapeva di non eccellere in ogni cosa, come Kaswal, né di possederne l'affascinante bellezza, o l'impareggiabile prontezza di spirito e di corpo. Pur di seguirne le orme, aveva spinto le sue risorse al limite – forse oltre. Entrando nella Liebstandarte Adolf Hitler, la guardia del corpo personale del Führer, aveva realizzato il suo più grande desiderio: essere degno del fratello, e dei suoi successi. Ed ora lo stesso fratello gli diceva di fare un passo indietro, di rinunciare a quel suo successo, e di tornare indietro – abbandonare le rune del lupo, e farsi retrocedere ad un più comune incarico, chissà dove...
“Cosa intendi dire? Fratello, non puoi pretendere che...”
“Non lo pretendo. Lo dico per il tuo bene... cosa ne sai della malattia del Führer?”
Heinrich non sapeva molto più di quanto affermato dalla versione ufficiale: poliomielite post-vaccinale in età pediatrica. Nulla che il Reich non avesse fin troppo spesso sperimentato, specialmente all'inizio della sua storia, quando la cosa migliore che ci si potesse aspettare dai medicinali prodotti nelle Colonie era che non funzionassero, mentre quelli provenienti dalla Terra giungevano con il contagocce.
Kaswal si fermò per un attimo: sì, meglio che Hanni sapesse tutto.
“Poliomielite post-vaccinale ... sì, certo. Hai mai sentito parlare del Morbo delle Colonie?”
Hanni raggelò. Un incubo, che aveva tormentato le prime generazioni di coloni, e che ancora le generazioni più giovani non erano state autorizzate a dimenticare. Una malattia che insorgeva subdola, con sintomi lievi, quasi impercettibili... ricordi che cominciavano a scombinarsi, e poi: sussurri percepiti nel silenzio più assoluto. Allucinazioni, infine: la piena, irreversibile follia come atto finale.
“Vuoi dire che...”
Le ultime parole morirono nella gola di Hanni, incapace di fuggirne, pesanti come pietre: voleva dire, Kaswal, che anche il Führer fosse affetto da quella piaga?
“I vaccini impiegati negli anni '60 e '70 erano contaminati con un virus neurotropo... una subdola variante del normale virus della poliomielite. I più fortunati, sono già morti da tempo. Altri hanno sviluppato il Morbo delle Colonie. Altri ancora, come il nostro Führer, sono stati colpiti da una forma lieve, poco dopo la vaccinazione, sprofondando lentamente verso la perdita di sé.”
Tutto quadrava, in effetti: le sempre più frequenti amnesie del Reichsführer – cui, del resto, nessuno aveva mai fatto caso, specie dopo lo scoppio della Guerra... il suo carattere, sempre più irascibile. E quello strano, indomabile tremolio che dominava la sua mano quando la stanchezza si faceva più forte, e che tutti avevano attribuito allo stress di quei mesi trionfali ma difficili. Ma se le cose stavano così...
“Chi lo sa? Oltre a te, Char...”
“La Reichsführerin Cecilia, ovviamente. Dozul Zabi. E pochi altri...”
“Capisco...”
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Traduzione Italiana a cura di SMItalia
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